Il golf questa meraviglia. Se è il Masters di Augusta. Anche senza Tiger Woods. Che pure ci manca. E parecchio. Dicevano che Jordan Spieth era uguale a lui. Anche se è un viso pallido del Texas. Non badate a loro. Il giovane Spieth avrebbe anche potuto vincere di nuovo il più prestigioso dei Major. E ci è andato molto vicino dopo il quarto birdie di fila a metà dell’ultimo giro. Ma Tiger è come Pelè: inimitabile e unico al mondo chissà per quanti lustri ancora. Fidatevi. Viva l’Inghilterra. E viva Danny Willett, figlio di Albione e del prete protestante Steve. Ventottenne di Sheffield, padre di Zachariah James da pochi giorni. Solo numero 9 oggi nel world raking, ma da domenica sera con la green jacket addosso, l’ambita giacca del vincitore del Masters, è diventato oltremanica il re d’Inghilterra. Come cantava Nino Ferrer. Mentre la regina d’Inghilterra nel ’66 era Pelè. Almeno ascoltando Antonello Venditti. Del resto solamente un altro inglese ha trionfato a Augusta in ottant’anni di storia: il grande Nick Faldo che addirittura l’ha vinto tre volte. Contro le quattro di Tiger e le sei di Jack Nicklaus, un’altra leggenda dei green e dei fairway a stelle e strisce. Gli inglesi amano il golf persino più del calcio. Che pure hanno inventato. E non riesco a dar a loro torto se è lo spettacolo che il Masters ci ha regalato nell’ultimo giorno dallo splendido giardino in fiore di Augusta. Buca dopo buca. Tanto da poterci scrivere sopra un romanzo. E per questo comincio il mio racconto delle meraviglie solo dal tee di partenza della dieci. Altrimenti qui facciamo l’alba. Jordan Spieth, talentuoso numero due al mondo, ha la vittoria in sacca. Che poi sarebbe il bis dell’anno scorso. E’ leader dal primo tee shot di giovedì ed è in flight con Smylie Kaufman, suo grande amico, che però abbandona presto per strada. Il ventiduenne di Dallas ha un altro passo e patta come un dio, al contrario del fratello dell’Alabama e di Dustin Johnson. Nulla sembra impaurirlo: nemmeno un bogey alla cinque, la hole della magnolia. Incassa il colpo basso e lo restituisce subito. Con gli interessi. Birdie alla sei e alla sette, alla otto e alla nove. E chi lo ferma più? Ha ben cinque colpi di vantaggio sul disinvolto e tenace Danny Willett e sul generoso bombardiere Dustin Johnson che viene dal South Carolina. E addirittura sette su Lee Westwood, il caro porcellino inglese di Mario Camicia che si è fatto crescere la barba e non ha mai vinto un torneo dello slam in vita sua. Silvio Grappasonni lascia la postazione e si concede un bel caffè lungo: tanto il successo nel Masters è ormai stato blindato dal cowboy di ghiaccio. Secondo stop per Spieth alla buca dieci: tre putt e bogey. Succede. I green di Augusta sono terribili saliscendi anche senza vento: delicati, velocissimi e più pendenti della torre di Pisa. Spieth saprà reagire di nuovo: è quello che pensano tutti. E invece arriva il terzo bogey alla undici insieme al primo campanello d’allarme. Anche perché nel frattempo Danny Willett ha infilato alla tredici, l’incantevole par 5 delle azalee, il terzo birdie di giornata che, sommato a dieci par e nessun bogey, fa -2 dal texano. Che inizia a preoccuparsi. E ora la dodici, un par 3 di 152 yards che scende sul laghetto davanti al green ed è conosciuta come la seconda delle tre buche consecutive dell’Amen Corner di Augusta, una sorta di girone dantesco dal quale si esce il più delle volte dannati. Ed infatti è l’inferno per Jordan Spieth che col primo colpo dal tee finisce in acqua e ancora col secondo di flappa. E col terzo va lungo nel bunker. Insomma sette, contando le due penalità: quadruplo bogey e addio al bis nel Masters. Mentre è tornato Grappasonni che domanda affannato: “Ma cosa è mai successo?”. Di tutto. Lo so, il golf è arabo per la stramaggioranza degli italiani e quindi, per quanto mi sia sforzato d’essere stato semplice nel racconto, capisco che avete lo stesso fatto fatica a seguirmi. Ad esempio la flappa, fat shot in inglese, non esiste nel nostro vocabolario, mentre è un vero e frequente dramma per molti giocatori della mia parrocchia che colpiscono la terra prima della pallina e tirano poi giù i santi dal paradiso. Spieth invece si è solo incupito, anche perché è molto cattolico e legge la Bibbia tutti i giorni: ormai aveva combinato la frittata e comunque è stato bravo a salvare il secondo posto che ha alla fine diviso con Lee Westwood. A tre colpi però da Danny Willett, due elle e due ti, il figlio del prete protestante che con altri due birdie, cinque in tutto, ha così completato la sua domenica bestiale. Come cantava Fabio Concato. Nella quale è diventato il campione di Augusta. In giacca verde e un assegno di un milione e 800 mila dollari nel taschino. Dopo diciassette anni dall’ultima vittoria di un europeo, lo spagnolo Josè Maria Olazabal. Viva l’Inghilterra.