Avevo già pensato di cercar dimora lontano dal Veneto di Galan e Zaia. Mamma mia. E pure dalla Lombardia di Formigoni e dei (miei) Maroni. Poi mi sono passati sotto gli occhi i dati del referendum sull’autonomia (quale?) riguardanti Venezia e mi sono rasserenato. Così magari vi parlerò un’altra volta di Mandzukic che ha fatto benissimo a mandare al suo paese quell’asino di arbitro romano, Doveri o Dov’eri?, e ho cambiato subito idea. In fondo non sto poi tanto male a Mestre nella casa dove sono nato. A due passi dalla piazza, il duomo e la torre dell’orologio. Su un totale infatti di 208.551 elettori solo 93.653 hanno domenica votato. Pari al 44,91 per cento. Abbondantemente sotto al quorum e comunque ben distante dal 53,7 provinciale e dall’ignorante 57,2 regionale. Del resto, numeri alla mano, addirittura il 34% dei veneziani non si sono recati alla urne nella città storica, il 36 a Murano e Burano, il 46,15 nelle altre isole e il 48,62 in terraferma. Dove senza offesa la vicinanza con i campanili dei villani leghisti si è fatta molto sentire. Insomma più ci si è allontanati dal centro e si è finiti in campagna tra le mucche, i cinque stelle e le mille stalle e più la pseudo autonomia ha trovato zotici consensi. Come può confermarvi a denti stretti pure lo stesso Gazzettino dei romani. Che poi votare non serviva e non sarà servito a nulla lo si sapeva e sarà dimostrato presto dai fatti. Ma intanto il referendum è costato una bella cifra a spese dei contribuenti e non cambierà un accidente di niente. “Una secessione morbida che rimane senza sbocco” ha titolato oggi in prima pagina la Repubblica e non so come si faccia a darle torto anche se abitualmente leggete la Padania o il Fatto. Il Veneto orbato dai schei, che fu di Galan, e adesso è di Zaia, non sarà mai la sesta regione a statuto speciale dopo il Friuli Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige e la Val d’Aosta. Perché bisognerebbe cambiare la costituzione e prima ancora il governo che ha già risposto: “Una provocazione e un proposta irricevibile”. Ve lo volete o no mettere in zucca? Se invece siete pronti alla rivolta con le zappe e i forconi, l’arco e le frecce, le camicie verdi e nere, andate pure avanti che a me nel frattempo scappa da ridere e non vi seguirò nemmeno se fossi ubriaco fradicio. Per la verità anche a Padova, Verona e Rovigo l’affluenza è stata inferiore al 50 per cento. E il governo di Gentiloni avrà anche vita breve e salterà comunque in aria con le prossime elezioni figlie del disgustoso inciucio tra Renzi e Berlusconi, ma, se non ce l’ha fatta Barcellona a staccarsi da Madrid, perché dovrebbe riuscirci la campagna veneta che marcia su Roma? Piuttosto il 16% sotto il quorum registrato tra calli e campielli, canali e ponti intorno a San Marco si può anche leggere come una brutta sconfitta del mio Napoleone Brugnaro che aveva invitato i veneziani a schierarsi per il sì e soprattutto li aveva sollecitati ad andare a votare. Anche con il brutto tempo. Ma così non è stato e allora non sarà mica che Venezia ha per la prima volta girato le spalle al sindaco nativo di Spinea, anzi di Crea, dove l’affluenza al voto è stata pari al 55,6 per cento, nonostante il fresco scudetto conquistato dalla Reyer? Che sul far della sera ha giocato in Polonia e ha battuto 71-81 il Rosa Radom nella prima trasferta dell’anno in Champions. Dopo un primo periodo (22-6) da mal di testa e una ripresa da capogiri con 16 punti di Peric e un Bramos leader massimo.