Una domenica di basket a spizzichi e bocconi. Dopo le belle statuine di Cremona nell’anticipo di Mestre: no, questa, caro cittì, non è pallacanestro. A mezzogiorno rivedendo il Filloy che mi ricordavo a Venezia e la Sidigas senza Fesenko che si riconferma terza forza del campionato. Anche Biligha comincia a dare segnali di risveglio. Speriamo bene. Di Ettore Messina più non si parla. Meno male. Lasciamolo pure dov’è: in Texas. E, se torna in Italia in vacanza, lo invito molto volentieri a mangiare il pesciolino da Guido alla Baracca. Schie con polenta, gamberetti e granseola. E perché no anche un risottino con gli scampi. Offro io. Però a patto che non si parli di nazionale. Dove credo che abbia sbagliato proprio tutto. Dal primo all’ultimo giorno. In particolar modo con Della Valle e Sacripantibus. Acqua passata. Adesso c’è MaraMeo Sacchetti. Al quale dico “coraggio”. Ha poco, ma non proprio niente. O mi sbaglio? A Bologna, magari esagerando, dicono che “Questa Virtus è già grande” come ha titolato oggi il Corriere della Sport nell’edizione nazionale. Grande quanto? Da quinto, sesto posto spero e non ancora da scudetto. Anche se quello l’ha promesso il dottor Segafredo sorseggiando un caffè corretto con troppa grappa. Il merito comunque delle tre vittorie di fila delle v nere è di tre italiani: Alessandro Gentile, Pietro il Grande Aradori e soprattutto di Alessandro Ramagli che, storcete pure il naso, ha ricostruito il figlio di Nando e ridato fiducia al secondo. Che quest’estate, vestito d’azzurro, prima di sganciare una bomba doveva guardare la panchina e avere l’assenso da Messina smarrendo nel contempo l’istinto che ha nel sangue e che molto somiglia a quello dello scorpione in groppa alla povera rana. E ridagliela: avevo promesso di non parlare più d’Ettore e non sono stato di parola. Chiedo perdono e vado avanti. Un po’ di fretta perché devo scappare a Treviso. Dove, a Ca’ del Galletto, che non è neanche lontano parente di Vittorio e Danilo, il Vate Valerio con Cirillo Viberti presenterà il suo libro “Le mie bombe“. Che non è da perdere. E difatti, non si sa mai, ne ho comprato tre copie. Dicevo di Sacchetti. Sabato ho rinunciato a seguire in diretta Napoli-Inter, che poi in verità non è stata nulla d’eccezionale veramente o di veramente eccezionale, insomma ci siamo capiti, per andare a vedere Giampaolo Ricci sul parquet del Taliercio. Giampaolo Ricci? Comprendo il vostro imbarazzo e non dovete neanche arrossire se non sapete chi sia. Niente paura: ci sono qua io. Intanto non è parente nemmeno per sbaglio dell’Antonio ideatore di Striscia la notizia, però un tapiro d’oro da Valerio Staffelli se lo sarebbe lo stesso meritato. Lui e il suo allenatore che l’ha addirittura convocato in nazionale tra lo stupore del mondo intero. E’ nato a Roma, il 27 settembre 1991. Quindi non è neanche di primo pelo. E’ alto un centimetro sopra i due metri, pesa due chili oltre il quintale, è un’ala forte, insomma un quattro, porta la barba e i baffi, viene dai simpatici Orsi di Derthona (A2) e da quest’estate è in forza alla Vanoli di Vanoli e di MaraMeo. E quindi non occorre che vi aggiunga altro se non la valutazione +/- che ha preso nella partita strapersa con i campioni d’Italia della Reyer: meno 25. Probabilmente sono stato anche sfortunato: non lo nego. E magari il giovanotto era pure un sacco emozionato e comunque 6 rimbalzi e 4 punti in 14 minuti li ha sempre raccolti. Però con lui in campo Cremona ha giocato alle belle statuine, come ha sussurrato Niccolò Trigari all’orecchio di Carlton Myers. Al punto che Ray Bahn De Raffaele ha potuto testare per ben 13 minuti Riccardo Bolpin, classe 1997, come non accadrà più per tutto il resto del campionato. Insomma mi sono spiegato e, se non ci siamo di nuovo capiti, pazienza. Volevo anche raccontarvi della pioggia d’acqua che domenica pomeriggio mi ha inzuppato dalla testa ai piedi e quella di gol che hanno rallegrato il tardo pomeriggio della mia domenica in missione straordinaria con Rocco al Friuli dove ho fatto pace con il Pipita Higuain, che somiglia moltissimo a Gediminas Orelik, luce dei miei occhi come Dominique Johnson. Ma adesso devo consegnare un tapiro anche a Max Chef Menetti. Perché può perdere con tutti, ma non con il Patata di Capo d’Orlando. Senza farne per carità un dramma come ci ha provato oggi C10H160, cioè Canfora sul giornale di Mamma Rosa. E semmai ridendoci sopra pensando al poker di triple che nel finale della partita di Reggio Emilia hanno infilato Arturs, Ikovlev e Kulboka neanche avessero visto tutti e tre insieme la Madonna.