E bravo Michele. “Uno che a trent’anni ride dei forni crematori probabilmente meritava d’essere quello che è diventato: un povero stronzo”. L’amaca di Michele Serra è una delle prime cose che leggo sfogliando i giornali del mattino assieme al caffellatte senza zucchero. Lassù, in alto, manchettata, come si dice in gergo, sopra il titolo d’apertura della prima pagina di Repubblica che oggi era: Verdini e la Lega salvano il governo. Povera Italia. E come Serra definirebbe Claudio Lotito che, poco prima d’andare al Ghetto di Roma per deporre una corona, si lascia scappare: “Famo ’sta sceneggiata”? Mi piacerebbe proprio saperlo. E intanto quei fiori col nastro biancoceleste sono volati grazie a Dio nel Tevere gettati dai giovani del ghetto. Ai tempi del Var e di Internet datemi pure del vecchio, ma io continuo ad amare il cartaceo e a pensare che la notizia devi averla in mano. E ritagliarla, se mi piace. Come un Buongiorno di qualche giorno fa di Mattia Feltri, figlio di Vittorio e più lieve del tromboneggiante padre: “Soltanto in una città del terzo mondo la metropolitana si allaga e viene chiusa per un acquazzone. Quanto ci divertiamo a dirlo? Quanto ci divertiamo a rinfacciare a Raggi quello che lei rinfacciava ad Alemanno e Marino? Bastava pulire i tombini, liberare le caditoie, bastava niente: dicevano i cinque stelle che oggi dicono che però ci sono stati i cambiamenti climatici”. E’ stato stabilito che gli ultrà della Lazio sono i peggiori, ma francamente neanche perdo tempo a fare la classifica dei poveri stronzi. Sono tutti all’ultimo posto. Carlo Mazzone, il mitico Sor Carletto, ottant’anni, una vita tra campioni e panchine, uno che prima d’andare in pensione non ha mai passato una sola domenica a casa accanto a quella santa donna di Maria Pia, definiva indistintamente gli ultrà atalantini “tutti razzisti al cento per cento”. Mentre quelli dell’Hellas Verona, di destra estrema, quest’estate hanno festeggiato Hitler al Bentegodi e cantavano in coro: “Abbiamo una squadra fantastica fatta a forma di svastica”. Nessuna curva italiana è immune dall’antisemitismo ha denunciato il quotidiano israeliano Haaretz di lingua ebraica. Ed è così. Povera Italia del Lotito che passa per un erudito perché di tanto in tanto butta là un aforismo in latino. Gliene regalo uno: ab uno disce omnis. Da uno capisci come sono tutti. Sperando che invecchiando anche lui capisca che confondere una sinagoga con una moschea è peggio che dare del laziale a un romanista. O viceversa. “Per rimanere nell’unico mondo che lui conosce”. Come ha scritto Sebastiano Messina considerato l’unico vero erede di Fortebraccio, Mario Melloni, il magnifico corsivista dell’Unità. Dove ha anche lavorato Michele Serra. Al quale Paolo Ziliani e io aprimmo il cuore, anche con la ci maiuscola, se preferite, sul pasticciaccio brutto di Genoa-Inter 2-3 della domenica degli ulivi del 1983. Gol partita all’85’ di Salvatore Bagni che nessuno dei compagni corse ad abbracciare. Perché sarebbe dovuta finire in pareggio. Così avevano scommesso molti giocatori di una squadra e dell’altra al Totonero. La Beneamata finì sotto processo e rischiò sul serio la serie B. Di questo aveva timore l’intertriste poi direttore di Cuore. Che difatti scrisse un pezzo d’acqua morta. Difendendo persino i suoi campioni nerazzurri. Tutti eguali. Anche i giornalisti-tifosi.