In quattordici o sedici, quanti erano, non sono stati capaci di buttar giù di loro pugno una lettera di sessantacinque righe contro Daniel Hackett. Ma si può? Io dico di no. Un diploma di media superiore credo ce l’abbiano tutti e qualcuno penso sia anche iscritto all’università. Hanno comunque dovuto chiedere l’aiuto dell’addetto stampadella Federbasket al quale hanno “spontaneamente dettato”, come ci ha fatto sapere la solerte Gazzetta dello sport per evitare qualsiasi forma di dietrologia, tipo la mia, una severa e irreprensibile scomunica verso il loro ribelle compagno di nazionale che aveva opposto il gran rifiuto alla maglia azzurra. Non è proprio così, semplicemente il nostro Celestino V aveva abbandonato il ritiro di Trieste non sentendosi ancora pronto dopo le fatiche e gli acciacchi dello scudetto di riprendere subito gli allenamenti, volendo magari soltanto prolungare le vacanze di una settimana, ma non è questo il punto. Mi chiedo piuttosto, visto che Max Oriani ci assicura che non c’è nella lettera degli azzurri assolutamente lo zampino di Giannino Petrucci, e non ho alcun motivo per mettere in dubbio la sua riconosciuta onestà intellettuale, chi gliela abbia fatta fare a tutti e sedici, o quanti erano, compreso Alessandro Gentile, di gettare altra legna sul fuoco di un incendio che si stava ormai spegnendo dopo che il nostro Enrico IV era andato a Canossa, aveva chiesto perdono persino a mamma Katia e papà Rudy, e finalmente se n’era tornato in ferie al mare o in montagna, fatti suoi, ma non di certo alle vietatissime Isole Vergini perché laggiù non ci si può mettere piede se hai la schiena a pezzi o solo un semplice raffreddore. Ma chi l’ha detto? Max Oriani. Ah già. Veramente il caro inviato della Gazzetta che la sera del 18 luglio, mentre il ragazzo di Forlimpopoli lasciava Trieste in treno, non era nella splendida città del Principe Rubini, ma un po’ più a est, cioè a Sarajevo, e quindi non si sa da chi abbia avuto tutte le notizie sulla fuga “senza autorizzazione e motivo” di Hackett dalla nazionale, aveva anche scritto subito a caldo che Daniel rischiava un anno di squalifica dal momento che “già in passato aveva manifestato un totale disinteresse nei confronti della maglia azzurra”. Ora anche qui non è proprio così e, perdonandomi la rima, non ci vedo comunque nulla di male se Hackett, sentitosi offeso dalla violenta accusa, ha iniziato il silenzio-stampa con tutta la Rosea. Anzi, ognuno è libero di parlare con chi gli pare. O no? Così come nessuno è obbligato ad invitare a cena l’inviato della Gazzetta dello sport o del Corriere della sera in un ristorante di Tel Aviv durante i playoff dell’Armani con il Maccabi. Come è poi davvero successo e nessuno in via Solferino mi risulta si sia indignato per questo. Un giorno anche vi racconterò di quella volta che ho accompagnato in macchina Portaluppi e Alberti, che avevano perso l’aereo, a Sebenico pochi giorni dopo la fine della tremenda guerra civile tra i plavi. Ora invece vi confesso che sono perfettamente d’accordo con Luca Chiabotti, in fuga con me dall’Isola dei Conigli, che non è stato bello vedere i sedici azzurri unirsi al plotone d’esecuzione per fucilare un loro ex (?) compagno di nazionale anche se, ammesso e non concesso, l’aveva combinata proprio grossa. E comunque almeno per me il tormentone Hackett non finisce qui soprattutto perché lo vorrebbe la Gazzetta dello sport. Arrivederci a domani allora quando magari spiegherò a quei quattordici o sedici chi erano Celestino V e Enrico IV. Affinchè non si dica in giro che sono anche peggio dei calciatori che non sanno nemmeno dove si paga la bolletta della luce. Figuriamoci se devono poi anche scrivere una lettera. (Hackett 5 – continua)