Alla fine sono andato a Caorle. E ho fatto bene. Venezia-Spezia (0-0) non è stato nulla di che. Come avevo immaginato. Ed è piovuto che dio la mandava: mi sarei insomma bagnato come Calimero, il pulcino nero, e mi sarei beccato una malora. Come l’anno passato. Anche a Caorle non è che il tempo sia stato molto migliore che a Sant’Elena. Ancora difatti pioveva di brutto a mezzanotte e mezzo quando ho preso la strada del ritorno a casa. Come Lessie. Dopo aver cenato con Coldebella, Caja e Bullo. Che ora a Varese è il vice di Artiglio e sono sicuro che farà bene anche in questo nuovo mestiere. Che è quello complicato dell’allenatore. Dove si guadagna sempre meno, però si dà la colpa solo a lui se le cose non vanno bene. Eccezion fatta per Ettore Messina. Penso invece che siano più i giocatori a fare la differenza tra una buona squadra e una scadente. Ovvero che sia più facile per un allenatore vincere se hai bravi giocatori e perdere se li hai cattivi. Massimo Bulleri da Cecina ha compiuto quarant’anni domenica. Federico Casarin invece ne farà 51 venerdì prossimo e gioca ancora, quando ovviamente può, in serie C a Mirano. Un giorno o l’altro lo vado a vedere e poi vi racconto: me lo riprometto sempre, ma quest’anno lo faccio sul serio. Il mio caro Pesciolino rosso, da qualche mese anche bianco e verde, aveva costruito quest’estate una Reyer equilibrata, di spessore e all’altezza della precedente. Poi Julyan Stone ha fatto le bizze, diciamo le cose come stanno, senza tanto prenderci per i fondelli. E sostituire uno come l’eclettico ballerino di Alexandria, in Virginia, non deve essere stato comunque semplice. E così ora Walter De Raffaele, qualche etto in meno e gli occhiali nuovi, non più Armani?, ha sette guardie: Haynes, De Nicolao, Johnson, Cerella, Jenkins, Kyzlink e Bolpin. Che diventeranno otto con Stefano Tonut che tuttavia non tornerà sul parquet prima di Natale. Troppa grazia, Sant’Antonio. Mentre a giugno aveva Haynes, Filloy, Stone, McGee e Tonut (purtroppo) già mezzo rotto. Il mio Ray-Ban non deve rivincere lo scudetto: questo è pacifico. Nessuno glielo chiede, spero neanche Napoleone Brugnaro. La mia domanda è però un’altra: è più forte questa o quella Reyer nello specifico? Ossia sapranno Johnson, De Nicolao, Jenkins (o Kyzlink) e Cerella sostituire brillantemente Stone e McGee? Credo proprio di sì. Tanto più che Caja e Coldebella mi hanno parlato assai bene di Dominique Johnson che hanno avuto nella scorsa stagione a Varese: “E’ un ragazzo che la sera non mette il naso fuori di casa”. E pure questo aspetto non è da sottovalutare ricordando i nottambuli americani che in passato ha avuto l’Umana. Semmai non sarà facile per il livornese di Ovosodo gestire un gruppo di guardie così abbondante. Dove l’unico giovane di Venezia, il mestrino Riccardo Bolpin, classe 1997, pare il più sacrificato e dove lo stesso Tonut, quando sarà guarito, farà fatica a trovare spazio e a mettersi di nuovo in luce. E poi in chiave azzurra si ha ancora il coraggio di proporre (a sproposito) d’allargare la base dei giocatori di casa? L’idea per la verità è ottima, ma bisognerebbe cambiare in fretta le regole del gioco e non mi risulta che i club di serie A ci sentano da quest’orecchio. Ho letto stamattina sulla Gazzetta Dan Peterson che tanto Dindondan ancora non mi sembra. Come rilanciare la nazionale? “Punto 5: non ci sono italiani nei quintetti base dei club che fanno l’EuroLega o lottano per lo scudetto”. Verissimo. “Punto 9: ci vogliono gli italiani in squadra”. D’accordo. Ma in concreto? Ecco allora venirci in soccorso Tanjevic, illuminante e concreto come al solito: “Io metterei quattro stranieri per squadra, non uno di più. Le leggi non lo consentono? Tocca allora alle società trovare un accordo tra gentiluomini”. Parole sante. Ecco perché, leggendo la bella intervista di Andrea Tosi al Boscia, prima mi sono arrabbiato con lui per il suo anticipato “buen retiro” a Trieste: “Ho ancora tante energie, ma non è più tempo per me, a 70 anni, di scivolare lungo la linea laterale”. Però poi a ripensarci, e conoscendolo da una vita, ho capito che non me la stava raccontando giusta. Difatti mi potrò anche sbagliare, ma intanto mi sono ormai autoconvinto che qualcosa invece stia bollendo in pentola. E cioè che Tanjevic accetterà alla fin fine la proposta che gli ha recentemente fatto Giannino Petrucci. Non più d’essere il cittì dell’Italia, ma di ricoprire lo stesso ruolo dirigenziale che ebbe il Principe Rubini super partes nella nazionale di Sandro Gamba che vinse l’argento olimpico a Mosca 1980 e l’oro europeo a Nantes tre anni dopo. Per lui sarebbe un grande onore e per noi la panacea di tanti mali. Io ci conto. E incrocio le dita. Assieme a MaraMeo Sacchetti.