Il Boscia e Oscar: le gran belle interviste di Paola Ellisse

 

bogdan

Glielo avevo già confessato qualche tempo fa: sei proprio brava. Anche allora aveva intervistato Boscia e mi ero tolto il cappello: chapeau. Le avevo detto. Ed ero serio. Ma valle a capire le donne: le fai un complimento e non sai mai se lo gradiscono. E allora ci riprovo: Paola Ellisse, due elle e due esse, ha fatto davvero una gran bella intervista a Oscar Schmidt da Natal, capitale dello Stato del Rio Grande do Norte. E già che c’era di nuovo a Bogdan Tanjevic da Pljevlja, comune di frontiera del Montenegro con la Serbia. E nemmeno ora scherzo. Né pretendo che la prossima volta mi butti le braccia al collo come di solito fa con Giannino Petrucci, ma neanche che alzi appena la testa dal telefonino, col quale sta cincionando, e mi dia un saluto affrettato, se non seccato. O forse sono io ad essere proprio un bel illuso: metto sempre in croce quelli di Sky per le loro telecronache urlate, che trovo spesso paradossali, e poi avrei anche la presunzione di sperare che con me fingano almeno d’essere carini. Sono proprio un povero Don Chisciotte. Cincionando è un termine dialettale veneziano: lo so benissimo. E difatti l’ho sottolineato in corsivo, ma non ne ho trovato uno di migliore che in italiano spieghi chi a tavola non sa neanche cosa sta mangiando perché è tutto preso a giocare con internet o a messaggiare con il cellulare. Come fanno quasi tutti i giocatori e i giornalisti, soprattutto i più giovani, e per questo scusatemi ma proprio non li sopporto. Dicevo delle interviste di Paola Ellisse e così, mentre divagavo come piace da morire anche al mio maestro, Gianni Clerici detto il dottor Divago, sono andato a cercare, e l’ho trovato, quell’incontro romano nell’autunno del 2010 nel quale Boscia le parlò serenamente del suo cancro combattuto e sconfitto con la forza di un uomo straordinario e meraviglioso. “Certo che ho avuto un po’ di paura. E chi non ce l’ha? Avevo da matto infatti sempre pensato di vivere mille anni e di potermi confrontare un giorno con i più grandi. Dicevo con i Boston perché era la squadra per cui tifavo da bambino. Immaginando e sognando molte volte quel momento. Con la speranza di vincere: è scontato. Visto che sono uno che non sopporta perdere. Ma è il destino che adesso deve decidere per me. Anche se io non conosco cosa significhi arrendersi. Ho sentito per la prima volta nella vita dentro di me la stanchezza e cos’era? Era probabilmente quello che lavorava sotto”. Quello? “Sì, era il dolore per la guerra a Sarajevo che mi aveva mangiato (lo) stomaco assieme alla distruzione del mio Paese che andava contro la mia idea del mondo”. Questa, signori miei, è una signora intervista. Di cui vi ho dato solo uno stralcio. Chapeau comunque: volentieri mi ripeto. Come quella che l’Ellisse ha recentemente fatto per il ritorno di Mao Santa, Mano Santa, a Caserta e ho visto quasi per sbaglio l’altro giorno tra un tempo e l’altro di Torino-Brescia. Ovviamente in registrata. Perché quando all’intervallo appaiano Tranquillo e Mamoli che pubblicizzano il loro noioso Basket Room o Rom, o come cavolo si chiama, e si dicono “ma quanto siamo bravi”, lo sapete: salto direttamente alla ripresa prima che mi torni il prurito. Anche se mi sono vaccinato contro Ciccioblack e la sua influenza negativa che ha sempre su di me. Ha confessato Oscar: “Dal Brasile, dove già mi chiamavano Mao Santa, ho accettato di venire a giocare in A2 a Caserta perché l’allenatore era Boscia. Che avevo conosciuto e apprezzato nella finale della Coppa Intercontinentale da me vinta e da lui persa al supplementare. Questo signore allenava il Bosna di Sarajevo e ho subito pensato che insieme avremmo fatto la storia”. Conferma Tanjevic: “Eravamo avanti di dieci punti a cinque minuti dalla fine quando Oscar si è messo a tirare tutti i palloni che prendeva sopra alla testa del mio Varaic, che pure è due e zero tre come lui, un vero atleta. E così, andando indietro schiena, tac e ciuff:  4 su 4 solo nell’overtime”. Il bello di una bella intervista è anche quando immagini il rumore della palla che frusta quattro volte la retina e la senti entrare nel canestro. Parole e suoni che ti restano nel cuore. “Lo dissi a Giancarlo Sarti: prendiamolo, quello non è un giocatore. E’ un camion. E così l’ho convinto a portarlo in Italia”. Poi Oscar lo voleva il Real Madrid di Drazen Petrovic. “E il commendator Maggiò entrò nello spogliatoio strillando. “Ma che storia è questa? E’ vero che te ne vai al Real?”. Presi paura. Sì, gli risposi quasi tremando. “Perchè cosa ti danno?”. Tre anni di contratto. “E io te ne do quattro”. Va bene: resto. E diventai con Petrovic il giocatore che guadagnava di più in Europa. E comunque non avrei mai lasciato Caserta se il commendatore di lì a poco non fosse purtroppo morto e Boscia non fosse andato a Trieste”.