Non voglio neanche pensare che con gli stessi dollari che prende d’ingaggio MarShon Brooks, la farfalla giuliva che viene dai Los Angeles Lakers e vola ancora con la Nba in testa, Renatone Villalta da Maserada ha costruito una squadra, anche carina, che sinora in campionato ha vinto le stesse partite di Milano, e gli sono avanzati persino i soldi per comprare una Frau in cuoio antico a Fratel Bruno Arrigoni, che così potrà stare più comodamente seduto durante i time out di Giorgio Valli, e pure per offrire una pizza e birra a Simone Fontecchio che davvero se l’è strameritata. Il ragazzo del 1995, nato a Pescara il 9 dicembre, e quindi ancora diciottenne, è alto 1 metro e 99: mi fido di Edi Dembinski, o come cacchio si scrive, che pare l’abbia misurato al mattino scalzo e appena sveglio. Ma siccome fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio, sono andato a controllare su Wikipedia e così ho scoperto non solo, come sospettavo, che la giovane ala delle Vu Nere fosse figlio del Fontecchio, di nome Daniele, che era una freccia sugli ostacoli alti: 13’’66 di primato nei 110, tanto per gradire, oltre che vicecampione europeo indoor a Madrid 1986 nei 60 hs e semifinalista olimpico ai Giochi di Los Angeles dell’84. Ma anche sua madre, Malì Pomilio, mica era da meno. Anzi: 120 presenze nella nazionale azzurra di pallacanestro, due scudetti con Vicenza nella seconda metà degli anni ottanta e due volte campionessa d’Europa per club. Con i tacchi sopra i due metri. Come del resto suo figlio Simone che, senza tacchi, è quattro centimetri oltre la fatidica asticella. Almeno secondo quello che sostiene la celebre enciclopedia online multilingue e gratuita. Ora non so se abbia ragione Wikipedia o il telecronista della Rai radiotelevisione italiana. Certo è che se Denbinsky, o come cavolo si scrive, dà i numeri anche con i numeri, cosa possiamo ancora salvare del suo tormentato panino imbottito di mille cifre, aria fritta e poco altro senza una briciola di cuore? Prendete per esempio Lando Milbourne. Cosa volete che mi interessi se l’americano ieri sera contro Bologna ha giocato la sua miglior partita da quando è sbarcato alla corte di Paolo il Caldo, allenatore dell’anno di grazia 2014: 17 punti, 6 su 10 da due, 1 su due nelle triple, 9 rimbalzi, 3 palle pasticciate, 4 falli subiti, 5 vaffa di Moretti e otto volte le dita su per il naso, se poi nell’ultima azione che avrebbe potuto dare il successo a Pistoia è stato brutalizzato dalla stoppata ciclopica e pulitissima di Okaro White? Il quale è nato in Florida il 13 agosto, come Fidel Castro e io, ma rispettivamente 68 e 43 anni dopo, però anche questo cosa volete che importi alla gente? Provate a spiegarlo allora voi a Dembinski, che tanto ormai ci pensa il correttore di Microsoft Word a scriverlo giusto, perché né io, né Stefano Michelini, né Alice Pedrazzi ci siamo ancora riusciti e abbiamo già perso tutte le speranze. Comunque sia, centimetro più centimetro meno, Simone Fontecchio mi piace parecchio. Come del resto i suoi genitori di cui ero tifoso. E non guardo tanto alle percentuali al tiro che possono (e devono) migliorare o alle molle che ha sotto i piedi, ma piuttosto alla faccia, che è quella giusta, e alla tripla che a 15’’ dal 40esimo ha dato alla Virtus i tre punti del sorpasso e della vittoria (72-73) sul tremendo parquet di Pistoia. Senza dimenticare le due stoppate nel finale che hanno schiacciato a terra Daniele Cinciarini che era stato, prima di dover fare i conti con Fontecchio, l’arma letale dei toscani. Vi dico la verità. Avevo in mente oggi di parlare di Milano e del suo complicato avvio di stagione, delle cinque sconfitte in dieci partite tra Europa League, serie A e Super Coppa (persa), di Spaccone Gentile che fa solo disastri o della colpa di tutto che adesso non si può più dare a Livio Proli che è negli States dall’inizio di settembre e da lì non si è mai mosso. Neanche per la festa scudetto. Ma lo potrò fare benissimo anche domani. Visto che stasera l’EA7 gioca nell’asilo-nido di Reggio Emilia dove non hanno vinto solo Gas Gas Trinchieri e il povero Tigre Dell’Agnello. E ci mancherebbe anche che perdesse Luca Banchi. Ma sono stato rapito con piacere dalla Bologna di Renato Villalta. Che sta facendo le nozze con i fichi secchi. Alla faccia di Nando Marino che lo considera lo scemo del villaggio e lo chiamava anche peggio. Ma mi vergogno di ripetere la gratuita offesa. Sperando che nel frattempo sia l’amico Sandro Crovetti a sfidare a duello il presidente di Lega e, già che c’è, riesca anche nell’impresa di scuotere Fratel Bruno. Che non si alza più da quella seggiola. Neanche se gli scoppia sotto agli occhi la bomba di Fontecchio.