Sinner non si tocca e che la Wada vada pure a quel paese

Claudio Pea felice di ritorno dalla Santa Messa in Duomo, nella domenica di San Michele Arcangelo, patrono di Mestre, dove sono nato e vivo, e dei poliziotti del Bel Paese che, pure loro, in verità faticano a capire in quale casino li stia portando Carlo Nordio, il ministro della giustizia (quale? Quella del regime di Giorgia Meloni?) che è di Treviso o, meglio, di Tre Visi, che con la sua “folle legge”, come titola oggi il Fatto Quotidiano, “è una minaccia per chi denuncia i pusher” se, prima d’arrestarli, il pm adesso li deve ascoltare. Così possono leggere gli atti e scoprire chi li ha incastrati intimidendolo e magari costringendolo a cambiare città. Come farei volentieri anch’io se davvero il prossimo sindaco di Venezia dovesse essere Luca Zaja, con la i lunga, o se avessi ancora l’età per cambiare vita. E soprattutto se non mi fossi appena costruito uno studio-salotto da mille e una notte. Dove nessuno può ficcare il naso. Nemmeno la Tigre. Ad eccezione dei miei nipoti tutti e tre juventini. Ovviamente.

Oscar Eleni felice di poter tenere al guinzaglio un orsetto dell’Alaska mentre l’Innominabile chiede di salire sul treno rosa tra ciliegi cinesi e piante con occhi di drago”. Ho scimmiottato da cani l’incipit dell’articolo di lunedì dell’Orso che s’arrabbiava se lo chiamavo Gesù Cripto, ma io non ho fatto altro che prestar orecchio al mio grande amico Lorenzo Sani che nella satira è il numero uno. Altro che MorstuavitaPea, il sito che credevo scioccamente d’aver distrutto e che sempre Lorenzaccio – lo confesso – mi ha genialmente suggerito di chiamarlo così. Altro che l’ironia di Gene Gnocchi e le sue marchette sulla Gazzetta o a “Donne sull’orlo di una crisi di nervi”, il nuovo programma di Piero Chiambretti che vi consiglio d’andare a vedere giovedì prossimo sul Due. E perché non sull’Uno? Perché TeleMeloni non è che si fidi ancora troppo del piccolo granata che era di sinistra. E che io chiamo Granatina, come Emanuele Gamba, al quale ogni giorno tocca inventarsi di scrivere qualcosa sull’odiata Juve. Che si chiama Juventus: lo vuoi capire o no? Certe confidenze proprio a te sono proibite! Specie quando la Juve vince 3-0 come ieri sera a Marassi e Granatina, comunque bravo, ha dovuto dare sulle pagelle di  Repubblica a denti stretti 7 e mezzo a Vlahovic [“A volte ha giornate così”] e un 7 ruffiano a Thiago Motta [“La tenuta stagna della difesa comincia a diventare impressionante”].

Eccomi qui. Sono tornato. Dopo che a metà Olimpiadi parigine il mio sito mi aveva lasciato a piedi impedendomi per una settimana d’entrarci dentro, ma sbagliavo la password d’acceso e soprattutto ho preso più d’un granchio ad incazzarmi con il mondo. Però, se pensate che abbia ripreso a battere freneticamente – faccio per dire – i tasti sul computer, non è perché ieri è ricominciato il campionato di A1 e credo anche quello di A2. Sì, pure quello di A2 che ha rinnovato l’accordo con la Rai e non ha giustamente allungato la mancetta a Cairo per andare sulla Gazzetta elemosinando solo i risultati e le classifiche. Né ha strizzato l’occhio a Sky come continua a fare la Lega di  Umberto Gandini da Varese che non si è ancora reso conto che la Banda Osiris di Ciccioblack Tranquillo è stata in questo secolo la vera sciagura e la progressiva rovina del nostro basket e della nazionale di Gianmarco P(r)ozzecco. Che, tanto per non dimenticarlo, si mette in tasca 600.000 euro all’anno per lavorare sì e no un mese. Nemmeno Lautaro Javier Martinez guadagna tanto e, al contrario del Poz, il privilegiato, è stato criticato per settimane intere persino dalla stampa longobarda prima che rifilasse ieri una bella doppietta all’Udinese. Però diciamocela proprio tutta: come abbraccia lui anche la donna delle pulizie del palestra di Trebaseleghe, non c’è nessun altro sulla faccia della terra. O almeno così me la racconta Giannino Petrucci perché di sicuro l’intoccabile cittì azzurro stringerà in un caloroso abbraccio tutto il mondo ma non certamente il sottoscritto. O Marco Belinelli e Daniel Hackett che del resto non può del resto come gli hanno consigliato di fare il Gatto e la Volpe. Ovvero Gigi Datome da Montebelluna e Nicolò Melli da Reggio Emilia. Del quale un giorno, magari della settimana prossima, vi racconterò la vera storia del motivo per cui – poche balle – ha rotto con l’Armani ed è volato tra le braccia del Fenerbahce.

Gira e rigira alla fin fine sono caduto mani e piedi, ma pure con la zucca nel fondo del fondo dei nostri canestri, aggrovigliandomi come gli odiosi granchi blu nelle reti che i pescatori della laguna preparano per render loro invano la vita difficile, ma non illudetevi, patiti di uno sport che in Italia ha ormai infilato la via dell’estinzione televisiva, o quasi, sotto braccio alla tigre della Tasmania o alla foca monaca dei Caraibi, che mi dilunghi di nuovo a parlare di basket. Punto primo perché lo confesso: sono ancora impreparato e non lo dico tanto per dire. Non ho guardato i tre anticipi del sabato e non ho nemmeno la più pallida idea di chi abbia vinto o perso oggi. Ma lo farò domani: lo prometto. Chi infatti un po’ mi conosce sa che mi registro tutto. Dalla vela al golf, da Luna Rossa a Matteo Manassero, per il quale vado matto come una decina d’anni fa, dall’esagerato Giovanni Bruno o Bruno Giovanni, insomma ci siamo capiti, e Guido Meda, che preferisco mille volte di più nelle sue accese telecronache dei MotoGp, all’accoppiata molto gustosa formata da Silvio Grappasonni e Massimo Scarpa che non hanno – fidatevi – rivali sui green e i fairway dei cinque continenti.

Fairway è una parola che da sempre mi rapisce e m’affascina. Ma non è nemmeno di golf di cui oggi voglio occuparmi, anche se non mi sono perso una buca dell’Irish Open, Manassero terzo a due colpi dal danese Hojgaard e a uno dal fantastico Rory McIlroy. O del Bmw Championship (McIlroy secondo dopo due appassionanti playoff con Billy Horschel, quarto Matteo) per il quale nessun giornale sportivo d’Italia ha speso mezza riga. Né parlerò di calcio non avendo ancora ben compreso se Thiago Motta c’è o ci fa. E se sia più o meno presuntuoso di Righetto Sacchi. Intanto gli ho già trovato un soprannome come piace fare a me: Panna Montata (dai bolognesi). E so soltanto che lo scudetto lo rivincerà a mani basse purtroppo la Beneamata nerazzurra. Piuttosto è giusto che puntualizzi, per rispetto a Oscar, che il mio Innominabile altro non è che Ettore Messina. Del quale sarei anche stufo di parlar bene. Così come per Marco Travaglio l’Innominabile era Matteo Renzi. Che il direttore del Fatto Quotidiano ha definito nel suo simpatico intervento ad “Accordi & Disaccordi” la pecorella o, meglio, il pecorone smarrito che Elly Schlein vuole riportare all’ovile.

Una volta tanto Calenda è stato spiritoso. In bocca al lupo alla segretaria del Partito Democratico. Pensavo infatti, ha detto, d’essere stato l’ultimo pirla che si era fidato di Renzi. Ma non sono stato l’ultimo e questo mi rassicura dal punto di vista psicologico. Del resto in Italia il pirla non è mai l’ultimo ma sempre il penultimo. Così grazie alla Schlein l’Innominabile è resuscitato dal camposanto al campo largo. Anche se i sondaggi dicono che fa perdere più voti di quelli che porta. Ora semmai resta da capire perché Elly se lo ripigli. Ci vorrebbe un esperto, uno specialista, ma di quelli proprio specializzati nella sindrome di Stoccolma. Io intanto l’aspetto al varco quando lo scorpione pungerà la schiena della rana che se l’è accollato. Cioè della Schlein”.

Grande Travaglio. Sottoscrivo tutto al mille per mille. Anche se gli preferisco Andrea Scanzi. E non perché è un amico o perché butta a sinistra molto più di lui ma perché stravede come me per Jannik Sinner. Del quale entrambi abbiamo parlato bene a prima vista. Ovvero quando il tirolese della Val Fiscalina, dove Hanspeter, il padre, e Siglinde, la madre, erano ancora il cuoco e la cameriera dello splendido rifugio lassù in montagna e dove mio padre d’estate mi portava spesso a pranzare, non aveva ancora diciott’anni e nemmeno era il numero 101 al mondo dopo la prima semifinale Atp persa con Wawrinka ad Aversa. E Gaia Picardi (Corriere) o Federica Cocchi (Gazzetta) o lo stesso Paolo Bertolucci non sapevano neanche che Jannik esistesse. Per questo stamattina ho applaudito in cuor mio Tuttosport che in apertura di prima pagina ha sparato questo ottimo titolo “Ma siete sicuri?” accompagnato dall’occhiello “Inaudito ricorso della Wada contro l’assoluzione di Sinner” e dal sommario “Sarà il Tas a valutare l’assenza di “colpa” o “negligenza” nella contaminazione da Clostebol: rischia una squalifica sino a due anni”. Oltre al fondino cattivo (“Giochi di potere, non antidoping”) del direttore Guido Vaciago che inizia così: “Sinner è finito nei maleodoranti ingranaggi del potere politico sportivo”.

E che la Wada vada a quel paese mi permetto d’aggiungere. Cantando insieme all’immenso Alberto Sordi: “Te c’hanno mai mannato a quel paese. Sapessi quanta gente che ce sta. Er primo cittadino è amico mio. Tu dije che te c’ho mannato io. E va’. E va’. Va’ avanti tu che adesso c’ho da fa’…”. Devo infatti rimediare all’ennesimo pasticcio che ho combinato pigiando chissà mai quale tasto sbagliato del mio pc che mi ha di nuovo cancellato metà pezzo. Quasi quasi stavolta mi sparo. E così non andrai a vedere il derby del Taliercio penserete. Tranquilli, al plurale l’aggettivo si può usare. Ho da tempo rinunciato a seguire quest’anno la Reyer di Olvetta Spahija. Anche contro Treviso del nuovo presidente Matteo Contento che sarà mia premura presto intervistare. Le ragioni le conosce molto bene Luigi Brugnaro e quindi, se le sa lui, a me basta e avanza. E non le butterò di certo in piazza. Come fa qualcun altro nella sua società che ha mandato via il mental coach Marco Palumbo, che assai bene aveva fatto alla testa di Davide Casarin e a quella di qualche giocatrice dell’Umana campione d’Italia, forse soltanto perché era mio amico da vecchia data. Ma si può? Per evitare questi squallidi pensieri abbiamo allora anche evitato, Marco ed io, di sentirci persino al telefono dal giorno della sua assunzione a quello del calcio in culo ricevuto a ciel sereno e mai ufficialmente comunicato alla stampa. E quindi mai ripreso dall’Anonimo Veneziano del Gazzettino. Che adesso vedremo cosa scriverà. Niente di niente facendosela addosso. Scommettiamo?

Piuttosto, e qui davvero chiudo, vi riporto lo zero che si è beccato da Eleni la Lega di Gandini nelle sue pagelle. “Per la grandinata, odiosa come il tempo di questo mese di maggio, che nella domenica della finale di EuroLega a Berlino ha permesso una diretta televisiva su gara 2 (di finale, ndr) da Bologna quasi alla stessa ora. Provincialismo, lo stesso mostrato dai giornali che non hanno pubblicato neppure il tabellino”. E ancora, un po’ più avanti nel tempo, un altro zero tondo tondo “a tutto il basket italiano che si scanna cercando un nuovo presidente federale (che non sia Giannino Petrucci) invece di nuove idee per far tornare a livelli alti uno sport che al momento sta nelle brevi”. Più chiaro di così si muore. E poi hanno anche il coraggio di chiamarlo Gesù Cripto? Mentre adesso mi accorgo che di tutto, e di più, ho scritto: persino di golf, e passi, ma pure della Louis Vitton Cup che di sponsor, strombazzati ai quattro venti,  ne ha fastidiosamente anche sin troppi. Però non ho buttato giù una sola riga che giustifichi nel pezzo la foto di Matteo Berrettini che stamattina mi sono fatto mettere da Filippo, il mio caro e paziente blogger. Volevo semplicemente evidenziare che Sportweek, ovvero l’inserto del sabato della Gazzetta, stupendo serbatoio di sponsorizzazioni per Urbano Cairo e ricca raccolta di prime firme prevalentemente scadenti, porta una sfortuna tremenda. E non ditemi di no. Venerdì infatti la Rosea [con vaghe (?) sfumature nerazzurre] ha anticipato l’uscita del suo settimanale con la copertina del numero 39 dedicata interamente allo sfortunato campione romano (vedi foto, ndr). Peccato che ventiquattr’ore dopo, ovvero ieri, Berrettini nel secondo turno dell’Atp di Tokyo abbia dovuto ritirarsi al termine del primo set, peraltro vinto con il francese Fils, numero 24 al mondo,  a causa di una ricaduta agli addominali che l’hanno tenuto lontano dai campi di tennis per tutta la prima metà della scorsa stagione. Come era successo anche la settimana prima sempre su Sportweek che al sabato aveva sparato in copertina la foto a tutta pagina di Checco Bagnaia. Il quale poi la domenica, mentre si stava avvicinando minaccioso a Enea Bastianini (primo al traguardo) e a Jorge Martin (secondo), è partito per la tangente alla curva della Quercia finendo  a gambe all’aria nella ghiaia di Misano. E buonanotte suonatori…