Adesso direte che sono il solito disfattista, un sacco fanatico e molto intransigente: praticamente irrecuperabile. Può anche darsi. Però io non me lo ricordo un basket italiano così triste e così mal ridotto. Dalla punta della piramide al resto. Salvando pochissimo. Ettore Messina e Marco Belinelli a San Antonio per esempio. O Sassari in testa alla classifica. O Treviso pure imbattuto che è tornato a incendiare d’amore il Palaverde. Alla faccia di chi so io che aveva fatto invece l’impossibile perché la passione sparisse assieme a tutti i filistei. O il libro di Lorenzaccio Sani, “Vale tutto”, che mi ha spedito un mese fa a casa e non mi è ancora arrivato, ma di cui hanno già scritto tutti benissimo. Persino Oscar Bear e non serve che aggiunga altro. Se invece volete che vi faccia un elenco delle cose che non mi piacciono o, peggio, che mi vanno per traverso nella nostra pallacanestro, io vi avverto: comincio, ma poi non so quando mi fermo. Mandando per prime a quel paese le Poste italiane e gli struzzi che mettono la testa sotto la sabbia per non vedere le gomme della bicicletta sgonfie e non sentire la tempesta che sta arrivando e infangherà anche quel poco di bello e di buono che ci era rimasto. In verità siamo davvero mal messi se Giannino Petrucci va al Processo del lunedì e dice che la Rai è la casa del nostro basket. Se Enrico Varriale non gli fa prudentemente nemmeno una mezza domanda su Pianigiani, o su Hackett, e chiama Marini il presidente della Lega e Detome l’ala dei Pistons che anche quest’anno farà flanella nella Nba. Se Fernando Marino, come vi avevo anticipato la settimana scorsa, si è bruciato in quattro mesi e se tra otto, dopo che i club gli avranno sganciato un bel centone per il disturbo, proveranno a toglierselo dai piedi. Se Gigi Datome poteva andare a giocare a Barcellona, dove sicuramente sarebbe stato una stella, e invece ha preferito restare a Detroit dove per un milione di dollari anch’io invero spazzerei gli spogliatoi del Palace of Auburn Hills e li farei brillare come specchi. Se Marco Cusin rinuncia al Banco Sardegna (e all’EuroLega) per giocare a Cremona e nessuno gli dice che ha sbagliato di brutto. Neanche il suo manager che non voglio nemmeno sapere chi sia, ma me lo posso immaginare. E se Cremona, dopo aver vinto senza Cusin e Superbone a Reggio Emilia e a Pistoia, cioè su due parquet non proprio semplici, è riuscita coi due azzurri a perdere in casa con Capo d’Orlando che lotterà sino all’ultima giornata assieme a Pesaro per non retrocedere. Povera Italia. Se Avellino batte Milano pur segnando un solo punto a minuto nel terzo periodo e nei primi diciotto della ripresa. E se a Luca Banchi piace scherzare con il fuoco schierando il Mitico Cerella nel quintetto di partenza che si ustiona subito la pelle e trova l’acqua solo quando (18-1) è ormai troppo tardi. Se i campioni d’Italia dell’Armani sono molto più deboli rispetto alla passata stagione e nessuno se ne è ancora accorto tranne il mio amato (ex) cittì, Sandro Gamba, che su Repubblica ha osato dubitare che “così non si va da nessuna parte”. Se Sassari domina in Italia ed è presa immancabilmente a ceffoni in Europa: 115 punti ieri a Madrid, allegria! Come Cantù, Reggio Emilia e la squadra del povero Marino che d’impegno ce l’ha fatta a perdere persino con i tulipani d’Olanda. Se Venezia è seconda in classifica alla pari con la stessa Brindisi e di nuovo Pesciolino (rosso) Casarin ha sbagliato in un colpo solo la scelta del playmaker e del pivot. Avete detto ninete. E se il vivace Stefano Babato sul Gazzettino ha definito Stone più Rolling (pietra rotolante) che Julyan e Cameron Moore una sorta di fantasmino al quale hanno già ritirato la patente, come del resto a capitan Phil Goss, dopo la prova dell’etilometro alle sei del mattino. Se Cantù è caduta quattro volte su quattro in EuroCup ed è allenata da Pino Sacripanti, vice di Pianigiani in nazionale. E qui mi fermo, anche se potrei andare avanti all’infinito, ma è quasi buio pesto e, se non vi dispiace, continuo domani.