Nella notte di Santa Lucia, che è la più lunga che ci sia, ho avuto più tempo per pensare. La qual cosa dovrei accuratamente evitare perché non ne sono proprio capace e mi può far soltanto che male. E così ho deciso che dalle feste di Natale, se non prima, ridurrò il numero delle righe dei miei pezzi di basket o d’altro. Non più settanta, ottanta righe a pezzo, ma la metà o quasi. Più notizie flash e meno chiacchiere. Però tutti i giorni avrete almeno qualcosa da leggere sul mio blog di satira o presunta tale. Sempre che ne abbiate voglia e non vi venga l’orticaria. Come succede a me ogni qual volta sento schiamazzare Ciccioblack Tranquillo che è il mio più fedele compagno di viaggio. Anche se Luca Gregorio (Eurosport) come strillone non scherza e Andrea Solaini è anche peggio. Difatti mi giurano che sia amico della Banda Osiris e per questo faccio presto: lo cancello e tolgo l’audio. Scusandomi con la sua spalla. Che a volte è Hugo Sconochini che dovrebbe però parlare un po’ meno e al quale qualcuno dovrebbe anche insegnare che non si dice “bracce” ma “braccia”. Perché le brace sono un’altra cosa. Come quelle sulle quali soffia il tifoso della Fortitudo che va in giro per Basket City raccontando la ragione per cui Guido Rosselli sarebbe andato via dalla odiata Virtus: sarebbe venuto quasi alle mani con Alessandro Gentile. Sempre lui. Soltanto lui. Ancora lui. E non vi sembra piuttosto che state un po’ tutti esagerando tirando ogni volta in ballo il figlio di Nando? Che non sarà neanche uno stinco di santo, ma nemmeno l’attaccabrighe più litigioso della terra. Come di me dicono che sono una penna velenosa e vi sbagliate di grosso: io sono intanto una bella penna, come Alessandro è un ottimo giocatore. Abbiate almeno il coraggio d’ammettere questo. Anche se vi costa un casino. Voi che siete invece somari, mediocri e fifoni. E poi d’ora in avanti, lo giuro, dovessi morire domani, e sarete magari contenti, non sarò più Don Chisciotte della Mancia contro i mulini a vento, cavaliere troppo sognatore e imbranato per i nostri tempi, ma William Wallace, il guerriero scozzese in Braveheart, cuore impavido e ribelle, magnificamente diretto e interpretato da Mel Gibson. Che di spada ferisce e pure uccide. Ma che sa anche amare chi sposa la sua causa in nome della libertà (di pensiero). Forse un cincinino ho esagerato. E’ vero. Ma, se mi tirate per i capelli, non sono un pennivendolo che si piega e in ginocchio vi chiede scusa. E così, adesso che mi sono dato una calmata, vi domando se mi ero sbagliato quando vi dicevo che Artiglio Caja è un fior d’allenatore. E difatti Varese gli ha già proposto il rinnovo del contratto pur essendo di altre faccende preoccupato. Perché Paolo il caldo Moretti, mica scemo, pretende dalla sua ex società che gli paghi tutto quest’anno di stipendio. Pur non allenando. E non sono pochi euro, ma più o meno duecentomila lordi. Ovvero quanti non ne guadagna il suo giocatore di gran lunga meglio remunerato, Cameron Wells. Sostiene l’aretino che Varese ha sì rispettato i tempi di disdetta del rinnovo del suo contratto di due anni più uno con una raccomandata, ma che gli ha versato la buonuscita di 25mila euro con qualche giorno di ritardo sul termine fissato, il 15 luglio scorso. Ora non voglio entrare nel merito perché non ho studiato giurisprudenza come i miei fratelli e mia figlia Giorgia, ma invano ho tentato di fare prima il medico e poi il farmacista, però se fossi Claudio Coldebella o Toto Bulgheroni e dovessi perdere la causa, come sinceramente non credo e non mi auguro, ordinerei a Paolo di buttar via qualche chilo in un lampo per mettersi di corsa a disposizione di Artiglio e di tornare a giocare sul parquet a 47 anni suonati. Sarebbe comunque un bel acquisto per una società che non potrebbe permettersene altri, ha i soldi contati e non li butta di certo dalla finestra come l’Armani e la Virtus. E soprattutto non ha molti giocatori tanto più bravi di Moretti che ha un figlio assai promettente di nome Davide che è andato a giocare nei college a stelle e strisce e speriamo non faccia la stessa fine di Federico Mussini. Che è un ragazzo d’oro, ma che la mattina, guardandosi allo specchio, stenta a riconoscersi. Ed era anche lui a diciannove anni un gran bel talento.