Se Spahija perde ancora torna alle sue amate olivette

Ogni mattina al suono delle campane delle sette e trenta Stefano mi porta i giornali e le riviste in bicicletta. E, alzando la testa, mi augura felice il buon giorno mentre lo guardo dalla finestra e gli ricambio il saluto. Venerdì pioveva che Dio o l’Innominabile – fa lo stesso – la mandava e, quando gli ho aperto il portone, Stefano ha chiuso l’ombrello, ma non aveva la solita faccia. Anzi, aveva una faccia che vi raccomando, la stessa che ho io quando leggo certe brutte notizie che mi vanno subito di traverso e mi rovinano la giornata. Come quella che ho letto oggi in un trafiletto ad una colonna in prima pagina di Repubblica a firma di Francesco Merlo, uno dei miei giornalisti preferiti: Inchiesta Ferragni, la parabola triste di Chiara&Fede. “Non si può correggere il passato dissennato se non con il senno di poi, ma, se la truffa c’è stata, la colpa coinvolge l’Italia dei migliori che ha reso Chiara Ferragni fosforescente di moralità”. Povera Italia, mi sa tanto che stanotte farò fatica a prendere sonno. “Quando per esempio, Diego Della Valle la chiamò nel consiglio di amministrazione della Tod’s, come se fosse Mario Draghi, Ferragni onorava già la nazione, non perché aveva 40 milioni di follower, ma perché la fatina bionda dei diritti civili aveva fatto i soldi… E il marito baciava in bocca un altro uomo e si dichiarava antifascista, ma aveva le guardie del corpo fasciste e criminali da curva. E in garage teneva la Ferrari color carta da zucchero, ma con il tettuccio in tela Lgbtq+”.

Anche la Gramella, al secolo Massimo Gramellini, è rimasto scosso sfogliando il Corriere e sorseggiando il suo Caffè. “Un anno fa Chiara Ferragni era il prototipo della principessa moderna, più azzurra del principe con cui allora si accompagnava. Se qualcuno avesse detto che, appena dodici mesi dopo, si sarebbe ritrovata come Cenerentola allo scoccare della mezzanotte, con al posto della zucca un’accusa per truffa aggravata, sarebbe passato per pazzo o per menagramo…”. Devo dire che il copia-incolla non mi dispiace. Al contrario. Non perché m’importi qualcosa di Fedez e della sua ex. Quanto perché ho proprio perso la voglia di scrivere soprattutto di palla nel cestino e preferisco leggere quelli che scrivono assai meglio di me e, di conseguenza, vi intrigano molto di più. La volta scorsa, per esempio, ho buttato giù quattro cartelle, ovvero più o meno centotrenta righe, per rilanciare alla grande il mio sito di satira, Mors tua vita Pea, che pensavo d’aver maldestramente distrutto e che comunque avevo trascurato non poco. Insomma mi sono fregato anche volentieri la domenica cercando di nuovo il vostro consenso. Ma se ho avuto soddisfazione dai miei storici e carissimi aficionados, gli altri amici del basket, lamentandosi un po’ della lunghezza dell’articolo, non hanno trovato nulla di meglio che pescare da quel mare di perle preziose una sola notizia che evidentemente li coinvolgeva e li interessava da matti. Difatti mi hanno domandato a bruciapelo: “Quand’è che ci racconti la vera storia della definitiva separazione tra Nicolò Melli e Giorgio Armani?“. Il quale avrebbe voluto portare a Milano pure Danilo Gallinari, ma da quell’orecchio l’Innominabile assolutamente non ci ha sentito.

Sono dispettoso, lo ammetto: quando avrò tempo e voglia, scriverò del trentatreenne reggiano che Maurizio Gherardini si è portato a Istanbul nel Fenerbahce magari per poi prendere lo stesso aereo e tornare insieme il prossimo anno nel BelPaese: dicono proprio a Bologna sotto braccio a Claudio Coldebella. Oggi non me ne occuperò di sicuro. Tanto più che tra un paio d’ore volerò al Palaverde di Villorba con Rocco per capire di quale pasta sia poi fatta la Trapani del nuovo corso che ha perso di un solo punto nel debutto in campionato con la Virtus peraltro priva di Shengelia. A leggere Giulia Arturi, figlia di Franco, giornalista in pensione della Gazzetta con il quale ho dormito una notte nella stessa stanza di un hotel di Barcellona in occasione della finale europea della Reyer dell’indimenticabile Paron Zorzi, la squadra del presidentissimo Valerio Antonini, definito da tutti ambizioso e vulcanico, sarebbe una sorta di meravigliosa creatura. Vedremo. Anzi, se avrete pazienza, vi racconterò stanotte in questo medesimo articolo o, forse ancor meglio, domattina dopo l’alba come mi sono sembrati i siciliani di Repesa. Sperando ovviamente che vinca Treviso, mi pare ovvio, essendo io – sia chiaro una volta per tutte – mestrino doc e non veneziano di campagna. Intanto vi ho già detto in tempi non sospetti che la Nutribullet di Frank Vitucci da Cannaregio è squadra quest’anno da playoff e credo di non essermi sbagliato avendo domenica strapazzato al Taliercio la tanto osannata Reyer di Napoleone Brugnaro o di chi se no? Di Federico Casarin, il Pesciolino rosso? Ma fatemi un piacere.

D’accordo, è molto presto per esprimere giudizi definitivi. Però che Venezia orogranata sia da semifinale-scudetto mi sembra oggi come oggi cosa abbastanza improbabile. A meno che il mio sindaco non rimetta mano al portafogli e compri qualcosa meglio di Rodney McGruner, scartina dell’Armani, e di una guardia come Munford, che si è già infortunato molto gravemente e di cui per la verità Andrea Meneghin e l’Anonimo Veneziano del Gazzettino – Dio mio che brutto connubio! – hanno parlato benissimo. Di certo nessuno sarà maiRayon Tucker che dalla laguna se ne è andato alla Virtus sbattendo la porta. E pure di questo fatto un giorno o l’altro vi svelerò i risvolti polemici. Ma quante ne so? Ovviamente scherzo. Non esagero invece se vi dico che se Olivetta Spahija perde le due prossime di campionato, a Trento stasera e con la Segafredo tra una settimana, rischia sul serio di tornarsene in Slovenia, dove ha famiglia, o in Croazia, dove coltiva un magnifico uliveto che ama più della sua vita. Con il suo bel stipendio sino a giugno e senza farne un dramma: non è tipo. Piuttosto chi eventualmente prenderà il suo posto? Consigli non ne do, ma posso giurarvi che è dalla scorsa primavera che Gianmarco P(r)ozzecco ha pronte le valigie e in tasca un biglietto di solo andata per la laguna.

Ps: telegraficamente, come promesso, di ritorno da Treviso vi sparo qui due cose al volo sulla Shark che sponsorizza Trapani dopo aver visto in registrata il finale della partita di Trento e la nuova sconfitta della Reyer (82-70) che era nell’aria. Non aveva esagerato Giulia Arturi a parlar bene della neopromossa che guadagnerà i playoff più facilmente della Nutribullet sponsorizzata dal giovin Fabio De’ Longhi. Che ha lasciato il palasport dei Benetton  assieme a me, e addirittura più sconsolato del sottoscritto, ad un paio di minuti dal termine d’un incontro ormai segnato in favore di Trapani.  E difatti vinto (71-87) quasi a mani basse nella ripresa dai baldi giovanotti del magnate Antonini dopo i primi venti minuti parecchio equilibrati (41-39) e pure assai gradevoli. Nel secondo tempo infatti Gelsomino Repesa con un quintetto senza punti deboli (JD Notae 7 , Stefano Gentile 6.5, John Petrucelli 8, Akwasi Yeboah 7 e Chris Horton 7.5) in un lampo ha chiuso la sfida con un parziale di 4-18 e un punteggio di 45-57 che non ha lasciato scampo alla squadra di Frank Vitucci espulso a metà del terzo tempo per legittime incomprensioni con due arbitri su tre a dir poco sconcertanti come Andrea Valzani (voto dal 3 al 4) e Marco Catani (4–) che hanno rovinato la serata un po’ a tutti. Anche al povero Saverio Lanzarini (6.5) che ha cercato invano di tappare le falle dei (cattivi) compagni di merende.