Mancava solo che mi si informicolassero le dita. Ma vi avevo promesso che oggi sarei tornato a scrivere di pallacanestro e manterrò la parola. Costi quel che costi. Altrimenti sarei tale e quale, esagerando, a Pantaleo(ne) Dell’Orco, il presidente di facciata dell’Armani. “Panta Panta Panta, Leon Leon Leon”. Il quale lo scorso luglio sapeva benissimo di mentire mentre rassicurava Simone Pianigiani che sarebbe stato ancora l’allenatore delle scarpette rosse anche per questa stagione, come da contratto e per volontà dello stesso Giorgi(n)o Armani. Ettore Messi(n)a infatti era già in viaggio verso Milano e l’indomani si sarebbe incontrato con lui per firmare un triennale da mille e una notte. Un’altra volta magari ve la racconto meglio questa storia che arrossisce di vergogna. Adesso devo occuparmi di quei ragazzacci della Banda che non si possono perdere di vista nemmeno un secondo e quindi potete immaginare cosa siano riusciti a combinare negli ultimi due mesi nei quali ero in altre (brutte) faccende affaccendato, avevo ben altro di cui seriamente occuparmi e il mio cellulare era più spesso spento che acceso. Ma ora che in fondo al tunnel intravvedo una piccola luce e avrò anche perso tutti i gusti ma ho migliorato l’olfatto e allora sento la puzza di bruciato, o di poco buono, anche dalla punta del mio naso sino alla cima di una delle torri bolognesi di viale Aldo Moro, vi dico subito che vi siete sbagliati di grosso se credevate d’averla passata liscia e comunque non c’è gioco di palazzo che non spiattellerò ad uno ad uno nei prossimi giorni. Grazie alle mie talpe che per fortuna, almeno loro, godono d’ottima salute. Tralasciando per il momento quelle federali e arbitrali e cominciando invece dalle trame che sono state ordite e tramate, come scriveva l’Ariosto, per l’appunto al civico 64 della LBA (Lega Basket) e che non mi sembra eccessivo chiamarle tresche. Insomma intrighi che, se dio vuole, non sono andati in porto o almeno sono stati posticipati alla fine del campionato. Quando, il 30 giugno 2020, scadrà il contratto a Egidio Bianchi e la corsa alla sua (molto probabile, ma non certa) successione sarà frenetica. Ognuno vorrà piazzare il suo uomo. Sempre che non venga cambiato lo statuto che attualmente non prevede che un presidente di club di serie A possa essere anche presidente di Lega. Così ogni club farà corsa a sé cercando come al solito alleanze di comodo per salvare in primis il proprio orticello di patate e cavolfiori. Stavolta il golpe l’aveva promosso Stefano Sardara, detto Pallino per la sua testa lucida e splendente, che nella nuova classifica della Banda Osiris è salito dal 52esimo posto di metà luglio al secondo dell’imminente Natale scalzando il suo ex allenatore, MaraMeo Sacchetti, che non dico sia caduto in disgrazia ma di sicuro non è più portato in palma di mano da nessun azzurro. Il sardo Sardara – poche storie – voleva far fuori subito Bianchi e – senza girarci troppo attorno – si era tirato dietro nella cordata il fedele SottoMarino, presidente di Brindisi, e pure i Toti padre e figlio (Virtus Roma) oltre a Valentino Renzi che non si capisce bene quale incarico di vertice abbia (e ha) nella Fortitudo. Ma, di grazia, chi sarebbe dovuto diventare presidente? Udite udite: Andrea Bassani. Chi? Sì, avete capito bene: il numero due della Banda Osiris che qualcuno ricorderà vent’anni fa direttore generale proprio della Lega di Alfredo Alfredo Cazzola assieme a Cicciobello Tranquillo (ufficio stampa). Durarono poco: nemmeno una stagione. Ma costarono molto: almeno 200 milioni di lire a testa. Più l’appartamentino a Bologna e il weekend libero per le telecronache su Telepiù di Ciccioblack (nella foto al Forum vestito ovviamente in tuta tutta nera assieme al compare Virginio Bernardi). Robe da non credere, ma dovete credermi che questo era il progetto presentato in assemblea la settima scorsa da Fernando Marino e per fortuna bocciato dall’Armani e da metà delle società di serie A, tra le quali Venezia e Treviso, mentre Luca Baraldi, il braccio destro di Segafredo Zanetti, conoscendo la passione viscerale di Bassani per la Virtus Bologna, in un primo momento aveva sposato la causa di Sardara contro Milano ma in un secondo è al volo saltato sul carro guidato da Ettore Messina che puntava per la verità su un cavallo che evidentemente ritiene (o riteneva) sicuro: Roberto Dorigo, l’ex generosissimo amministratore delegato della Ferrero e super sponsor della Kinder campione d’Italia e d’Europa nel ’98. E qui mi fermo perché si è fatto tardi e i medici mi hanno ordinato d’andare a letto con le galline. Continuerò domani. Promesso. Occupandomi di nuovo dei pasticci della Lega e già anticipandovi che Ario Costa darà a breve le dimissioni da consigliere federale. Una poltrona molto ambita da Sardara che anche in passato tentò invano di occuparla, ma fu buggerato in dirittura d’arrivo proprio dal caro presidente di Pesaro. Oltre tutto il re delle due Sardegne (Sassari e Torino) è ottimo amico del giaguaro e (oggi) di Giannino Petrucci come lo è stato (ieri) di Ferdinando Minucci. Al quale telefonava anche dieci volte al giorno per chiedergli anche solo il permesso di poter andare a fare la pipì. “Basta che poi tiri l’acqua”. (1- continua)