La Rai non ha trasmesso mercoledì la diretta della partita da Mosca con l’Italia. E nessuno ci ha spiegato il perché. Ovviamente è tutta colpa dei russi. Come no? La Rai come scaricabarili è indiscutibilmente la prima al mondo. Mercoledì è stato il mio compleanno e in molti mi hanno fatto gli auguri: grazie mille, troppo buoni. Per questo non avrei comunque visto gli azzurri di Simone Pianigiani che non potrò più chiamare il Nazareno dopo i miracoli che ha fatto a Siena e i salti mortali che sta facendo in nazionale. Tutta colpa dei giornalisti. Come al solito. Dal duemila il Pd, che allora era ancora il Pci, non ha più sede a Roma in via delle mitiche Botteghe Oscure: non ci poteva più stare – è ovvio – dopo gli ultimi inciuci dei suoi capi e, prima che Enrico Berlinguer si rivoltasse nella tomba, si è trasferita altrove. Oggi è in via Sant’Andrea delle Fratte, non lontano dalla fontana di Trevi, che per convenzione i cronisti politici preferiscono però individuare in Largo del Nazareno. Contenti loro. Ma se poi in una sala del Nazareno, sotto la foto di Fidel Castro e Che Guevara che giocano a golf, e il leader maximo sta pattando senza l’avana all’angolo della bocca, s’infrattano Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, come faccio a chiamare ancora Pianigiani il mio amato Nazareno? E’ impossibile: si rivolterebbe a me lo stomaco. E a lui pure. Insomma al cittì dovrò presto trovare un altro nome. E’ di Siena e della contrada della Lupa. Che oggi però non corre il Palio. No, per carità, figlio della Lupa non lo potrei mai chiamare. Né Simone Mago. Sarei fascista e banale. Fatemi pensare. E intanto cosa vi stavo dicendo? Ah sì, che non avrei comunque visto la nazionale in Russia il 13 di agosto perché è stato il mio compleanno, come l’88esimo di Fedel Castro, tanto per restare in tema, e in nessun modo avrei voluto rovinarmi la festa e contemporaneamente il fegato. In più sono ancora arrabbiato con i sedici firmatari azzurri, capeggiati da Gigi Datome e Alessandro Gentile, e mal supportati da Giannino Petrucci, di una letteraccia contro Hackett che non sono stati capaci neanche di scrivere a trentadue mani, ma che hanno preferito dettare a sedici voci e vi lascio immaginare la confusione. Lo avessero almeno fatto a caldo, subito di ritorno da Sarajevo, dopo che Alessandro Gentile li aveva informati dell’accaduto e delle feroci invettive di Daniel contro i medici e gli ortopedici della nazionale (e di Milano), magari li avrei anche capiti e giustificati. Ma accanirsi in quel modo contro un loro (ex?) compagno di squadra dopo che il disertore era già stato condannato a morte e impiccato con sei mesi di squalifica e più di 350 mila euro di multa, non è piaciuto a me, ma neanche a Luca Chiabotti, voce eccezionalmente libera della Gazzetta dello sport, né a Gianmarco Pozzecco che ben conosce le regole del gioco, né persino ai vertici della Banda Osiris Band. Il che è tutto un programma. Come diceva Nietzsche: possiamo scegliere quello che vogliamo dimenticare. Ma io purtroppo non sono ancora riuscito a dimenticare. Anche se a Mosca si è vinto anche senza Hackett, magari facendo pure schifo, come ha ammesso sorprendentemente Luca Vitali o come ha scritto Bear Eleni che, ringraziando la Rai e tutti i suoi santi protettori, ha visto la partita in una squallida sala-scommesse di chissà mai quale televisione con il commento in russo da tubo. Dio mio, che orrore. Tanto più da chissà quale pulpito viene la predica o vi siete dimenticati, come segnalò Claudio Limardi, allora direttore di Superbasket, oggi della comunicazione dell’Armani, di quella volta agli Europei under 16 di Kaunas in Lituania nell’estate del 2009 quando il cittì Antonio Bocchino chiamò nel cuore della notte Nando Gentile perché lo aiutasse a rintracciare telefonicamente il figlio Alessandro che con altri discoli azzurri aveva abbandonato il ritiro della nazionale e venne all’alba scovato in una sorta di taverna-discoteca, si fa per dire, un po’ su di giri? Quella volta il presidente federale era Dino Meneghin, altro uomo altra pasta, che fece subito rientrare in Italia il sedicenne della Benetton, ma non infierì su di lui con alcun comunicato-stampa. O vogliamo parlare di Gigi Datome già maggiorenne quando giocava a Siena? Lasciamo perdere. Sarà il caso. E chiudo piuttosto informando i dodici apostoli dell’ex Nazareno, impegnati (?) domani a Cagliari con la Svizzera, che Nietzsche, per gli amici Nice, non è il pivot della nazionale elvetica, ma un filosofo tedesco dell’800 che appassionò e influenzò poi Hitler. Mentre non posso rassicurarli che tra loro non ci sia più Giuda Iscariota.