Quella con l’Inter è stata la mia ultima volta allo Stadium

9 marzo, domenica         Sarò breve: più facile a dirsi che a farsi. Soprattutto per me. Sbrodolone che non sono altro. Specie dopo l’ultimo articolo, che io preferisco sempre chiamare pezzo, che non finiva più. Sei cartelle abbondanti che non so se sappiate cosa vogliano dire. Ogni cartella sono più o meno 44 righe. E ogni riga è formata da circa 65 battute in corpo 12. E adesso fate pure i vostri conti anche se non ero affatto male in matematica e tanto meno in greco. Ma ora non ne ho proprio mezza voglia. Solo l’Orso Eleni, che è nato il 4 marzo un anno dopo Lucio Dalla, e al quale mi sono ricordato di fare gli auguri ovviamente con un giorno di ritardo, riesce sempre a battermi. Lunedì sull’Indiscreto, buon sito di Stefano Olivari, peccato che sia un po’ troppo interista e a volte persino intertriste, Gesù Cripto Eleni è andato per esempio oltre le sette pagine “dal labirinto nepalese della capitale sventolando una bandierina dell’Europa infranta, aspettando che la coppa di medaglisti RossiChechi si prenda tutti i premi Sky di “Pechino Express” dividendoli con Mondo Duplantis che ha ricominciato a salire verso la luna, saltando con l’asta per l’undicesima volta oltre la montagna che soltanto lui, svedese della Louisana, può violare. Adesso siamo a 6 metri e 27”. Si può scrivere con più fantasia e immaginazione di così? Non credo. Il guaio è che spesso non si fa capire e allora per questo è sovente criticato. Non da me però. Sempre. Perché ci siamo sparati insieme talmente tanti ma tanti chilometri in macchina correndo dietro a quella benedetta palla nel cestino, migliaia su migliaia, e non esagero, soprattutto di notte, con qualsiasi tempo, nebbia o neve, che 9 volte su dieci riuscivo a seguirlo passo passo in ogni delirio dei suoi articoli di una bellezza straordinaria.

E’ ovvio che, non vedendoci più da prima del Covid, tappati tutti e due quasi sempre in casa per motivi di fragilità senile, la percentuale di comprensione nei suoi confronti è scesa di un buon venti per cento, ma non importa. E’ bello lo stesso leggerlo nel suo viaggio tra Filippine, Thailandia e Nepal (vedi Pechino-Express-12esima stagione che è ripartito su Sky Uno) “per non finire stritolato, avvelenato, dopo aver visto e ascoltato il mondo che si spara, che si odia, che si detesta. Veleni ovali e bombe cadenti, corridoi dove s’annidano falsificatori di firme come al Coni dopo aver scoperto al palazzo Acca (Foro Italico, sede di rappresentanza del Coni) che molti presidenti federali (quali?) hanno soltanto fatto finta d’approvare il documento dal Ministro competente (ovvero?) per concedere a Malagò il quarto mandato”. Forse sbaglio invece io a far nomi e cognomi ed essere molto più chiaro, facendomi così un sacco di nemici. Pazienza! Ma se scrivessi dell’eminenza grigia della nostra pallacanestro che viene dalla “torre ferma che non crolla già mai la cima per soffiar di venti (Dante Alighieri, canto V del Purgatorio)” non sarei più io, molti mi prenderebbero per suonato e non sarei ritenuto credibile persino dai miei aficionados. Che invece sanno benissimo che dirò anche stavolta di chi sto parlando. Ovvero del livornese Massimo Faraoni, di cui ho parecchia stima anche se ci siamo sempre poco frequentati. Il quale solo con il suo appoggio ed i suoi voti ha permesso l’elezione per la centesima volta di Giannino Petrucci alla presidenza federale del basket: questo è poco ma sicuro.

Nelle sei abbondanti cartelle del mio ultimo pezzo non vi ho per la verità nemmeno raccontato tutto. Altrimenti sarei ancora lì a scrivere. Per esempio non vi ho segnalato che la nota più stonata e inquietante delle final eight di Coppa Italia di Torino è stato il patron di Trapani, Valerio Antonini, laureato in ingegneria elettronica, 49 anni, imprenditore romano strapieno – pare – di quattrini e per questo molto apprezzato da tanta, troppa gente, in primis dal mio Giannino molto sensibile di fronte a chi ha un fatturato d’oltre 300 milioni d’euro con 1,7 milioni di tonnellate di grano e di altri prodotti agricoli scambiati. L’Antonini più bullaccio che signore le spara anche parecchio grosse: “L’anno prossimo saremo in Europa: giocheremo l’EuroCup che vinceremo per disputare poi la Champions League”. Come no? Prometteva questo un lustro fa anche Napoleone Brugnaro o chi per lui, il Pesciolino rosso Federico Casarin. E poi si sa come le cose sono invece andate: la Reyer, pur con uno dei budget più alti di tutta la competizione, ha sempre visto i quarti di finale dei playoff con il telescopio. Come mercoledì sera. Nell’unica occasione nella quale Olivetta Spahja avrebbe dovuto utilizzare Davide Casarin (in palla) contro Gran Canaria nel finale punto a punto e non lo ha fatto. Mistero gaudioso.

A Brescia mi ha pure un sacco entusiasmato l’EA7 Armani under 19 che ha vinto per il secondo anno di fila la Next Gen Cup: comunicatelo a quelli della Gazzetta perché mica ancora lo sanno. Battendo di nuovo in finale Tortona e in particolare Luigi Suigo, 220 cm, diciott’anni appena compiuti, varesino di Tradate, qualche presenza (poche) nella squadra d’Ettore Messi(n)a. Il quale fa gola ai colleges della Ncaa che da questa stagione possono offrire, oltre alle cospicue borse di studio, anche un milione di dollari ai giovani fenomeni di tutto il mondo. Come lo è senz’altro Suigo che si muove con un’agilità incredibile e sorprendente per un ragazzo della sua altezza che ha pure un tiro da tre punti da far paura, ma lo sono anche i suoi compagni di club cresciuti dall’età di sette anni nell’Olimpia. E pure questo è davvero fantastico e molto poco italiano. Ovvero l’ala forte Diego Garavaglia e la guardia Achille Lonati. Oltre al playmaker Riccardo Casella (e al lungo Leonardo Adriaan Van Elswyk infortunato) che a Luca Chiabotti e al sottoscritto piace da non dire.

Per fortuna che dovevo essere breve e che volevo scrivere solamente di calcio. Prova ne sia che ho postato la foto che ho fatto dalla tribuna laterale dello Juventus Stadium, che io continuerò a chiamare sempre Juventus Stadium in omaggio ad Andrea Agnelli, e nessuno potrà mai impedirmelo, dopo Trento-Milano 79-63 della finale di Coppa Italia e Juventus-Inter 1-0 della 25esima di campionato. Una domenica bestiale per Daniel(on)e Dallera, il gran capo dello sport del Corriere della Sera, che gli vorrei incorniciare e spedirgliela a casa. Dal momento che non ha accettato i miei sfottò col telefonino e che quella sarà probabilmente anche l’ultima volta in cui andrò a vedere l’ex Signora allo Stadium. Almeno finché ci saranno John Elkann, Cristiano Giuntoli e Panna Montata ai posti di comando di quella società senza un’idea di squadra e senza talento, un bomber e un allenatore.

Col quel freddo cane poi, sotto lo zero, e 200 euro invero lo stesso ben spesi per il gol sinistro di Francisco Conceicao. Che mi ha fatto rivivere per un secondo gioie che credevo finite. Ma che non varrà lo stesso mai uno scudetto. Come ha ipotizzato invece Sebastiano Vernazza, che pure apprezzo come uno dei pochi buoni giornalisti di calcio del quotidiano in rosa, probabilmente l’unico, ma forse quel giorno aveva alzato un po’ il gomito. Capita. E chissà cosa ha intravvisto d’irresistibile nel gioco bianconero. Comunque sia, mi faccio frate e pure interista. Anzi, intertriste e trappista. Chiuso in convento, lo giuro. Qualora la Juve dovesse arrivare prima in classifica, davanti alla Beneamata di Marmotta Marotta o al Napoli del Conte Antonio, il 25 maggio prossimo venturo. Quando all’ultima giornata duellerà a Sant’Elena con il Venezia dello sventurato Eusebio Di Francesco che è già retrocesso da novembre quando è scivolata in casa due volte di fila con Parma e Lecce. Ma non diteglielo: potrebbe restarci male.

Tra poco più d’un’oretta c’è su Dazn Juve-Atalanta della quale seguirò domani gli high light. Stasera ho molto ben altro da fare. Intanto ho da gustare la primizia degli sparagi verdi, che dalle mie parti si chiamano asparagelle e sono particolarmente buoni. Con le uova sode e una goccia d’olio. E poi mi tufferò nelle registrazioni della sesta giornata di ritorno dell’A1 cominciando da Sassari-Venezia di mezzogiorno e continuando con Milano-Treviso. Ieri Napoli ha perso a Cremona e rischia davvero di retrocedere con Pistoia che da un giorno all’altro dovrebbe fallire: quel Ron Rowan non mi è mai piaciuto e non mi ero sbagliato. Così come quel Valerio Antonini per il quale stravede – racconta – Petrucci. Spero invece che dovesse rifilargli Gianmarco Pozzecco e così è stato. Fidatevi. Il Poz ha già firmato per Trapani garantendosi un bel milioncino d’euro per la prossima stagione e assai bene ha fatto. Sì, ma Gelsomino Repesa? Ha le ore contate e alla prossima sconfitta che andrà di traverso ad Antonini sarà messo da parte. Non ci piove. E qui sul serio corro a tavola per la cena. Non prima però d’avervi rivelato perché dopo la prima cartella ho tirato in ballo non a caso Massimo Faraoni, l’eminenza grigia livornese, che spinge a più non posso il suo bravo figliuolo, Luca Banchi, alla guida della nazionale azzurra dopo gli Europei di questa estate. Come vi ho già anticipato nello scorso numero del blog. Perché Giannino in qualche modo deve ricambiare i favori che gli ha fatto Faraoni alle ultime elezioni. D’accordo. Ma sarà comunque ugualmente difficile perché Petrucci e Banchi sono ai ferri corti da una vita. O quasi. Da quando almeno il coach della Maremma ha fatto causa alla Federazione perché il figlio s’era infortunato abbastanza seriamente in un torneo giovanile da essa organizzato. E Giannino è buono, riconoscente e bravo. Ma ha anche la memoria lunga.