Derek Willis, dalla riserva indiana alla nuova bella Reyer

indiano reyer

Il suo nome è Derek Willis, meraviglioso indiano degli Stati Uniti d’America, già ammirato a Brindisi nell’anno dello scudetto Segafredo e del cappotto virtussino (4-0) rifilato all’Armani come mi piace ogni volta ricordare agli smemorati fans milanesi d’Ettorre il Messi(n)a, il più amato da Giannino Petrucci e il più temuto dai giornalisti d’Italia chissà mai per quale ragione. Ma oggi non ho proprio nessuna voglia, guardando il mare che luccica dalla terrazza dell’entusiasmante suite del mitico hotel Aurora, dove ho trascorso le più belle estati della mia vita, di parlare delle solite tristezze e di rovinarmi ancora il fegato con il prepotente che sin da ragazzino doveva portarsi il pallone da casa se voleva giocare a basket nel campetto del patronato di via Aleardi a Mestre. Altrimenti stava a guardare gli altri che erano tutti, cominciando da Marco Palumbo, il figlio del vulcanico taxista, molto più bravi e più simpatici di lui. Sono infatti rimasto ancora un giorno a Jesolo Beach, da dove colpevolmente mancavo da troppo tempo, per non perdermi dopo le semifinali anche l’ultimo atto del torneo in memoria di Luca Silvestrin, il caro pivot veneziano che se ne è andato nell’agosto di un anno fa senza fare rumore, in punta di piedi, com’era suo costume ed educazione, anche quando combatteva sotto canestro e ugualmente otteneva il rispetto da tutti: aveva solo sessant’anni, porca miseria! Ieri sera ho visto infatti Napoli battere Treviso 90-80 con un ultimo quarto da 24-7 che spiega tutto in questa fase della stagione di un campionato che per la verità comincerà tra appena otto giorni, ma forse non dice che la squadra di Marcelo Nicola è molto in ritardo di preparazione e abbastanza fragile come si leggeva nella faccia sgomenta di Adrian Banks ancora fuori uso e tristemente seduto in panchina. Mentre Venezia con le mani in tasca si è imposta 75-62 alla Trieste di Marco Legovic, che, se possibile, mi è sembrata però meno imbarazzante della Nutribullet alle spalle della quale pare soffi sempre Maurizio Gherardini, ieri a Tortona con la Banda Osiris (al gran completo) per mungere le tette all’ultima mucca d’oro della nostra palla nel cestino, ma vi prego: non spargete in giro la voce e tenetevi per favore la piccola malizia tutta per voi. Oggi voglio fare il bravo e anzi ringrazio sin d’ora, ma lo farò meglio domani, Massimo Piubello, ideatore e promotore di questa prima edizione del torneo jesolano al quale mi ha invitato ad assistere. Così adesso, sì insomma dopo cena, la finale del Memorial Luca Silvestrin sarà forse un’altra impari sfida tra l’effervescente nuova Reyer di Walter De Raffaele, sinora ancora imbattuta, e il coraggioso team di Fred Buscaglia e Cesare Pancotto che ho riabbracciato molto ma molto volentieri. Augurando ad entrambi le migliori fortune del mondo se davvero Napoli pretende da loro la conquista quest’anno dei playoff.
Il www.claudiopea.it era prima dell’assalto degli hacker vietnamiti un sito di satira che non si poteva talvolta leggere, lo confesso, sino all’ultima riga perché spesso e volentieri sbrodolava fuori dal piatto, anche se ricco, e poteva pure stancare il lettore che ha sempre la terra che gli brucia sotto ai piedi o i minuti contati. Per far poi cosa? E vallo a sapere. E comunque ho deciso, vi piaccia o meno, che d’ora in avanti metterò un punto senza a capo quando mi sarò anch’io magari stancato di voi che avete sempre qualcosa da ridire sui miei pezzi. Che, se vi vanno di traverso, sapete come la penso: fate pure a meno di leggerli e non per questo mi strapperò di certo i capelli. Adesso infatti qui mi fermo: il risotto di pesce è già in tavola e non ho nessuna intenzione di mangiarlo scotto. Comincia a piovere e così sarà un po’ più complicato raggiungere la palestra Cornaro per il salto della palla a due tra Michell Watt e un lungo napoletano, penso il buon Terrell Williams, che sparacchia i liberi con una mano sola, la mancina, ma potrei sempre anche sbagliarmi: non ho del resto ancora studiato bene i quintetti della imminente serie A e me ne scuso promettendovi che lo farò al più presto. Però avevo cominciato a parlarvi di Derek Willis che è un due metri e zero sei per cento chili, tondi tondi, di cui ho un ottimo ricordo nell’Happy Casa e non posso piantarlo qui in asso. Anzi. Ala forte, anzi molto forte, elegante e svelta, con un tiro da tre da mettere i brividi, è stato la star di Frank Vitucci che ha battuto tutti i record della fantastica storia di Brindisi, seconda nella regular season e semifinalista nei playoff scudetto quando ha dovuto pure lei purtroppo pagar dazio con gli scatenati campioni d’Italia di Sasha Djordjevic. Di Willis, che Federico Casarin ha strappato non so come alla Joventut di Badalona se non con un bel pacco di quattrini (si parla addirittura di un ingaggio da quasi mezzo milione di euro), ricordo soprattutto la partita della Pasqua del 2021 quando fu l’mvp del match con una doppia doppia da 17 punti e 10 rimbalzi nella vittoria (80-71) dell’Happy Casa su Milano allenata, se non erro, ma non penso, dall’insuperabile Ettore Messi(n)a. L’americano del Kentucky ha per lo più una storia affascinate alle spalle di cui vi racconterò meglio un’altra volta. Per ora vi anticipo solo che è un vero indiano, orgoglioso d’esserlo, con un guerriero pellerossa tatuato sull’avanbraccio: da bambino infatti ha vissuto per diverso tempo nella Wind River Indian Reservation perché sua madre appartiene a tre tribù: i Southern Arapahoe (vedi foto, ndr), i Pawnee e i Creek. Non so se mi spiego e comunque credo che ci siamo capiti…