Se Martinenghi è interista, continuo a preferire Paltrinieri

nuoto

Giuro che se l’avessi saputo prima che Nicolò Martinenghi è intertriste come quell’odioso di Massimo Carboni Pontieri che oggi ha compiuto la bellezza di 81 anni portati per la verità benissimo, molto meglio del settantenne Bombolone Condò pur con la crema (acida) di Sky intorno, non avrei pubblicato questa bellissima foto di lui che festeggia con la medaglia d’oro al collo l’incredibile titolo olimpico parigino nei 100 rana. Oltretutto battendo d’appena un paio di centesimi di secondo, dico due, un mio lontano parente inglese, Peaty, di nome Adam, che noi in famiglia chiamiamo George e adesso preghiamo tutti che non ci cada di nuovo in depressione come gli è già successo dopo la conquista del record mondiale che ancora detiene sulla stessa distanza. Scherzi a parte, sinceri canestri d’auguri al grande Massimo, la Voce della pallacanestro quando la nostra si faceva sentire in tutto il mondo e non si faceva tacere da nessuno. Men che meno da Porto Rico. Capito mi hai, caro Pozzecco? E solo un paio di paroline all’orecchio del biondo e simpatico varesino: “Ma quanto culo hai?”. Ora infatti non è più segreto che Adam George Peaty abbia ieri gareggiato con il Covid addosso. Come è stato confermato stamattina dal tampone. Ovvero molto prima dei siti di Urbano Cairo che non danno più una notizia dai tempi in cui non esisteva ancora il cellulare e si viveva cento volte meglio. Anche se magari l’articolo sulla prima medaglia vinta dall’Italia all’Olimpiade di Los Angeles del 1984 nel tiro a segno l’ho dettato a braccio da una cabina telefonica nel deserto californiano a un centinaio di chilometri da Hollywood e con minimo 40 gradi all’ombra, neanche un goccio d’acqua e senza sapere se Edith Gufler avesse conquistato l’argento o il bronzo nella carabina 10 metri ad aria compressa. Questo te lo correggiamo poi dopo noi, non ti preoccupare. Mi disse Saverio Sardone dalla redazione milanese del Giorno. Settanta righe. E in fretta. Che il direttore (il grande Guglielmo Zucconi, ndr) vuole metterle in prima edizione e in prima pagina.

Giuro che non mi sto inventando nulla. Stavo seguendo il secondo giorno di gare di tiro al piattello fossa in un clima torrido e da una tribuna infuocata d’americani tutti bianchi che a migliaia facevano un tifo caldissimo per il loro Carlisle. Di cui, mi spiace, non ricordo più il nome. Forse John. Che va sempre bene comunque da quelle parti. “U-s-a, U-s-a, U-s-a” urlavano in coro di continuo sillabando a squarcia gola ogni lettera ad ogni doppietta centrata dal loro beniamino. John Carlisle sparava davvero come uno sceriffo nei film sugli indiani. Poveretti. Che avevano solo l’arco con le frecce. Anche meglio del nostro cecchino pistoiese, il 38enne Luciano Giovannetti, sempre imperturbabile e sorridente, campione olimpico quattro anni prima a Mosca con 198 piattelli spappolati su 200. Quando però non c’erano gli Stati Uniti d’America che avevano boiccato i Giochi. E stavolta non c’erano i sovietici. Ebbene avevo appena finito di dettare dalla cabina dell’improvvisato ufficio-stampa rovente il pezzo di Giovannetti terzo a due colpi da Carlisle. Sarà stata l’ora di pranzo in California e quindi il dopo cena nel BelPaese. Già sognavo un boccale di birra ghiacciata. E invece: “Non lontano da dove sei ora tu ci deve essere il poligono olimpoco di tiro”. Sì, a mezzora da qui. “E’ appena arrivata una France Presse che dice che un’italiana di nome Gufler con una sola effe ha appena vinto la medaglia d’argento nella carabina. Ma contemporaneamente l’Ansa afferma che la medaglia è di bronzo. Comunque sia, non ti preoccupare: correggiamo noi. Tu intanto ci spari in un lampo 70 righe. Ti passo gli steno”. Detto e fatto.

Giuro che di questa Gufler non sapevo un accidente di niente se non che si scriveva con una sola effe perchè me l’aveva appena comunicato il mio inflessibile e ruvido capo redattore. Per fortuna, nella borsa della macchina per scrivere, tra le scartoffie e un pacchetto di patatine fritte in briciole, avevo anche un libricino del Coni dal quale appresi, pensate un po’ la fortuna?, che la ragazzina aveva 22 anni, era nata a Merano e si chiamava Edith. Ma era bionda come Martinenghi o nera come Giorgia Meloni? Vallo a sapere. Me la sono immaginata allora con le treccine bionde e c’azzeccai. Golosa di marmellata spalmata sul pane nero col burro e almeno su questo non mi potevo sbagliare. Sì, ma poi? Mi sono inventato che tutti in città la conoscevano e la chiamavano la Calamity James del Passirio perchè sin da bambina scappava nei boschi e con la fionda non sbagliava un colpo nel tiro ai barattoli di latta in fila sulla steccionata di legno. Ora non mi crederete, ma tranquillamente potete leggerlo domani su Wikipedia: a Merano per tutti Edith Gufler è la Calamity James dell’84. Robe da matti. Mi andò bene. Di più. Benissimo. Come ieri al meraviglioso Nicolò.

Giuro che la prossima volta vi confesserò anche la seconda parte della storia altrettanto curiosa della Gufler che alla domanda “cosa fai nel tempo libero?” rispose: “Lavoro alla pompa di mio padre”. Oggi vi racconterò soltanto che il giorno dopo, dopodomani come quarant’anni fa, il 31 luglio 1984, Luciano Giovannetti entrò nella storia del tiro a volo con la prestigosa conquista del secondo titolo olimpico consecutivo nel trap dopo spareggio con Carlisle, che ora ho scoperto come si chiamava: Daniel, e il peruviano Francisco Boza. Intanto sono andato a cercare sul mio blog se ricordavo bene che Greg Paltrinieri invece non è tifoso della Beneamata come Nicolò Martinenghi e come non si è dimenticata di sparare oggi la Gazzetta intertriste. E non mi sbagliavo. Ho trovato infatti un titolo del 30 luglio, come domani, ma del 2021: “Il superjuventino Paltrinieri, la medaglia più bella d’Italia“. Non mi credete? Andate allora a cercare l’articolo alla voce “Le mie Olimpiadi” e anche voi senza fatica lo beccherete. Comincia così: “Scacciapensieri scanzonato a cinque cerchi e senza prigionieri da Tokyo. La cosa più bella delle Olimpiadi è che per un paio di settimane non si parla di pallone”. Tre anni fa come oggi: in effetti sono un po’ ripetitivo, ma in compenso non mi sbaglio quasi mai sulle cose e sulla gente. “Il Conte Antonio è in trattativa con Sky. Per andare a far cosa? Lo scamiciato nel salotto del coatto Caressa o l’intellettuale con Bombolone Condò in quello di Anna Billò che proprio Leonardo doveva sposare?”.

Lo giuro: domani Greg scenderà in vasca negli 800 metri per provare a vincere un’altra medaglia ed io sarò il suo primo supertifoso. Assieme a Max Allegri e alla Joya Dybala. Pochi ma buoni. E fedelissimi. Più dei carabinieri Maldini e Monna.