Non me ne ero assolutamente accorto che il numero 15 di Varese avesse domenica al Taliercio una maglia diversa da quella dei suoi compagni di squadra. Che volesse da loro prendere le distanze? Avrebbe fatto bene e l’avrei anche applaudito per il coraggio dimostrato in questo mondo di capre, come direbbe Vittorio Sgarbi, e di pecoroni, come dico io. Perché non si può giocare così da cani, perdere in quel modo e far poi tutti finta di nulla. In verità Ovidijus Varanauskas, playmaker di chiare origini lituane, difatti è di Vilnius, 25 anni a febbraio, non è stato per niente eroico e nemmeno ribelle, né contestatore: semplicemente per lui non c’era una maglia bianca come le altre undici dell’Openjobmetis, o come cavolo si scrive, e quindi Varanauskas ha dovuto infilarne una di fortuna che chissà dove il magazziniere era andato a pescare. Adesso, se mi aiutate anche a scoprire quale fosse la tinta della canotta indossata dal baltico ex sovietico, ve ne sarei immensamente grato visto che me ne sono andato dal palasport di Mestre che era appena iniziato il quarto periodo e il giovanotto di Paolo Moretti non aveva ancora messo il naso sul parquet. Sia chiaro: non mi sono perso assolutamente niente. La Reyer di Re Carlo Recalcati e Walter De Raffaele stava già volando verso una vittoria molto abbondante. Nel parterre fucsia tutti avevano già abbracciato il sindaco di Venezia e la bella first lady, e a entrambi avevano opportunamente fatto gli auguri di Natale e di buon anno nuovo. Gennaro Sangiuliano, il vice direttore del Tg1 che deve aver anche scritto qualche libro con Vittorio Feltri (e per questo non c’è pericolo che l’abbia letto), aveva già rilasciato l’intervista di rito a bordo parquet nella quale si era complimentato per il grande entusiasmo che circonda ultimamente l’Umana e per una città tutta raccolta intorno alla sua squadra di basket. All’intervallo, come non accadeva dalla partita con Capo d’Orlando alla seconda di campionato, Napoleone Brugnaro s’era già infilato nello spogliatoio oro granata senza neanche bussare e aveva spronato la squadra a far bene. Usando un po’ il bastone e un po’ la carota. Di modo che è adesso non c’è più il minimo dubbio: la Reyer è tornata dopo quasi un mese alla vittoria per esclusivo suo merito e non perché giovedì Re Carlo, che un giorno o l’altro faranno anche santo, è venuto a mangiare una pizza (di buon augurio) con me dai fratelli salernitani a Marghera. Apro parentesi: che Sangiuliano, vice in Rai pure del famoso direttore Augusto Minzolini, e definito da DagoSpia “più leghista delle camicie verdi di Matteo Salvini”, non sia di queste parti ma di Napoli, è ovvio quanto scontato. Altrimenti per dirla come diciamo noi non avrebbe detto tante monate in una volta sola. Difatti l’ha sottolineato anche il Gazzettino del lunedì: erano anni che al Taliercio non si vedeva così poca gente (su per giù duemila paganti) e così fredda e salottiera, esigente e spocchiosa. Mentre contemporaneamente a Treviso, distante non più di trenta chilometri da Mestre, il Palaverde era quasi tutto pieno, cinquemila persone, tifo alle stelle e vittoria del Pilla all’overtime su Mantova in una sfida accesa, ma comunque pur sempre di seconda serie. Chiusa parentesi, e ribadito che Venezia contro questa Varese avrebbe vinto anche a porte chiuse, con il sindaco alle Maldive e Goss alla Locanda da Rinaldo, torno al mio Ovidio lituano che in quattro minuti, score alla mano, non ha segnato neanche un punto, ha sbagliato una tripla e conquistato un rimbalzo difensivo. Ma in compenso si è beccato, o, meglio, la società per lui, 750 euro d’ammenda dal giudice sportivo “per aver indossato una maglia di colore diverso da quello della sua squadra”. Come il libero nella pallavolo che può giocare solo in seconda linea e non può dunque schiacciare a rete e murare. Di qui mi è venuto il sospetto che Varanauskas abbia sbagliato sport. Come del resto il presidente di Varese, Stefano Coppa, che si ostina a non volersi dare all’ippica quando lunedì alle Bettole sono in programma ben sei corse e una potrebbe anche vincerla. Intanto per tutti ha pagato Ramon Galloway, non certo il più colpevole domenica al Taliercio, sbattuto dietro la lavagna e fuori rosa. Ma ormai nessuna delle nostre grottesche storie di palla nel cestino riesce più a divertirmi o a meravigliarmi se Cantù è contenta della sua montagna russa e Milano del suo Gelsomino, se Giannino s’inventa che Messina ha vinto un titolo Nba e se a Sky va di lusso se la domenica a mezzogiorno attira ventimila telespettatori per la sua diretta di basket, se Crovetti fa fuori Villalta e la Virtus lo promuove giemme per altre due stagioni, se Petrucci è ancora presidente della federazione e se la Gazzetta è in apprensione perché Cerella potrebbe anche dare forfait stasera a Pesaro e se tutti quelli degli altri sport ci ridono dietro. Anche i polli. E ormai ci abbiamo purtroppo fatto il callo.