Hanno visto Ettore Messina al casinò di Las Vegas. Puntava con disinvoltura mille dollari sul nero e altri mille contemporaneamente sul rosso. Così – pensava – non perdo mai. E lui – si sa – odia perdere. Anche a rubamazzetto. Peccato che sia uscito per ben tre volte lo zero, che nella roulette americana sono due, e abbia perso quasi tutto. Tranne i soldi per tornare in super pullman a San Antonio. Che non è proprio dietro l’angolo. Devi infatti pur sempre attraversare tutta l’Arizona e il Texas. E meno di dieci-dodici ore, come minimo, non c’impieghi. Anche correndo a 200 all’ora. Morale della favola: non vorrei che, per tenere il piede in due staffe, gli succeda quel che è accaduto a un mio caro amico. Che aveva una moglie e un’amante. E non sapeva decidersi con chi stare. E così l’hanno tutte due piantato in asso: una alla mattina e l’altra alla sera. Lasciandolo per l’appunto in braghe di tela dalla mattina alla sera. Ora al veneziano nato a Catania, e non come tutti pensano a Messina, questo non potrà mai capitare: con tutti i soldi infatti che ha meritatamente guadagnato in carriera, specie nei sei anni a Mosca, dal 2005 al 2009 e dal 2012 al 2014, non morirà mai di fame. Anzi, potrebbe mantenere due ma anche tre famiglie di qui al 2049. Quando lui compirà novant’anni e io farà un secolo di vita. L’erba cattiva del resto non muore mai e io, se mi ci metto, so essere anche più tremendo di Giannino Petrucci. Che mi dicono si sogni di me tutte le notti. Esagerati. Penso piuttosto che se le sogni di notte e, svegliandosi al mattino, sempre alle sei e un quarto, mai dopo, prenda le decisioni più cervellotiche di questo mondo per finire tutti i giorni sui quotidiani. Una volta, quand’era ancora segretario della federbasket, ricordo che non gli era andata bene che l’Italia, campione d’Europa in carica a Nantes ’83, fosse arrivata solo quinta alle Olimpiadi di Los Angeles e così, tanto fece, che alla fine licenziò il mio amato cittì, Sandro Gamba, per sostituirlo con Valerio Bianchini. Risultato: gli azzurri neanche si qualificarono per i Giochi di Seul del 1988. Anche allora, come il 13 ottobre di quest’anno, ho dato per primo la notizia del cambio di guardia alla guida della nazionale e dell’ennesima canagliata ordita da Petrucci alle spalle degli ignari commissari tecnici, ma almeno stavolta Giannino non mi ha tirato giù dal letto, che non erano ancora le otto, per smentirmi tutto al telefono, ma dopo un paio di settimane ha chiamato il Maestro Canfora, che non ho ben capito ancora se si chiami Bruno o Mario, perché scrivesse sulla Gazzetta che aveva fatto fuori Simone Pianigiani, solo quinto o sesto agli Europei di Lilla, per prendere part-time Ettore Messina. Col quale senz’altro vinceremo una medaglia alle prossime Olimpiadi di Rio de Janeiro. Almeno quella di bronzo. Altrimenti cosa l’ha preso a fare? Veramente Mario Bruno Canfora obiettò a Petrucci che non poteva far passare il mio scoop come farina del suo sacco, ma Giannino quel mattino non volle sentir ragioni: “Se non lo scrivi tu, lo faccio scrivere ad un altro. Non so per esempio al tuo vicedirettore Zapelloni Mazzanti Vien dal Mare che già è stato molto carino con me a fine settembre quando ha avvallato la mia improponibile tesi secondo la quale il nostro Europeo di Berlino e Lilla è stato un fallimento. E poi il blog di quella carogna non lo legge nessuno”. La stessa cosa una volta la disse Federico Casarin e da allora tutti infatti lo chiamano come lo chiamo io: il Pesciolino rosso. E comunque a me non importa che non sia dato a Cesare quel che è di Cesare. A me basta soltanto che Dindondan Peterson, ovvero non proprio l’ultimo della pista, abbia salomonicamente scritto: “La scelta di Petrucci di sostituire Pianigiani con Messina è stata svelata da Claudio Pea sul suo blog una decina di giorni fa e ripresa sabato dalla Gazzetta dello sport”. Sentitamente lo ringrazio. Però vi stavo dicendo un’altra cosa. E cioè che al mio compaesano non piace mai perdere. Una volta, quando allenava la Virtus, perse all’over time un derby con la Fortitudo, ma in conferenza-stampa preferì che si dicesse che la partita era finita in pareggio. Un’altra volta, quando allenava il Real Madrid, perse di trenta punti in casa con la Montepaschi di Pianigiani, ma prima che girasse la voce che Simone era diventato più bravo di lui, diede in fretta e furia le dimissioni affinché si parlasse solo di questo e non d’altro. Quanto al piede in due staffe, non vorrei che Ettore Messina neanche si qualificasse per le Olimpiadi di Rio e che, al tempo stesso, non vincesse nemmeno la corsa alla successione di Popovich agli Spurs. Pensaci bene, Sam. E quanto meno, prima di dare un sì definitivo a Giannino, aspetta di vedere quali nazionali l’Italia incontrerà nel torneo preolimpico di Torino. Perché se tra queste ci sarà la Francia, lascia perdere. E resta a San Antonio. Dove non si sta poi così male. E nessuno mai ti rinfaccerà che due milioni di euro lo Stato e il Coni li avrebbero anche potuti risparmiare, specie di questi tempi, solo per accontentare il sindaco di San Felice Circeo che, prima di dar fuoco ai senesi, odiava con tutte le sue forze Giovanni Malagò. E nessuno mi dica che non è vero perché lo sbrano.