Per fortuna che c’è Mestre nel mio basket che va a rotoli

Non ho mai scritto il 16+1 di un qualsiasi mese dell’anno. E così ho fatto pure oggi. Anche se stavolta non è caduto di venere (venerdì) e nemmeno di marti (martedì) “quando non ci si sposa e nemmeno si parte” come si raccomandava la mia cara nonna Adele che davanti a casa, in via Verdi, a Mestre, aveva un magnifico giardino d’ortensie che sono forse la prima cosa bella che ho avuto dalla vita e di cui ho ricordo. Sotto le ortensie, di un colore tra il viola e il blu intenso, mi andavo a nascondere attento a non calpestare i candidi mughetti che profumavano sempre di buono. Ed ero ancora così piccolo – l’avrà forse capito persino Ciccioblack Tranquillo che non era ancora venuto al mondo in un grotta milanese piagnucolando tra il bue e l’asinello – che al confronto il playmaker tascabile, Muggsy Bogues, quasi mille partite nella Nba con Bullets, Charlotte, Warriors e Toronto Raptors, mi sarebbe sembrato un gigante di ben un metro e 58 centimetri coi tacchi. Però, siccome stasera c’è la Gemini capolista di serie B al Taliercio contro l’insidioso Legnano e domani Venezia-Atalanta a Sant’Elena, o butto giù qualcosa subito, e pure in fretta, tanto per dire, oppure per questa settimana salto di scrivere. E pazienza: sempre meglio che saltare dalla finestra visto che non abito al piano terra.

Del resto mi sono abbonato sia alla squadra d’Eusebio Di Francesco che sarà anche bravo però non c’è pericolo che si salvi una sola volta, sia al Basket Mestre nonostante, se volessi, mi riempirebbero di biglietti omaggio, ma voglio anch’io contribuire a pagare l’alto subaffitto del Taliercio a Napoleone Brugnaro o, meglio, al suo Pesciolino Rosso che della Reyer è l’attuale vero presidente e padrone. Che al massimo si consulta con Stefania e Andrea, moglie e figlio del mio sindaco, per non fare altri acquisti sbagliati come quelli di quest’estate. Uno su tutti Xavier Munford che soltanto Federico Casarin e Giuseppe Sciascia non erano a conoscenza del fatto che la trentaduenne guardia del New Jersey fosse mezzo rotto. Altrimenti Giuseppino non avrebbe recentemente scritto: “L’esperto esterno ex Hapoel Tel Aviv è stato l’ultimo colpo del mercato orogranata, arrivato dopo un lungo corteggiamento (sic!), che porterà le sue qualità realizzative tra sospensioni (di qualche mese) e iniziative dal palleggio (oltre che un sacco di fasce e ginocchiere, ndr).

Oltre tutto stasera il magico Jannik Sinner si gioca a Riad ben sei milioni di dollari, sì, proprio sei milioni di petrodollari d’Arabia, con Carlos Alcaraz, l’unico avversario che lo può oggi come oggi (forse) ancora battere. E poi ci sarebbe la diretta finalmente su Sky, e non sul pericolante Dazn, della Juventus che nel suo stadio affronta la Lazio che ha i suoi stessi punti in classifica come del resto l’Udinese, ma due più del Milan ed è questo che esalta gli idioti tifosi bianconeri che hanno fatto il gioco di John Elkann: eliminare l’unico vincente di successo rimasto in casa, Max Allegri, e prendere Panna Montata Motta che non fa giocare Danilo, l’anima della Signora di Acciuga, nonostante l’assenza sino a fine stagione di Bremer, perché glielo ha suggerito la società che vorrebbe abbassare lo stipendio al nazionale brasiliano. E comunque mi sono registrato sia la partita di Sinner che quella della Juventus che mi vedrò domattina in televisione. Seduto beatamente sul sofà prima d’affrontare una nuova odissea dal centro di Mestre all’isola di Sant’Elena, in filovia e poi in battello, sperando che non ti portino via il portafogli e soprattutto che non piova. Ma chi te lo fa fare? Già, è quello che mi chiedo ogni giorno anch’io.

E comunque, tranquilli, che al plurale, ve lo ripeto, si può usare senza toccare ferro, vado avanti a scrivere le mie cazzate almeno sino a quando non sarà l’ora di raggiungere in macchina il Taliercio in meno di un quarto d’ora, rispettando i limiti di velocità e sperando che la Gemini di Cece Ciocca ripeta l’entusiasmante match infrasettimanale con il Lumezzane che nel piccolo ma elegante PalaVega in campagna, tra le galline e i conigli, le vigne d’uva fragola e il granoturco, ha perso la sua imbattibilità cedendo al Mestre per 92-79. Per la verità il piacevolissimo primo tempo s’era chiuso in parità (44-44) che quelli bravi definirebbero perfetta nemmeno potesse esistere una parità imperfetta. E nella ripresa la mia unica squadra del cuore ha preso il largo trascinata dal due metri tondi tondi, Simone Aromando (nella foto anche perché lui non lo sa ma è il mio occhio destro, ndr) proprio in coincidenza con l’infortunio capitato al playmaker lettone Marcis Vitols che si è storto la caviglia e che in 22 minuti aveva già segnato 16 punti facendo girare la squadra come un orologio svizzero. Però sono sicuro che la Gemini avrebbe comunque vinto: me lo sussurra il cuore ma pure la mia zucca.

Il Basket Mestre può sperare nell’A2? Ve lo saprò dire dopo Natale. Adesso è troppo presto. Di sicuro giocherà i playoff a meno di cataclismi. Così come è certo che, se non dovesse pagare l’affitto alla Reyer per una quindicina di partite e se le squadre promosse non fossero soltanto tre di quaranta divise in due gironi, potrebbe sempre rinforzarsi con uno straniero di qualità al quale per ora ha rinunciato non avendo i soldini in scarsella. Oggi poi scrivo anche perché rischio di dimenticarmi di tirare le orecchie a Umberto Gandini, presidente della Lega del basket di A1, sempre molto indaffarato a giocare a golf sui fairway e i green di Varese, che invano rincorro telefonicamente almeno dalla Santa Pasqua.

Quando volevo soltanto regalargli un canestro d’auguri sinceri e non ruffiani. O forse, senza volerlo, l’ho in qualche modo contrariato con la mia lieve e innocente satira? Non credo e comunque, solo per sua informazione, Giannino Petrucci mi risponde sempre se non al primo squillo al secondo e, se è impegnato in assemblea federale o a tavola, m’assicura di richiamarmi al massimo nel giro di dieci minuti. E lo fa in cinque. Come l’altro giorno quando mi ha invitato a vedere la prossima partita della nazionale il 25 novembre a Reggio Emilia contro l’Islanda. Vedrò. Ma non lo escludo. Tanto più che martedì sera all’Unipol Arena di Casalecchio, dopo anni annorum di silenzi di tomba tra me e lui, Gianmarco il P(r)ozzecco mi ha allungato la mano per salutarmi e io molto volentieri gliel’ho stretta. E poi si è anche chiacchierato di pallacanestro, guardando dalla prima fila della tribuna Segafredo-Zalgiris, ma non vi rivelerò mai e poi mai quel che ci siamo detti. Altrimenti a più di qualcuno, al quale comunque saranno fischiate le orecchie, potrebbe venire un coccolone avendo il Poz ed io smontato in tre secondi parecchie delle loro infinite certezze cestistiche e psichiche. Sicuramente l’evento meriterebbe più tempo e più spazio. E come minimo un titolone sul mio blog. Ma per il momento teniamo la pace ben stretta tra noi in Europa anche perché non è stata ancora firmata.

Tirando invece in ballo Tyrone Bogues lo sapevo che non avrei potuto non parlare dell’indimenticabile Mondiale di Spagna del 1986, per la prima volta col tiro da tre punti, al seguito dell’Italia di Valerio Bianchini, sfortunato debuttante nel ruolo di cittì, che gli Stati Uniti d’America tornarono a vincere dopo 32 anni vendicando la dolorosa sconfitta nella finale del 1982 a Cali, in Colombia, d’un solo punto (95-94) con l’Unione sovietica del fantastico lituano Arvidas Sabonis. A Malaga senza Dino Meneghin, ma con Pierluigi Marzorati e Renato Villalta, Antonello Riva e Meo Sacchetti, Sandro Dell’Agnello e Roberto Premier, Costa e Magnifico, arrivarono subito quattro incoraggianti vittorie azzurre su altrettante partite con Cina, Portorico, Costa d’Avorio e Germania. Poi i primi dolori nella sorprendente ed entusiasmante Oviedo dove, se potessi e avessi qualche anno di meno, andrei a vivere di corsa.

Purtroppo la tanto sospirata, pure a quei tempi, diretta sulla rete ammiraglia della Rai coincise con il bruciante 102-76 in favore della Jugoslavia che, dopo la battuta d’arresto anche con il team a stelle del play mignon di Baltimora, ma pure del due e 16 David Robinson, l’ufficiale della marina che avrebbe pure conquistato due ori olimpici, ci sprangò definitivamente le porte nella corsa alle medaglie di Madrid. Ma ci stava. I plavi infatti erano allenati da quel genio di Creso Cosic, col quale ho avuto la fortuna e l’onore di pranzare più d’una volta a Bologna assieme all’avvocato Gigi Porelli e a Lucio Dalla. Non so se mi spiego. Oltretutto le triple furono pane per i denti del formidabile reyerino Drazen Dalipagic che sparò 32 punti in faccia ai nostri storditi campioni. Senza dimenticare, come posso?, i 41 punti segnati insieme dei terribili fratelli di Sebenico, Aza e Drazen Petrovic, il ventunenne Diavolo che ci ha lasciato a ventotto. Su una strada della Baviera. In un assurdo incidente autostradale alle cinque del mattino. Contro un camion che aveva invaso la corsia che non era la propria. Guidava Klara, la fidanzata. Drazen dormiva stanco per la partita giocata la sera con la nazionale croata in Polonia. Un talento che non ho ancora finito di piangere e che non finirò mai di rimpiangere. Con la lingua fuori e gli occhi che vedevano il canestro grande come un grattacielo.

Di quel Mondiale, il più bello probabilmente della storia dello sport più appassionante – non ci piove –  che esiste al mondo, una gemma fu anche la semifinale tra l’Urss e la vecchia Jugoslavia che voglio sperare non possiate non conoscere. Difatti, e non per dispetto, non ve la racconterò. Però mai saprete cosa disse la mia Tigre a Luisa Zambon, l’unica possibile e immaginabile consorte dell’Orso Eleni, ex azzurra nella seconda metà degli anni 60, se non ve lo racconto io. Ma non adesso. E non per farvi un dispetto. Ma perché con questo episodio, o con quello del bosco d’ortensie di mia nonna, inizierò il libro che andrò a scrivere con l’arrivo del 2025. Così farò contenta mia figlia Giorgia sperando che poi non rompa più. Vi ricordo soltanto che a 49 secondi dalla fine del match la squadra di Cosic aveva 9 punti di vantaggio sui sovietici allo sbando di Volkov, Kurtinaitis, Homicius, Tkacenko, Valters e ovviamente Sabonis. Eppure ai supplementari vinsero loro. Di un punto: 91-90. Con Sergio Tavcar in lacrime che doveva anche amaramente sopportare in silenzio il gesto dell’ombrello che tifosi avversari e spagnoli gli rivolgevano sghignazzando.

Sono una bestia. Mi sono di nuovo perso dietro a tutto quello che non potrò mai dimenticare e così pure oggi Umberto Gandini l’ha fatta franca. Anche se in verità posso tranquillamente non farmi ancora del male rivangando le vergognose sconfitte in serie durante la settimana nelle coppe dell’Armani che l’Innominabile poteva sinceramente costruir meglio con 50 milioni d’euro nel portafogli. Per non parlare di Trento che certe figuracce, 40 punti di scarto (110-70) con una squadra turca che credo si chiami Bahcesehir, ce le poteva anche risparmiare semplicemente rinunciando ad una EuroCup che da tre anni la sa soltanto sfiducinando. O della Virtus che pare già stanca morta a quindici giorni dal 2 novembre: ma si può? E poi Gandini è d’accordo con l’Innominabile quando ha affermato che il nostro, checché se ne dica in giro, è il secondo campionato d’Europa. Ma in quale film? Comico o di fantascienza?

PS: ovviamente dopo aver parlato tanto bene del Mestre i biancorossi di Simone Aromando (19 punti) hanno nettamente perso (69-79) stasera in casa col Legnano. Niente da dire se non a me stesso: “Copite!”.