La Tigre dice che “tutti quei giornali puzzano”. E allora spalanca le finestre. Incurante della mia polmonite bilaterale. Che mi voglia ammazzare? E’ molto probabile: qualche buon motivo in effetti ce l’avrebbe e i giudici la potrebbero anche assolvere con formula piena. In verità i quotidiani, accatastati uno sopra l’altro in un angolo della stanza, puzzano sul serio e la Gazzetta dello sport in particolare. Di cosa poi odori lo sappiamo bene tutti: basta leggere qualche articolo, magari sul divino Giannino, di un paio di giovani ArLecchini di Mamma Rosa e ti sembra d’essere rinchiuso in una stalla tra le mucche che soffrono di gastroenterite e passano le ore al gabinetto. Come succede pure agli umani quando esagerano con la pasta e fagioli. Non sfoglio i giornali da domenica e quindi la pila di carta è già più alta di Renato Brunetta. E l’olezzo nella mia camera è sempre più insopportabile. Del resto se non voglio conoscere i risultati delle partite dell’Armani in EuroLega con l’Olympiacos e il Real Madrid prima d’averle viste su My Sky, non basta che mi barrichi in casa, spenga il cellulare e non navighi su Internet. Bisogna anche che tenga soprattutto lontano da me i quotidiani. Come Gesù con Satana. Lo so: adesso penserete che sono parecchio svitato, e non vi posso in effetti dar torto, ma se mi è stato consigliato di non uscire ancora per qualche giorno di casa, sarò almeno libero di scegliere come passare il mio tempo o devo chiedere, viva dio, il permesso anche per questo al tiranno di Valmontone che ha già proibito a Dindondan Peterson e al suo editore di farmi ancora scrivere su SuperBasket? Per carità, non è che guadagnassi chissà quali cifre. Anzi, tra benzina e autostrada, un caffè e un succo d’arancia, quando non mi dovevo anche pagare la cena, non facevo neanche pari e patta. Ma vi ho raccontato questo non certo per piangere miseria, anzi: sono opulento di mio e le interviste che facevo mi hanno arricchito ancor di più. Quanto per convincervi definitivamente che la nostra è una pallacanestro di regime. Dove comanda uno solo e chi non sta con Lui, si chiamino anche Paternicò, Paternoster o Citofonare La Monica, è messo subito alla gogna ed è deriso dai giullari dei giornali di corte. Ha in pugno i fischietti e i tribunali sportivi, accentra su di sé tutti i poteri e decide persino quanto devono durare i consigli federali. Al massimo un’oretta. E, se non ci sono domande, meglio. Poi si va tutti a pranzo. Dove? Dove decide Lui, sempre con l’elle maiuscola: mi pare scontato. Una volta si andava tutti al Casale. Mi ha spiattellato Giuda Iscariota sentendosi tradito e volendosi vendicare. Due passi a piedi. Amatriciana, gricia e abbacchio. E una crostata di mele o di more, di ciliegie o di fragole. A seconda della stagione. Squisita comunque. “Me ne incarti un’altra fetta che me la porto a casa”, chiedeva Petrucci ed era sempre accontentato. Una volta però il padrone del Casale aveva il locale pieno di gente e scosse la testa di fronte alla solita petulante richiesta. “La crostata è finita”, sospirò tra il serio e il faceto. Giannino s’alzò allora da tavola di scatto. Stizzito e imbronciato. Rinunciò al caffè, fece pagare il conto al segretario e aspettò i consiglieri federali fuori dalla trattoria. “Io qui non ci metto più piede”, disse puntando le mani sui fianchi. “E guai a voi – aggiunse – se verrò a sapere che uno di voi ci è tornato ancora”. Stasera dopo cena mi vedrò Milano che ha giocato martedì al Pireo e ieri sera al Forum. E domani vi saprò dire. Intanto ho buttato l’occhio sulla nuova Nba. San Antonio che legna in quel modo (129-100) i Warriors di Steph Curry e Kevin Durant all’Oracle Arena. Non volevo crederci. Pazzesco. E grande Gregg Popovich. Mentre non riuscirò mai a capire come faccia Ettore Messina a tornare in Italia per sopportare ancora uno come il tiranno di Valmontone che gli ha fatto già fare una figura da pollo al preolimpico di Torino e che non riesce neanche a tesserare Ryan Arcidiacono, il playmaker che è almeno tre volte meglio del Cincia e del Poeta messi insieme. La prima del Gallo, neanche un punto nella ripresa, solo tredici in tutto, è stata invece una vittoria a New Orleans molto più sofferta di quella degli Spurs a Oakland. Perché il pellicano Anthony Davis ne ha segnati comunque 50. Più sedici rimbalzi. Però attenzione: sarà ugualmente molto dura per i Nuggets conquistare i playoff almeno sino a quando si terranno Michael Malone come allenatore. E se anche mi sbagliassi, pazienza: la Nba non è di certo in cima alle mie passioni senili.