Anche Napoleone Brugnaro c’è rimasto davvero male. Lo capisco, ma si fidi: clamorosamente si sbaglia e non di poco. Come chi dell’imperatore dei francesi ricorda solo Lipsia e Waterloo o l’esilio a Sant’Elena, nell’isola dimenticata sull’oceano Atlantico, dove spirò il 5 maggio del 1821, e non le travolgenti vittorie nelle battaglie di Jena contro il celebrato esercito prussiano e di Austerlitz, quando, pur in chiara inferiorità numerica, sconfisse le truppe dello zar Alessandro I di Russia e di Francesco I d’Austria. Sarebbe servita un’altra impresa. Come quella di lunedì sera al Taliecio. Che non è purtroppo arrivata. Perché l’Armata di Armani è più forte e questo, spero, non l’abbiate scoperto ieri. Perché alla lunga retrocedi di un passo e quelli ti asfaltano, ti stritolano, ti piallano. Perché sono tutti più grandi e grossi di te, ma probabilmente anche più svelti e bravi: che ne dite? O mi sbaglio? Perché stavolta Gelsomino Repesa, che pare un orco ma è dolce come il miele, ha capito che, rinunciando ancora generosamente a Rakim Sanders, magari avrebbe meritato la nomination al Premio della Bontà sant’Antonio di Padova 2016, ma avrebbe rischiato di perdere forse il posto di lavoro e allora ha fatto giocare l’mvp dei playoff 2015 che ha oscurato Melvin Eijm prima di storcersi la caviglia e di lasciare il parquet sulle stampelle dell’amico Giustino Danesi e del fisioterapista Claudio Lomma. Che poi il tecnico croato, che ha fatto la felicità di tutto il popolo biancorosso di Zagabria andandosene a Milano, abbia prolungato di un’altra stagione il suo biennale con l’EA7, questa è una cosa che ha scritto solo Arlecchino, servitore di due padroni, sul quotidiano di Mamma Rosa, ma non è apparso, da quel che mi risulta, su nessun comunicato stampa di Claudio Limardi che, a prova contraria, è il direttore della comunicazione dell’Olimpia. Così svelto nel passare i miei scarabocchi a Proli quando lo chiamo Livi(d)o e non quando lo considero l’unico valoroso e coraggioso alleato che ho contro la superba Confraternita dell’Osiris di Ciccioblack Tranquillo I, imperatore dell’Isola dei Conigli. Nella quale scappa ogni qual volta gli rammento che mi aveva sfidato a duello e che lo sto da due anni rincorrendo con la spada. Ma torniamo a Napoleone Brugnaro che è molto meglio. Dicevo che il mio sindaco non deve essere amareggiato perché la sua Venezia è stata sconfitta in gara 4 nel palasport dove per la verità ieri sera il calore della gente oro granata non è stato uguale a quello di quarantott’ore prima. Come del resto la squadra del buon Walter De Raffaele non si è ripetuta ai livelli della prima e della terza sfida con l’Armata di Armani. Quando è stata straordinariamente perfetta. Dunque chi parla di Waterloo della Reyer sono due le ipotesi: o è meglio che torni a vedere il calcio da dove veniva prima di scoprire il Taliercio o è uno scemo del villaggio da prendere solo a palle di neve. Sì, di neve: avete letto bene. Perché se l’Umana avesse eliminato nelle semifinali dei playoff la squadra che invece vincerà lo scudetto è matematico che a metà della settimana prossima sarebbe abbondantemente nevicato sulla laguna e il Canal Grande si sarebbe ghiacciato. Così che i ragazzini, sciamando dalle calli, avrebbero potuto pattinarci sopra e anche organizzare una partita di hockey sotto il ponte di Rialto. E se comunque non capite che anche con il quintetto di riserva Milano può mettere sotto Venezia al gran completo, non posso mica continuare a spiegarvelo tutti i giorni. Altrimenti divento anch’io scemo. Né vi devo convincere che non è solo la diversa fisicità tra le due squadre a fare la differenza. Uno perché fisicità mi è un termine odioso strausato da chi vede ancora il basket con gli occhi del grande Gianni Brera, cioè il regno dei ciclopi a un tanto al chilo che non sanno intendere e volere. Due perché l’Armani sono anche Kalnietis, Simon e Gentile che non superano i due metri d’altezza. O forse, e di nuovo non lo escludo, ho visto un’altra partita che ha avuto sempre Milano al comando giocando meglio di una Reyer affaticata e poco brillante, persino noiosa, se non in qualche fiammata del Dio Pargo, pure lui stanchissimo? Nonostante Alex Gentile per trequarti gara abbia sparato a salve dieci volte su dieci, ma era comunque una spina sul fianco di una Venezia che non sapeva da che parte prenderlo. Peccato. Mentre esulto per la meravigliosa Treviso del Pilla e del Moretti JR che da domenica incrocerà le lame con la Fortitudo del risorto Boniciolli. E sarò al Palaverde, potrei giurarlo.