Il mio oroscopo della settimana dal Venerdì di Repubblica: “Leone (23 luglio-23 agosto e io sono nato il 13): la vostra ambizione è vincente, potete fare una bella figura prendendo una posizione giusta…”. Ricordando come al Giorno, quando era ancora un giornale serio e il terzo quotidiano politico d’Italia prima che ci mettesse purtroppo le mani il grande editore Andrea Riffeser Monti strappandolo all’Eni, un amico tipografo burlone componeva la rubrica delle predizioni scambiando l’oroscopo, faccio un esempio, del segno dello scorpione come è la mia Tigre (18 novembre) con quello del cancro dei miei gemelli (9 luglio) che più diversi di carattere uno dall’altro non potrebbero essere. Quindi non ho mai dato peso a queste stupidaggini che, quando mi è capitato di leggerle, mi hanno spesso spinto a comportarmi quel giorno esattamente all’opposto. Magari solo per dimostrare a me stesso che, quando voglio, so pure essere un ostinato bastardo. Come anche oggi perché la satira è la satira. E non Sanremo. E la satira è anche e soprattutto un tormentone contro i porci e i ruffiani della buonanima di Pierangelo Bertoli. Difatti se prima pensavo d’essere ambiziosamente un figo dal momento che avevo già preso sin da martedì la posizione giusta, come mi ha consigliato l’oroscopo, non sentendo nessuna delle 25 canzoni in concorso a Sanremo, nel pomeriggio di ieri mi è saltata la mosca al naso e in un nano secondo ho cambiato idea. Posso? Credo proprio di sì se manterrò comunque fede alla parola data ai miei aficionados di scrivere ogni sera durante il Festival come sto facendo anche adesso, però tenendo acceso il televisore sull’Uno. Perché in fondo, detto tra noi, mi è sembrato un autogol alla Szczesny quello di privarmi dopo cena dell’ascolto di Elisa e Emma o dei Tananai soltanto perché non sopporto più nemmeno la voce di Amadeus. Ho così scoperto che Tananai è un cantautore e non un complesso. Meno male. E che poveretto è ultimo in classifica come il Vicenza in serie B dello spaccone Renzo Rosso che voleva comprare il Milan e per fortuna non c’è riuscito. Nonostante domenica la squadra di Brocchi, mi raccomando con la bi minuscola, abbia vinto 2-1 per la prima volta in questo campionato al Menti contro l’Alessandria in dieci sudando se non sette almeno cinque camicie. Dunque dicevo. Ah sì, ora ricordo che ieri sera dopo cena mi sono finalmente visto con la coda dell’occhio lo spettacolo nazional-popolare più amato dagli italiani, persino più delle cucine di Scavolini, che in terza serata ha comunque perso, poche ciance, due milioni di spettatori rispetto alle due precedenti con Rosario Fiorello e Checco Zalone. Probabilmente però ho sbagliato canale perché le Vibrazioni con Sophie cantano in inglese come Noemi e Francesca Michielin da Bassano e io alle medie e al ginnasio ho studiato il tedesco. E questo è il festival della canzone italiana. O mi sbaglio di nuovo? No. E allora? Mi salva, prima che il telecomando impazzito mi graffi le guance, Fiorella Mannoia, non per niente la mia preferita, che spunta dal nulla sul palco dell’Ariston per alzare il livello di un Sanremo che mi aveva già stancato al pari (quasi) di quelli che chiamano Amadeus confidenzialmente Ama. Fiorella prende per mano il ragazzino di Vicen(s)a, che lei chiama Giova e lui si fa invece chiamare Sangiovanni, e lo accompagna a cantare A muso duro, uno splendido brano che Pierangelo Bertoli, davvero un grande, scrisse nel ’79 ma che sarebbe ritenuto anche oggi troppo audace e irrispettoso da chi non trova ancora il coraggio quarantatré anni dopo di vomitarlo addosso a chi gli sta sul gozzo. “Ho sempre odiato i porci e i ruffiani e quelli che rubavano il salario, i falsi che si sono fatti una carriera con certe prestazioni fuori orario”. Lo so, amici del basket e soprattutto si fa per dire di Facebook, che avete persino paura di mettere un “mi piace” per non contrariare nessuno: a voi che a me vadano di traverso gli Amadeus o i Turrini, le Clerici e le Casellati, i Cairo o i Commisso, non ve ne importa un fico secco. Voi volete solo che scriva di palla nel cestino e cosa ne penso della rissa scoppiata a fine partita tra i giocatori dell’Armani e del Fenerbahce come con una foto e un titolo vi avevo ingannato a sperare. D’accordo, ci sto arrivando, piano piano, anche troppo, come è una mia brutta abitudine, sbrodolandomi addosso o soffermandomi ancora un po’ su un mezzo deludente Lorenzo Jovanotti, che pure adoro, finché non ha abbozzato Che sarà che i Ricchi e Poveri cantarono al festival del 1971. Quando Lorenzo Cherubini aveva 4 anni e mezzo e la Tigre era incinta dei nostri magnifici gemelli da pochi mesi. Se non ho sbagliato i conti, quattro. E pure quattro prima che l’Inter di Ivanoe Fraizzoli vincesse purtroppo lo scudetto dopo aver perso un derby e licenziato Heriberto Herrera sostituendolo con Giovanni Invernizzi. Basta che non mi facciate i fanatici come i milioni d’italiani che da quattro giorni non riescono a staccarsi dal televisore tanto appiccicati sono a Sanremo. Restiamo pochi ma buoni. Mi raccomando. Altrimenti non vi racconto senza paure che Marko Guduric avrà senz’altro sbagliato ad esultare per la vittoria al Forum del suo Fenerbahce in quel modo smodato urlato in faccia ad Ettore Messina. Che però adesso non facciamolo anche passare per un santo e martire. Guai ai vinti: lo so è un urlo molto brutto da digerire, ma la storia ci ha insegnato che agli sconfitti è offerta pur sempre la possibilità di una bella rivincita e di un sottile riscatto come fecero i romani di Marco Furio Camillo con Brenno, il terribile capo dei Galli. E invece Sergio Rodriguez e Kyle Hines non hanno nemmeno avuto la pazienza d’aspettare al varco il serbo dei turchi nel tunnel che porta agli spogliatoi e di prenderlo lì per il collo. No, platealmente il Chacho si è subito voluto vendicare sul campo di battaglia con uno spintone a Guduric, che a me è parso per la verità più una spintarella, mentre l’americano del New Jersey mi è sembrato più quello che invita i compagni di bisboccia del bar sport sotto a casa a trattenerlo che il giustiziere della notte che con un paio di pugni ben assestati risolve la questione in tre secondi. E quindi, mi spiace, ma hanno sbagliato anche i due milanesi. Ma nessuno sarà squalificato perché l’EuroLega a queste cose non bada e secondo me fa pure bene. Non è successo insomma nulla di così clamoroso da spararne un titolo a sei colonne come ha fatto la Gazzetta. Semmai andava ricordato che da qualche anno a questa parte Sasha Djordjevic è diventato la bestia nera di Erode Messi(n)a che infatti non lo può vedere al di là dei baci e degli abbracci di facciata. Così come era scontato che alla fine della fiera avrebbero vinto Gianni Morandi e Lorenzo Jovanotti la serata delle cover a Sanremo. Però intanto è l’una e mezza passata da un quarto d’ora, non è più venerdì ma sabato, e casco dal sonno nonostante oggi, ma dovrei già dire ieri, mi sia sparato mezza fialetta di cortisone che di solito mi tiene arzillo come un vecchietto. Così almeno ho la scusa buona – credo – per potervi già anticipare che domani, ma dovrei scrivere oggi, mi prendo un fine settimana d’assoluto e meritato riposo senza che nessuno degli aficionados – spero – trovi nulla da ridire. Stamattina sono poi cominciate le gare delle Olimpiadi di Pechino che assegneranno le prime medaglie, c’è il derby di San Siro che vedrò con mio nipote Rocco supervaccinato sulle ginocchia sperando che finisca in parità come all’andata (1-1) con un paio di gol in più ma non credo che purtroppo andrà così nonostante in fondo in fondo non è poi scontato che vincerà comunque la Beneamata. Come non posso non vedere l’Armani dopo cena o la Nutribullet che torneranno sul parquet quarantott’ore dopo due brutte sconfitte per giocare in campionato, l’una a Trento e l’altra a Treviso contro Derthona, una regular season alla quale di regolare è rimasto ben poco per non dire nulla. Grazie ai casini che stanno combinando i leghisti al Governo Draghi e di conseguenza In la SLega del basket. In verità Ettore, chiamato ormai Erode da tutti gli ex giovani italiani che avuto per le grinfie a Milano, può pescare da una rosa di sedici o diciotto giocatori che nemmeno lui sa bene quanti siano, mentre Max Chef Menetti non arriva neanche a dieci se non si porta in panchina almeno un trio di diciassettenni. Buonanotte. E che vada al diavolo Sanremo assieme ad Amadeus e pure a Fiorello che è più bugiardo di quelli che mi dicono che anche loro il festival non lo guardano mai e so benissimo che non è vero. Tanto vinceranno il festival che è nato sei mesi dopo di me Mahmood e Blanco che sono in testa alla classifica generale anche al termine della quarta tappa davanti a Gianni Morandi che ha scavalcato Elisa al secondo posto. Mentre Tananai, che ha cantato ovviamente per ultimo, è sempre il fanalino di coda di una corsa che m’appassiona (forse) addirittura meno del Ghiro d’Italia organizzato da Mamma Rosa che si è unita in matrimonio nell’estate del 2016 a Papà Urbano dal quale sta già meditando di separarsi ancor prima della crisi del settimo anno nonostante i tanti figli che ha da sfamare anche online. Ps: il pezzo che ho scritto stanotte l’ho dovuto così aggiornare e correggere nei tempi stamattina dopo aver dormito solo qualche ora ed essermi svegliato con una bella doccia. Anche perché mi ero dimenticato d’inviare canestri e canestri d’auguri ad Artiglio Caja che ieri si è beccato un Covid per fortuna asintomatico dopo tre vaccini e si è comunque dovuto chiudere lo stesso in camera. Spero per una sola settimana e per tornare in panchina tra otto giorni a Bologna contro Treviso. Dove piove sempre sul bagnato dal momento che pure stasera Max Chef dovrà rinunciare a Henry Sims al quale i medici non hanno dato ancora l’idoneità per giocare.