Aveva una faccia da troppo buono sotto la folta barba per fare anche paura sotto i tabelloni. Difatti non convinse il Principe Rubini in un’amichevole del Simmenthal al Palalido proprio contro Cantù e allora Arnaldo Taurisano se lo portò alla Forst: era il 1970. Cinque anni dopo la Cantù del BarbaTau e di Valerio Bianchini, suo assistente, vinse di nuovo lo scudetto. “Il nostro Bob è salito in cielo” mi ha messaggiato a metà pomeriggio Carlo Recalcati. Che di Bob Lienhard è stato buon compagno di squadra. E con Pierlo Marzorati e Ciccio Della Fiori campione d’Italia. Loro erano i tre moschettieri azzurri che di fioretto, spada e sciabola facevano canestro. Lui era il pivot americano. Di sostanza, ma anche di qualità. E lo è stato per otto anni. Però adesso il ricordo di Lienhard lo lascio volentieri al Vate che su Facebook ha magnificamente scritto con la sensibilità di chi si capisce che lo conosceva bene e gli è stato molto vicino: “Benché sapessi da tempo che stava male, ugualmente sono rimasto annichilito alla notizia della sua morte. Credo che pochi giocatori americani nella storia del nostro basket abbiano unito in sé tante virtù tecniche e umane. Arnaldo Taurisano lo ingaggiò come centro di quella straordinaria squadra di ragazzi costruiti in casa che avrebbero vinto il secondo scudetto di Cantù. La sua gentilezza, il suo rispetto per me che ero solo un vice, il suo antidivismo e la sua disponibilità ad ascoltare quel grande Maestro e ad offrirsi come un figlio alla leggendaria “squadra-famiglia” di Aldo Allievi, ne fecero una colonna portante di una saga tra le più nobili del basket italiano. Bob era un centro superclassico. Spalle a canestro usava magistralmente i perni, le finte, le partenze incrociate, il tiro a uncino ampio, ambidestro, sapiente nell’uso del tabellone. E del post basso aveva anche le qualità di secondo regista quando, alle spalle della difesa, sapeva cogliere i tagli degli esterni o servire il compagno più libero sul lato debole. Ma era fuori dal campo che sapeva farsi amare tanto dai critici come dai semplici tifosi di Cantù. Sposatosi con Angela, che molto fu importante nella sua crescita di uomo e giocatore, terminata la carriera, si mise a fare anche il falegname parlando con un buffo accento brianzolo”. Lui, ragazzo del Bronx, cresciuto a Georgia University, due metri e zero otto, in una recente intervista aveva confessato di sentirsi più brianzolo che americano: “A Cantù sono diventato uomo e professionista, in Italia ho ottenuto il passaporto e ho trovato lavoro anche dopo che a 35 anni mi ero ritirato, mentre negli Usa sarei stato solo un numero”. Leader silenzioso, ha vinto anche un’Intercontinentale, due Coppa delle Coppe e tre Korac. Altri tempi, altra pallacanestro, altra classe. Se ne è andato in silenzio. A settant’anni. Senza che gli potessi dare un’ultima pacca sulla spalla. Come quando lo incontravo nel corridoio dello spogliatoio del Pianella e facevamo fatica a passare in due. Mentre state freschi, e lo dico voltando bruscamente pagina perché la vita è questa e non si ferma, se aspettate che l’Anonimo Veneziano e Mamma Rosa s’accorgano che una brutta tegola è caduta sulla crapa della Reyer. Il ginocchio sinistro di Mitchell Watt è infatti un problema non da poco: i tempi di recupero si sono parecchio allungati e così Federico Casarin si è già tuffato nel mercato per cercare un centro che possa in fretta sostituire il lungo americano sul quale Walter De Raffaele puntava molto pure per la prossima stagione. Paul Biligha non può far tutto da solo sotto canestro con Valerio Mazzola anche se è tornato dalla nazionale gasatissimo e allora il presidente oro-granata avrebbe già individuato l’alter ego di Watt in Gaspar Vidmar, due e otto di Lubiana, campione d’Europa (nella foto) lo scorso settembre con la Slovenia di Luka Doncic e Goran Dragic. Nella quale è stato il centro titolare di grande solidità soprattutto in occasione della finale con la Serbia di Djordjevic. Vidmar, 31 anni da alcuni giorni, è però legato alla squadra turca del Banvit che chiede un buyout esagerato per lasciarlo andare a Venezia. Dove firmerebbe un ricco biennale. Già lo svogliatissimo Austin Daye è costato una cifra per allungargli il contratto di due stagioni. Già Napoleone Brugnaro ha dichiarato che per la sua Umana ogni anno scuce, tra una balla e l’altra, dodici milioni di euro. Già tra due settimane comincia il campionato e anche nel torneo di Jesolo la Reyer ha perso ieri con la piccola Cremona e oggi con Trento senza Hogue e Pascolo. E Ray Bahn è sempre più preoccupato. Nonostante le amichevoli di settembre valgano come il due di coppe con briscola di denari.