Napoleone Bonaparte Brugnaro sfida Felice Casson nella corsa alla poltrona di sindaco di Venezia

napoleone

A metà pomeriggio mi sono visto Trieste-Torino che si è giocata, se non sbaglio, domenica a mezzogiorno e che ovviamente avevo provveduto a registrare grazie a My Sky che – l’ho già detto ma volentieri mi ripeto – è un tesoro al quale non saprei più rinunciare. Come la mia Tigre alla Nutella. O come Linus alla sua copertina di lana. Sono sempre stato innamorato di Trieste. Città splendida. E dei triestini che hanno un’idea della vita che li spinge a spendere, anche solo per un capriccio, un euro in più di quelli che hanno in tasca. E domani? E’ un altro giorno, si vedrà. Tutto il contrario dei friulani. Coi quali pure confinano, ma che sono fatti di ben altra pasta. Ovvero non ti danno la combinazione della loro cassaforte neanche con una pistola puntata sulla fronte. E forse non hanno tutti i torti. Specie di questi tempi. Però c’è poco da fare: tra la cicala e la formica d’Italia, ho sempre tifato per quel simpatico e gaudente animaletto che entusiasmava tanto Heather Parisi. Anche se mio nonno (materno) era di Udine, ma purtroppo non ho mai avuto la fortuna di conoscerlo. Di Udine è anche Giovanni Piccin, laureato in ingegneria, che domenica era a Trieste nel palasport dedicato alla memoria del caro Principe Rubini per commentare (brillantemente) al fianco di Nicolò Trigari la partitissima di A2. Che mi ero, come già detto, registrato perché ero proprio curioso di vedere come una squadra con Mancinelli, Giachetti, Fantoni e Rosselli, più un paio di americani non proprio da buttare, come Lewis e Miller, potesse fare tanta fatica in un campionato che avrebbe dovuto dominare. Insomma Torino poteva essere benissimo la Milano della Gold. E invece Verona è lontana e pure Brescia è ormai irraggiungibile. Non solo: anche il terzo posto e il quarto sono adesso a rischio dopo la brutta sconfitta rimediata nella città della Barcolana con i muli del mio compaesano, Eugenio Dalmasson, che ha incredibilmente i capelli più bianchi dei miei. Domanda: non sarà per caso, anche qui, soltanto una questione di manico? Rispondo: non credo. O forse, ed è molto più probabile, oggi non sono in vena di fare il polemico, né il sapientino e men che meno il rompiscatole. Anche se, dovendo essere sincero, non posso neanche dire che Luca Bechi sia in cima alla collin(ett)a dei miei allenatori preferiti. Tanto più che da lui avanzo una trentina di cene. “Ho saputo che vai a Torino”, gli buttai là una sera a Siena prima che iniziasse la terza o la quarta finale, non ricordo bene, degli ultimi playoff. Mi sembra la quarta. Quando Alessandro Gentile lasciò il parquet con un muso lungo come il mio quando perde la Juve, sperando non proprio stasera, e salì sul pullman dell’Armani senza passare per gli spogliatoi. Ma Bechi decisamente smentì aprendosi però in un sorriso e in un “magari” così poco persuasivi da convincermi subito a gettargli l’amo. “E allora scommettiamo una cena”. “Anche trenta, se vuoi”, abboccò il pesciolino, ma il discorso che vi volevo fare è un altro. E cioè, pensando proprio a Torino, mi sono domandato se la corrente di pensiero che vorrebbe più italiani e meno stranieri anche nella serie maggiore non sia, oltre che un’utopia, anche una idea parecchio campata in aria solo per nascondere tutti i problemi di una generazione di nostri giovani giocatori che magari guadagnano più degli americani, ma che sono terribilmente più modesti di loro. A parte qualche rara eccezione. Per esempio i tre figli di Nando Gentile, Alberto Tonut e Carlo Della Valle. E pochi altri. Dimenticando i quattro della Nba. Se volete, ne possiamo anche riparlare domani assieme alla notizia che nel tardo pomeriggio mi è arrivata all’orecchio e di cui adesso vi do solo il titolo che probabilmente nelle prossime ore leggerete ufficialmente anche sui giornali: Gigi Brugnaro sfida Felice Casson, l’ex piemme, nella corsa alla poltrona di primo cittadino di Venezia. Con l’appoggio di Berlusconi, Brunetta, Casini, Alfano, Tosi, la Venier e di tutta la destra benpensante. Quale? Lo vedremo. Uno scoop che in verità non dovrebbe cogliere di sorpresa i miei affezionati lettori, pochi ma buoni. I quali, andando agli albori di questo blog, vi potranno confermare che già il 5 giugno del 2014 avevo titolato: “Il presidente della Reyer punta a diventare sindaco di Venezia: e io lo voto”. Perché ha fatto tanto per la pallacanestro in laguna. Anche se non l’ha inventata. Come il nostro Napoleone Bonaparte lascia credere. Anche se venni subito severamente smentito e ripreso. Ma non importa: almeno a questo ho ormai fatto il callo.