Every promise is a debt. Ve lo dico in inglese. Così anche Ciccioblack capisce quel che voglio dire e non racconta più in giro che sono un quaquaraquà con l’accento sulla quarta a e forse anche con la c prima della seconda q. Avevo promesso che oggi vi avrei parlato del mal di pancia di Reggio Emilia e lo faccio subito. Così sono di parola. Io e non lui. Ieri il Mestre ha battuto 1-0 la Reggiana. Gol di Alberto Rubbo al 29’ “su cross di Beccaro per la testa di Sottovia che incorna a colpo sicuro, Facchin smanaccia sulla traversa, ma Rubbo è lesto ad insaccare facendo esplodere il Mecchia”. La cronaca del Gazzettino è inappuntabile nel suo lessico calcistico asciutto e solo un po’ enfatico. Il Mecchia di Portogruaro è un velodromo e sugli spalti non c’erano domenica più di milleduecento sostenitori arancioni. Non molti per una serie C e una neopromossa che ha gli stessi punti in classica del Vicenza, retrocesso dalla B, e uno meno del grande Padova se non si tenesse conto che Portogruaro non è proprio dietro l’angolo, ma a trequarti d’ora da casa mia in macchina. Quand’ero piccolo, e in terza media non era più alto di Crespolo, l’ottavo nano da giardino, andavo invece a piedi al Baracca, lo stadio che ha costruito mio nonno Pino, dove giocava la Mestrina che è la mia squadra del cuore e non evidentemente quella del sindaco Napoleone Brugnaro. Ma non voglio essere polemico e nemmeno voglio finire fuori tema. Dicevo dunque del Mestre “più bello della stagione” per parlare della “brutta e non pervenuta” Reggiana che pure otto giorni prima aveva suonato il Vicenza. Se invece volevate che prendessi in esame la partenza falsa della Grissin Bon, quattro sconfitte in altrettante partite tra campionato e EuroCup, bastava ricordarmelo prima senza fare tante storie e accusarmi d’essere un quacquaraquà, stavolta con la c, o, peggio, un ominicchio o un pigliainculo, “che vanno diventando un esercito”, come disse don Mariano Arena al capitano Bellodi nel Giorno della Civetta di Leonardo Sciascia. In verità ho più d’una difficoltà a sparare a zero sui Grissini d’Italia che mi stanno simpatici: su tutti Max Chef Menetti e la sua bella famiglia con cui ogni estate passo volentieri qualche ora sul laghetto di Braies o su quello di Dobbiaco. Che sono uno più carino dell’altro. A un passo dal cielo. In Alta Pusteria. E men che meno voglio allinearmi al pensiero del vicepresidente Ivan Paterlini al quale spesso scappa una frase di troppo: “C’è poco da stare allegri: avanti così non si può andare”. In effetti di questo passo e con questo andazzo si può solo retrocedere. Ma non casco nel tranello. Perché altrimenti sarei goffo e poco credibile come quel giornalista del Gazzettino che l’anno scorso a novembre, dopo una sconfitta della Reyer a Pesaro, intonò il de profundis e scrisse che Venezia, a giugno campione d’Italia, avrebbe rischiato di retrocedere con o senza Walter De Raffaele che a Natale non avrebbe comunque mangiato il panettone. Ora non la vedrei tanto nera. E, anzi, non ho cambiato idea: Reggio Emilia conquisterà lo stesso i playoff a spese magari di Brescia di PerDiana e Perdincibacco che è oggi è in testa alla classifica con l’Umana e l’Armani. Se non sbaglio infatti siamo appena alla terza di campionato e se la memoria non m’inganna vi potrei anche ricordare la classifica alla sesta della passata stagione partendo dalla coda: la Germani ultima, a pari punti con la Vanoli, cinque sconfitte e un solo successo (con Cantù a Montichiari). Al punto che minacciarono Andrea Diana: o torni a casa con una vittoria dalle prossime due trasferte o salti dalla finestra e lasci il posto in panchina a Re Carlo Recalcati. E lui vinse a Brindisi e pure a Varese. Ora ci stava che la Grissin Bon perdesse ad Avellino e a Sassari, che sono più forti, e anche in Coppa a Podgorica. Quel che stona è la sconfitta in via Guasco con Pesaro, ma in quella occasione alle vuelle di Spiro Leka sarebbero riuscite tutte le ciambelle con il buco anche ad occhi bendati e le manette ai polsi. Questo premesso, la squadra di Max Chef deve comunque togliersi in fretta dai pasticci cominciando domenica a rosolare al forno il Patata e la sua Orlandina e cambiando soprattutto menù in attacco. Non è più possibile del resto che il timido e monocorde Leonardo Candi, per altro discreto difensore, non segni neanche un punto nei 23 minuti nei quali è stato in campo con il Banco di Sardara. Né che Ricciolino Della Valle voglia fare le pentole e i coperchi come Alessandro Gentile nella Virtus, o che Reggio Emilia infili in tutta la partita una misera tripla su diciannove tentativi, e pure per il rotto della cuffia, con il pigro Markoishvili. Mentre al buon Federico Mussini, che sembra avere la testa tra le nuvole, dico una cosa soltanto: te la do io l’America. E penso che ci siamo capiti al volo.