Non dirò più: speriamo che stanotte piova. Così si rinfresca il bosco e domani andiamo a funghi. Dopo cena si è scatenato il temporale. Era stato troppo caldo tutto il giorno. Poi al tramonto un cielo nero. Da far paura. Più nero della selva scura. Dove ai bambini racconti che c’è il lupo. E un vento a raffiche che preannunciava tanta pioggia. Ma mai avresti pensato così tanta. Lampi e tuoni non lontani. Uno dietro l’altro. Come fuochi d’artificio. Senza respiro. Salta la luce, tutto è buio. Anche per le strade e nelle case dei vicini. Dopo il telegiornale del primo canale. Per un buon quarto d’ora. L’acqua di traverso frusta le finestre e i poggioli piegando in due i gerani in fiore. Poi il silenzio e una pioggia fine. Quasi delicata. Nemmeno volesse farsi perdonare chissà cosa. Mio nipote torna a giocare con la sua macchinina. La tempesta è finita. Riaccendo la televisione, guardo fuori. Le montagne non si vedono: sono coperte di nuvole ancora minacciose. Poi le sirene dei vigili del fuoco che arrivano da Cortina e sfrecciano sulla statale: deve essere successo qualcosa in paese. Dalla terrazza vedo la chiesa e il campanile di San Vito di Cadore. In linea d’aria saranno un paio di chilometri: anche meno. C’è stata una piccola frana. Niente di grave. Solo tanta paura. Così dicono e così scriverà il Gazzettino del giorno dopo: taglio basso, neanche quaranta righe, a pagina nove, nessun richiamo in prima. L’apertura è sul porno-vip di Padova che finisce in Procura. La solita bomba d’acqua. Quasi sia diventata da queste parti ormai un’abitudine quando piove più del normale. Evacuate due case, ma non ci sono feriti. Il Ru Secco è tracimato, danni alla seggiovia San Marco, bloccata per sicurezza l’Alemagna. Cortina, a dieci chilometri, è raggiungibile solo dal Falzarego. O forse anche dalla Val Pusteria? Perché il ponte sul rio Grava Secca, tra Auronzo e Misurina, è crollato per la pressione del torrente che si era ingrossato di brutto. Sempre a causa del fortissimo temporale. Tutto qui: posso andare a dormire tranquillo. O, meglio, è forse il caso di dire sereno. Come il mattino del nuovo giorno. Mi hanno svegliato gli elicotteri. L’Antelao si è tolto il cappello di nuvole e punta diritto al cielo blu. Nel sole. Lo spio dal lucernaio e non vedo più il fronte della frana che l’autunno scorso si era fermato un centinaio di metri sopra il rifugio Scotter. Da lì è sceso il terrore. Giù dal canalone lucido. Urlando. Un fiume in piena di pietre, ghiaia e sassi. Eppure nero. Un’esplosione di fango. Travolgendo e sotterrando i piloni della seggiovia. Che non esiste più. Accartocciando le macchine del piazzale. Prendendo la strada del Ru Secco, che sino all’altro giorno era poco più d’un ruscello, per scendere in paese e diventare assassino. Per fortuna, lo posso dire?, il torrente quando arriva a San Vito s’infila in un tombotto molto largo che passa sotto la statale, costeggia la mura della chiesa e del campanile e muore a valle nel Boite. Non risparmia un paio di case e un’agenzia immobiliare. Dove una volta c’era “Cose buone”, un trionfo della cucina cadorina. Chi c’era è scappato pensando al terremoto: ha visto l’inferno e si è fatto il segno della croce. Nel diluvio non avevo sentito quel boato fortissimo. Mentre ancora penso che un temporale di nemmeno mezzora, per quanto violento, abbia potuto da solo fare un simile disastro. Al quale oggi il Gazzettino dedica tutta la prima pagina. “Acqua e fango, strage in Cadore”. Prima o poi verrà giù tutto: me l’hanno sempre detto i vecchi del paese. L’Antelao, ma anche il Marcora e il Sorapis sono montagne splendide, ma franose. Che, quando si muovono, si sgretolano e diventano malvagie. Basta guardare le sue pendici ghiaiose e capisci che non ci vuole un geologo per profetizzare quale sarà la loro fine. Ma non ci pensi mai. Come alla morte quando sei giovane. E speri sempre che non tocchi a te. Rocco è tornato a giocare a pallone sui prati vicino al laghetto di San Vito. Fede ricca: un altro argento meraviglioso. E piango di nuovo. Scrutando il cielo. Stanotte non piove. Se Dio vuole.