Spero che non vi meravigliate se confesso che ci sono rimasto male ieri mattina uscendo dalla doccia e sentendo alla radio che era morta Marta Marzotto. Forse anche perché il suo ultimo libro autobiografico, Smeraldi a colazione: le mie sette vite, l’ho comprato proprio l’altro giorno e l’avevo appena cominciato a sfogliare. Difatti è ancora là sul comodino col segnalibro a pagina 89. Lo riapro con tristezza e leggo: “Una volta mi raccontò che dopo avermi salutato salì su un taxi e il tassista gli disse: “Che bella signora!”. E lui rispose: “Ne sono pazzamente innamorato”. Allora il tassista lo mise in guardia: “Le donne così belle sono pericolose”. Renato tagliò corto: “Una donna così è la vita. Ce n’è una sola, come la vita”. E si accese una sigaretta. Il tassista gli fece notare che era proibito fumare, ma per lui avrebbe fatto un’eccezione”. Renato era Renato Guttuso che “mi ha dipinto come Venere, come Medusa, come Madonna, come Maria Maddalena, come Minerva, come santa e come dea pagana. Mi ha ritratto nuda e vestita, piangente ai piedi di una croce, mentre dormo, mentre sogno, mentre parlo al telefono, mentre cammino in una selva di girasoli, mentre sono imprigionata fra i rovi assediata da cani feroci”. Molto più di una semplice passione. Come lei stessa ha recentemente confessato a Laura Laurenzi. “La passione non coincide mai con il vero amore. Brucia, fa male, non lascia tracce, non dà frutti. L’amore vero è diverso. Per una donna è essere contemporaneamente madre, moglie, figlia, sorella, amante come sono stata di volta in volta. Il sesso da solo è esaltante, certo, ma è anche distruttivo. Fra me e Renato c’era un legame che coinvolgeva il cuore e il cervello”. Ripongo il libro che finirò di leggere stasera. E’ scritto bene. Non ne avevo dubbi. Ho sempre avuto una segreta ammirazione per Laura Laurenzi come giornalista scrittrice e donna. Abbiamo cominciato quasi insieme al Giorno. Lei alla redazione di Roma, io a Milano. Lei agli spettacoli, io allo sport. Quanti anni fa? Troppi. E per questo non ve lo dico. La prima volta che ci incontrammo fu in via Fava. Lei non lo ricorderà, io invece molto bene. In ascensore. Cinque piani senza far parola. Le cedetti il passo e lei mi chiese gentilmente dove fosse l’ufficio di Paolo Bonaiuti. Che poco tempo dopo sarebbe diventato portavoce di Silvio Berlusconi. La guardai allontanarsi lungo il corridoio: i tacchi alti, la gonna di seta appena sopra le ginocchia, una personalità decisa: disinvolta e affascinante. Ma perché vi racconto questo? Perché solo una giornalista della sua classe avrebbe potuto raccogliere le memorie della Contessa dei salotti di Roma e Cortina e riuscire a narrarle con tanta semplicità e scorrevolezza. Nonostante non fosse per nulla facile. “Contenere Marta Marzotto è un’impresa, ha scritto infatti la bella moglie di Enzo Bettiza nell’introduzione di Smeraldi a colazione, più che ardua: disperata. Aiutarla a mettere in ordine emozioni e ricordi è come venire travolti da un fiume in piena”. Così come altrettanto difficile è stato “arginare le sue iperboli e moderare i suoi aggettivi superlativi. Vulcanica e dispersiva, Marta è un’esagerazione: il suo è stato il successo dell’eccesso”. Sorridente e solare, con i suoi caftani e le collane esagerate, così me la ricordo anch’io in quel dopocena di qualche inverno non tanto lontano. Matteo, il suo figlio prediletto, mi aveva invitato nella loro villa sotto le Tofane, al di qua del Boite, se la guardi dal campanile della chiesa di Cortina. Non dovetti neanche suonare il campanello: la porta era aperta a tutti. E c’era tanta gente. Ma era lei al centro della scena. Vestita come le piaceva: col ricco costume ampezzano. Le gambe accavallate, seduta sul divano di loden rosso e verde, ascoltava gli altri che gliela raccontavano. A volte annuendo, a volte sorridendo, mai sguaiata. “Fiera della mia faccia da squaw. Ha ragione Brigitte Bardot quando dice che la vecchiaia è un’opera di demolizione, tuttavia non è correndo dal chirurgo plastico che si risolve il problema. Mentre mi torna in mente quello che Anna Magnani disse a un truccatore: “Nun me leva’ le rughe, ci ho messo tutta la vita per averle”. Una gran donna. Ora con un abito bianco lungo, ricamato in filigrana d’oro, pettinata e truccata. Circondata di rose bianche. Nella camera ardente. Come ha scritto oggi Laura Laurenzi su Repubblica.