A Torino si cambia. O forse anche no. E pure a Reggio Emilia. Senza fretta, ma non credo. Stefano Landi è tornato dal viaggio negli States che l’ha tenuto lontano dalla GrissinBon un paio di settimane. Meglio così per Devis Cagnardi che al patron dovrà spiegare tante cose e non solo l’ultimo posto in classifica che ora divide con Charlie Brown, Fred Buscaglia e Alessandro Ramagli, il livornese più buono di questo mondo al quale dovrò presto trovare anche un nomignolo per non farlo sentire diverso dai suoi illustri colleghi. Spencer Butterfield è scappato oltreoceano e adesso non risponde nemmeno più al telefonino. Chinemelu Elonu è out per un pezzo e comunque nessuno gli sarebbe corso dietro neanche se fosse stato sano come un pesce. Ricky Ledo era soltanto da prendere a schiaffi per il suo imbarazzante primo tempo nell’anticipo con Pistoia. La quale nel secondo ha tenuto ugualmente a bada i grissini con Riccardo Bolpin (11 punti), Gianluca Della Rosa (3), Luca Severini (8) e Matteo Martini (10), quattro bravi giovanotti del Belpaese, più Mickel Gladness (5), tutti e cinque disperatamente insieme sul parquet. E i due Johnson in panchina. Oltre a Peak, che non è un mio affezionato nipote dall’America e nemmeno un parente alla lontana, portato di corsa in ospedale per accertamenti dopo che a Sassari aveva dieci giorni fa segnato 35 punti e a Reggio sabato neanche mezzo. Ecco forse sarà il caso che sia tenuto ben nascosto a Landi questo scampolo (terzo quarto) di partita. Altrimenti Cagnardi non avrebbe scampo. Mentre che Ledo, e non solo lui, facesse le ore piccole al giovedì in discoteca, bevendo a garganella l’OriOra, che è una bevanda dissetante al succo di canna da zucchero, ovviamente analcolica, questo può essere un alibi che non vale per coprire i limiti di un quintetto che con Llompard, Candi (o Mussini), De Vico, Aguilar (o Gaspardo) e Cervi (o Ortner) avrebbe comunque dovuto mangiare i risi in testa a quello d’emergenza di Ramagli che, se salva quest’anno l’OriOra, dovrebbero a Pistoia dedicargli almeno una via o una piazza. Nel frattempo, cercando per lui un soprannome ad hoc che ancora non mi viene, ho letto una bella intervista che gli ha fatto un anno e mezzo Alessandra Giardini che mi ha incuriosito da pazzi e mi ha aiutato (a cominciare) a conoscerlo. E così adesso ho perso il filo del discorso iniziale, ma non importa: lo cercherò più tardi. Tanto pure la Fiat per il momento non cambia allenatore nonostante morirebbe dalla voglia di farlo. Ma il santone di Brooklyn, e di discendenza ebraica, non ha la minima intenzione di stracciare il contratto con l’Auxilium. Anche se gli fa tanto schifo l’Italia, dove nelle toilette alla turca non riesce proprio a fare la cacca. E deve ogni volta ingoiare un intero flacone di tranquillanti “per darsi coraggio e salire su piccoli aerei che stanno in aria per un autentico miracolo”. Come di recente ha confessato al New York Times. Poi in verità è attaccato ai nostri soldini più di Ciccioblack e il Gallo quando si tengono a braccetto (corto) un con l’altro. Ed infatti, a detta di Massimo Rizzo, il suo efficientissimo agente, Larry Brown rientrerà sabato a Torino mentre tutti si sarebbero invece augurati che fosse rimasto negli Usa con Donald Trump e gli indiani con le frecce, la coperta sulle ginocchia, la sedia a dondolo e Sally, la sorella minore di Charlie Brown, infatuata proprio di Linus. Nel Paese che va su Marte e pensa che Torino s’affacci sul mare o che Leonardo da Vinci abbia al massimo inventato l’acqua calda. E dovrei anche parlarvi del caso del mese: Marco Crespi. Di cui in verità è già stato detto tutto e il contrario di tutto. E comunque ve lo prometto: lo farò domani domandandovi intanto solo se non sarà mica che avete un cincinin esagerato con il mio Paperoga o Ezechiele Lupo o Crespolo, l’ottavo nano, chiamatelo come più vi piace. Neanche non conosceste quel mattocchio e prima degli ormai leggendari cinque secondi negati a Raffaella Masciadri in quel di La Spezia non siate mai scesi dall’albero dei cachi. Ma dove vivete? Pure voi su Marte? O forse pensate che la capitana di 178 battaglie in azzurro, se davvero lo avesse voluto, non si sarebbe offesa e difesa da sola e avrebbe chiesto la testa del cittì direttamente a Giannino Petrucci? Pensateci. Mentre io vado scoprendo che Alessandro Ramagli è venuto su a Pontino, un quartiere del centro di Livorno. “Invece il mio babbo, Gino, è del famoso Ovosodo (come Walter De Raffaele), quello del film di Virzì. Papà macellaio, un mestiere dove sul serio puoi metterci l’arte perché non tutti sono capaci di rendere un pezzo di carne roba viva. Anche mia mamma, Marisa, è un’artista: prima di lavorare a scuola ha fatto la sarta”. Dal liceo classico alla panchina. Figlio unico. “Avevo vent’anni e mi ero iscritto a giurisprudenza, ma non mi sono laureato e i miei mi avrebbero voluto sparare. E’ che la legge non era la mia passione. Come la pallacanestro. E non avrei mai fatto l’avvocato”. Una bella storia per la serie: non si finisce mai di conoscere gli allenatori. Specie quelli di Livorno. Come Sandro Dell’Agnello che sta andando fortissimo in A2 a Bergamo. Secondo alle spalle della Virtus Roma. E una nuova vita davanti.