Il primo a non crederci in questo scudetto bis della Reyer è stato il Gazzettino. Anche se oggi non so quante pagine e foto ha dedicato ai campioni d’Italia, ma qua non se imbarca cuchi che è un simpatico modo di dire veneziano che sconsiglia i furbetti di prenderti per il cesto. Come potrebbe dire Luigi Brugnaro a Danilo Toninelli che non capisce che le grandi navi non possono attraccare a Chioggia semplicemente perché non è possibile. A meno che non scavi sei milioni di metri cubi di sabbia e fango con la paletta e il secchiello. Il quotidiano più letto in laguna non ha infatti inviato neanche un giornalista a Sassari per le tre partite di finale con il Banco di Sardara. Al contrario della Nuova Venezia. “Tanto la Reyer perde” aveva tagliato corto il direttore, Roberto Papetti, che di basket evidentemente se ne intende parecchio. Oltre che di rugby. Dove invece manda un inviato ad ogni match del Sei Nazioni. Nel quale per la verità il quindici azzurro vince sempre il deprimente cucchiaio di legno. Evviva. Però poi nessuno si lamenti se la gente non si ferma più all’edicola. Sulle barca tricolore in Canal Grande hanno tentato di salirci in tanti con il rischio anche di ribaltarsi e di finire vestiti in acqua, ma alla fine ci sono riusciti tutti stando magari molto stretti e con i gomiti dei giganti piantati sulle pance. Li guardavo dall’altra riva di Rialto e pensavo che ci vuole una gran bella faccia tosta per salire a bordo facendo finta di nulla dopo aver sparato critiche assurde per esempio su Walter De Raffaele sino a meno di un mese fa. Arriva Maurizio Buscaglia hanno scritto durante i quarti dei playoff con Trento. Sì, in gondola. E non ditemi che non è vero perché ho il difetto di ritagliare tutto e di custodire le migliori chicche in un cassetto. Ma perché fa giocare capitan Haynes che è finito in una buca o Valerio Mazzola nel primo quintetto? E perché insistere tanto su Vidmar che è cotto mentre non fa più alzare Biligha dalla panca? In effetti a questo secondo titolo in tre anni ci avevano creduto veramente in pochi. Forse nemmeno il sindaco di Venezia (nella foto con la moglie Stefania e il suo presidente) che pure è uomo di grande fede. E nessuno fuori dalla Serenissima Repubblica di San Marco. Tutti pazzi per il Poz e, prima ancora, tutti innamorati cotti di MaraMeo Sacchetti e del basket-champagne. Di sicuro l’unico che pensava allo scudetto era Federico Casarin che ha difeso Austin Daye contro il mondo. Me compreso, non lo nascondo. Non mi piaceva del figlio di Darren il suo atteggiamento da sbruffone che ha tenuto sino a quando Ray-ban non gli ha ficcato bene nella zucca che la squadra oro-granata si sarebbe arrangiata anche senza di lui, ma che con lui sarebbe stato tutto molto più facile. E, punto nell’orgoglio, Apocalypse Day è stato l’mvp delle finali con Sassari nelle quali è esploso tutto il suo talento ma anche il suo nuovo amore per la Reyer. Di questo scudetto, che è senz’altro più bello di quello di due anni fa, potrei scrivere un libro. E non è detto che non lo faccia. Ma intanto ho lasciato che gli altri saltassero anche sul carro dei vincitori che, scesi dalle barche, hanno raggiunto Mestre e hanno riempito di gente piazza Ferretto mentre l’orologio della torre scandiva le nove e le ombre della sera scendevano sulla (mia) piazza. E sono rimasto sotto i portici a godermi da lontano la festa. Con De Raffaele che mi è piaciuto quando, rivolto ai ragazzini, si è raccomandato di comprare un bicchiere più piccolo se lo vedevano ancora mezzo vuoto. Ecco la filosofia spicciola ma vincente di un allenatore che non sa nemmeno lui quanto è stato bravo a gestire un gruppo comunque non facile. Tra tanti fenomeni di colleghi e tromboni di giornalisti. Che da domani ci gonfieranno invece di retorica raccontandoci magari della Misericordia che con questi scudetti dei Bramos e degli Stone, ma anche degli Haynes e dei Tonut, c’entra come i cavoli a merenda sembrandomi improponibile il confronto con i due conquistati sotto le bombe durante la seconda guerra mondiale. Al primo piano tra gli affreschi dei discepoli di Pietro Veronese come ci ha ricordato oggi Gianni Valenti che sarà anche il vicedirettore della Gazzetta, ma che io non ho mai visto ad una partita nello sconsacrato Taliercio. Dal palco ha parlato pure un Napoleone Brugnaro commosso che ha promesso anche lo scudetto delle (sue) donne a breve e ha infiammato la folla rammentando che il prossimo anno ci sarà di nuovo il derby con Treviso. Ora però il primo cittadino di Venezia e Mestre, che lui vuole sempre più unite, mi perdonerà, ma dal mio podio tricolore stavolta lo faccio cortesemente scendere perché deve far posto a Federico Casarin, Walter De Raffaele e Renzo Colombini che all’ultima partita, la diciassettesima dei playoff in trentacinque giorni, ha consegnato al suo allenatore una squadra con ancora tanta birra addosso da sbranare nel terzo quarto una Dinamo con la spia in rosso già da un pezzo nonostante avesse giocato quattro gare in meno. Gloria alla Reyer e soprattutto al suo presidente che ha ripreso colore e non è più solo il mio caro Pesciolino rosso, ma anche bianco e verde, cioè tricolore come due anni fa a Trento. Perché alla stampa nazionale fa comodo non credere che avrebbe potuto prendere il posto dell’amico Livio Proli a Milano. Ha saputo insomma dire no a Giorgio Armani e a una montagna di soldi per rimanere fedele a Brugnaro e completare il suo capolavoro in laguna assieme a De Raffaele. Il quale non è vero che ha un caratteraccio come ha confessato stasera il sindaco: è solamente un livornese di Ovosodo un po’ permaloso e incasinato. A volte ribelle, ma buono come il cacciucco. Che era un piatto povero, ma poi i francesi l’hanno chiamato bouillabaisse che è sempre una zuppa di pesce con lo zafferano invece del pomodoro e se ne sono presi tutti i meriti. Come di questa Reyer che dubito però che in altre mani avrebbe vinto due titoli di campione d’Italia in tre anni. Si è fatto tardi. E avrei ancora un mare di cose da raccontarvi. Ma l’estate è lunga ed è appena iniziata. Aggiungo solo che sono stati tutti confermati in linea di massima. Ovvero Haynes, Stone, Bramos, Tonut, Daye, De Nicolao, Vidmar, Mazzola, Cerella e Watt. Tranne Biligha che andrà lui sì a Milano e Giuri che s’accaserà ad Avellino. Tornerà Filloy e arriverà forse Polonara. Più un americano per l’EuroCup. Cose già dette, però che è sempre bene ripetere a uso e consumo di chi da quell’orecchio dice d’essere sordo quando invece ci sente meglio di un pipistrello.