Non servono tanti discorsi o arzigogolati giri di parole per il mio Scacciapensieri. Col quale però subito mi scuso se ultimamente l’ho un po’ trascurato, ma in questa settimana ho avuto purtroppo ben altro per la testa. Dove per la verità mi stanno ricrescendo i capelli che sono incredibilmente neri. Così adesso sono bianconero dalla zucca agli alluci. E questa è la bella notizia. Mentre quella brutta magari ve la do un’altra volta. Oggi non ne ho proprio voglia. Ieri sera ho rivisto Fratelli di Crozza live e mi è tornato il buon umore e la voglia di scrivere. Che avevo perso andando dietro a quel poveraccio di Sallusti (voto 2) che ha paragonato Silvia Romano ad “una kapò che, reduce dai lager, si ripresenta con la divisa delle SS” (Antonio Padellaro, voto 7 e mezzo). Silvia ora si fa chiamare Aisha perché ha dichiarato che Allah è diventato il suo unico dio e non ci trovo niente di strano. Mentre non mi ricordo mai come si chiama il direttore del Giornale: forse Adolfo? Non credo. Dal momento che non porta i baffetti a spazzolino e non ha il ciuffo ribelle di Hitler. Maurizio Crozza è un fuoriclasse come ce ne sono rimasti pochi in Italia e sono un autentico sballo le sue nuove imitazioni al professor Franco Locatelli, primordiale presidente del Consiglio superiore della sanità, o alla coppia dei disastri longobardi Attilio Fontana–Giulio Gallera (con due elle, mi raccomando). Però anche Padellaro (il Fatto) nel suo genere è un giornalista d’alto livello, semplice e giusto. Come il finale della storia che si è inventato su Aisha che un giorno, dopo che in Parlamento c’era stato chi, per esempio il deputato leghista Alessandro Pagano, l’aveva definita “neo terrorista” e dopo che le hanno gridato “torna dai tuoi cari amici taglia gole”, è volata in Kenya questa volta per sempre. Di nuovo ha attraversato la giungla e il deserto e, stremata, si è riconsegna ai suoi carcerieri che l’avevano tenuta segregata per 535 giorni e 535 notti. “Ma ora sa che persino una raffica di kalashnikov in un lontano villaggio dell’Africa è preferibile ai boia del tuo Paese che ti mangiano il cuore”. Oggi è sabato, Sant’Ubaldo. E pensare che credevo fosse domenica. L’ultima di pace. Poi lunedì tutti fuori. Tranne il vostro scriba che sarebbe rimasto volentieri barricato in casa perché mi sembrate diventati tutti matti e molto più odiosi, egoisti e cattivi di prima. Il carogna-virus vi ha senz’altro fatto male. Anche se non vi ha morso. Per fortuna. Però vi ha cambiati in peggio e mi fate molta paura. Come le fanatiche tose di Zaia che di Matteo Salvini, il Cazzaro Verde, sono pur sempre le nipoti e le figlie di un’ignoranza spaventosa. Così come i fascistoni di tutte le età che corteggiano Facciona Nera, bella abissina, lanciando vigliacche minacce di morte a Silvia Romano delle quali Giorgia Meloni non può dire che le fanno schifo, come ha scritto di recente Andrea Scanzi (voto 8), “forse perché non lo pensa e di sicuro perché non le converrebbe”. Furbetta come quelli del calcio e mi riferisco soprattutto ai giocatori della Lazio che il coraggioso e bravo Stefano Agresti (voto 9) ha beccato in un campo secondario di Formello che, nascosti da una rete verde, si sfidavano in un gioco proibito e pericoloso come il tre contro tre sotto gli occhi di Simone, l’angioletto Inzaghi, che con la mascherina dirigeva l’allenamento e si raccomandava che non fossero troppo duri nei contrasti. Altrimenti cosa avrebbe poi raccontato alla stampa? Che si erano infortunati correndo da soli e mantenendo le distanze uno dall’altro? Nemmeno Matteo Petrucci (voto 7-), il figlio di Giannino che è grande amico di Claudio Lotito, gli avrebbe creduto. Come è stato. Mentre Repubblica, che anche quest’anno contenderà a Mamma Rosa il premio Fuga dalla notizia 2020, ha incassato l’ennesimo buco dal Corriere della Sera e ha fatto finta di nulla confermando che si riempie la bocca d’etica sportiva e si scandalizza, strappandosi le vesti, per un rigore che il Var non ha dato alla Fiorentina o al Napoli di due signori presidenti, ma alla fin fine dimostra di non poter fare la morale proprio a nessuno perché è uguale a tutti gli altri quotidiani che, se la stessa partitella della Lazio l’avesse giocata la Juve alla Continassa, apriti cielo: avrebbero chiesto l’immediata retrocessione della squadra di Marx Sarri stavolta non in serie B con la Salernitana di Gian Piero Ventura e di Claudio Lotito, ma in C con l’Under 23 bianconera di Fabio Pecchia e Andrea Agnelli. Che però è cugino di John Elkann che nel giro di tre settimane, e in piena pandemia, prima ha fatto fuori Carlo Verdelli e poi Sebastian Vettel. Quindi, ripensandoci, quali problemi avrebbe di tagliare la testa ad un giornalista di Repubblica (o della Stampa) che solo avesse osato con un dito toccare la sua Signora? Nessuno. Nemmeno se si chiamasse Maurizio Crosetti (voto 7.5) che con Giorgio Chiellini ha scritto un ottimo libro che è uscito lunedì e che mi porterò in ospedale quando decideranno di togliermi l’ultimo mozzicone di plasmocitoma. Ecco, mi è scappata persino la cattiva notizia, ma non c’è niente da fare: per una news che merita attenzione darei anche il dito medio. Quello che alzo verso chi mi vuol male e che magari è un intertriste che, come Josè Mourinho (nella foto d’epoca, ndr), avrebbe messo le manette ai polsi del capitano della Juve perché ha scritto che proprio “non stima chi non rispetta il gruppo, soprattutto chi non vive d’emozioni e si limita a indossare una maglietta con il numero e il nome. Quelli vuoti, senza cuore, ecco, quelli sono i peggiori. Uno così, mi spiace dirlo, è Balotelli. E uno anche peggiore di lui era Felipe Melo: il peggio del peggio”. Potete dargli torto? Io no. Perché se uno deve raccontare bugie anche nella sua autobiografia, allora è anche peggio dello Special One, Balo e Melo tutti e tre insieme. “Io, Giorgio” m’appassiona e vado avanti a leggerlo già ipotizzando che mi sa tanto che entro domani sera l’avrò finito. “Dikembe Mutombo, campione di basket che giocava centro ad Atlanta, quando stoppava il pallone in faccia a un attaccante si girava verso il pubblico e gridava: “Not in my house!” Anche per me funziona così, a casa mia non si entra, in area sono io il padrone. Fabio Cannavaro era così, regnava e godeva nel suo territorio”. E ancora: “Con Josè Mourinho non ho mai parlato, ma il suo carisma ha cambiato il nostro sport. Lui cerca sempre la guerra con qualcuno o qualcosa, facendo da parafulmine. Un po’ come Conte: due caratteri forti che non le mandano a dire… Io penso che Mourinho, nel bene e nel male, abbia portato una ventata d’aria fresca. E a me piace chi trasmette emozioni, anche se come avversario l’ho odiato, sportivamente parlando”. Così come odia l’Inter. Lo so, il verbo può sembrare forte e non piacere, ma l’uso che ne fa Chiellini va almeno capito: “Non bisogna essere falsi e neppure buonisti, né con le persone, né con i sentimenti che portiamo dentro. Faccio un esempio: l’odio sportivo. Esiste e bisogna farci i conti, accettarlo e imparare a gestirlo. A 35 anni penso d’essere una persona pacificata. Nella mia carriera non mi sono fatto mancare niente, tanto meno l’odio sportivo verso persone che incarnavano l’idea stessa del nemico, parlo dell’Inter dei Cambiasso, degli Zanetti, dei Samuel e dello stesso Thiago Motta: in campo, tra virgolette, se avessi potuto li avrei eliminati tutti”. Capitano, mio capitano. Mi hai deviato dalla via maestra e mandato fuori strada, ma credo ne valesse la pena. Avrei infatti voluto fare pochi discorsi e tanti pensierini sognando di tornare sui banchi della terza elementare. Così avrei avuto una buona parola per tutti. Come per la Gazzetta che stamane con SportWeek mi ha regalato una mascherina. Grazie, ma ugualmente le sottolineo con la matita blu la bufala che ha preso nella pallacanestro: aveva sparato “stop alle retrocessioni in serie A” e invece non è vero un bel niente. Anch’io odio il basket se è fatto con i piedi ed è manovrato dalla Banda Osiris dei Tranquillo e dei Messi(n)a. E difatti ho anche pensato di lasciarlo perdere e di non dedicargli più un minuto del mio tempo prezioso. Vedremo. Così almeno non correrei il rischio d’essere scomunicato per sempre da Gesù Cripto Eleni. Però spero intanto che il Conte Giuseppe e Vincenzo Spadafora abbiano finalmente capito con quali furbetti del quartiere-calcio pariolino dovrebbero scendere a patti e per questo devono fare una sola cosa: mandare in vacanza il pallone sino a settembre lasciando che la Lazio continui pure ad allenarsi giocando tre contro tre nella campagna di Formello al chiaro di luna sotto un cielo di stelle cadenti. Con Lotito Petronius arbiter e Igli Tare al Var. Con o senza la mascherina in omaggio di Urbano Cairo. E invece con la riapertura dei cinema e dei teatri a metà giugno mi sa tanto che il governo darà il via libera anche alla serie A. Ma sino a quando? Sino al primo caso di positività al Covid-19. Con alto rischio soprattutto a Brescia, Ferrara, Genova, Udine e Torino (sponda granata): c’è purtroppo da scommetterlo.