Le azzurre e la Sottana non ne possono più di Capobianco

Giorgia-Sottana

E’ arcinoto a tutti quanto mi sia caro Giannino Petrucci che è ormai quarant’anni che conosco, come direbbero Hugo Sconochini e qualche altro opinionista (indigeno) di Eurosport, ma se al caro Fiorello perdono anche qualche congiuntivo sbagliato perché la sua terra madre è l’Argentina, e questo non dobbiamo mai dimenticarlo, ai fratelli d’Italia regalerò invece per Natale un bel paio d’orecchie d’asino e, già che ci sono, pure una grammatica della nostra lingua che spieghi a quei somari l’uso corretto dei verbi che si distinguono in tre persone singolari (io, tu, egli/essi/esso) e tre plurali (noi, voi, essi/esse). Onde per cui ricomincio tutto daccapo. E’ risaputo quanto sia affezionato al presidente federale della nostra pallacanestro che sono ormai quarant’anni che conosco. Oppure, meglio ancora, per non sbagliarsi: non nascondo a nessuno d’avere un debole per il tiranno (buono) di Valmontone che conosco da quarant’anni e mi ripete sempre, quando ci sentiamo, di volermi un sacco di bene nonostante tutto. Ora non è che quel “nonostante tutto” proprio mi garbi, come direbbero i miei amici senesi, ma lo digerisco perché comprendo, giurando lui di non leggere il mio blog, chissà mai quali canagliate ho scritto sul suo conto come gli raccontano inventandosele quei marrani dell’Osiris. Però devo essere sincero: ultimamente mi pare che Giannino sia un po’ uscito dal seminato o, meglio ancora, che abbia fatto qualche goccia fuori dal boccale. Per carità non è che in passato abbia sempre sposato le sue scelte di campo. Anzi. Per esempio non avrei mai dato un calcio sul sedere a Simone Pianigiani solo perché non gli dava molto retta, “aveva gli occhi arrossati” e non piaceva al nonno di Heidi che – fateci caso – somiglia un sacco a Davide Pessina. Ma almeno il suo chiodo fisso era la nazionale, che con Ettore Messina avrebbe dovuto andare alle Olimpiadi di Rio de Janeiro, mentre del resto non gli importava proprio un fico secco. Adesso invece, in un galoppante delirio d’onnipotenza che non gli conoscevo, sta mettendo il becco a destra e a manca. E soprattutto nelle cose della Lega. E non mi venga a dire che non è vero, come ha cercato di spiegare (invano) a Flavio Vanetti sul Corrierun, perché ha telefonato persino all’Andrea Mauri, l’imbarazzato ad di Cantù, convincendolo a non partecipare all’assemblea di Lega di giovedì scorso. Dove è saltato tutto in area non essendo stato raggiunto il numero legale dei due terzi di società partecipanti alla riunione. E i club ribelli senza Cantù sarebbero stati cinque, quindi insufficienti per non approvare il bilancio preventivo 2019-20 e per non indurre il presidente federale a minacciare il commissariamento della Lega come ha fatto scrivere a Mamma Rosa dal solito palafreniere amico e complice. Non so, a dirla tutta, se Giannino mi legga o meno. Di sicuro Vanetti lo fa e mi dà bada perché ha parlato della santa alleanza tra lui e Stefano Sardara come avevo titolato il mio ultimo pezzo di basket della settimana scorsa persuadendolo che è in atto dalla presentazione del campionato, quando già Sassari e Brindisi non parteciparono al pranzo dei presidenti, una non più carbonara quanto assurda sommossa della Banda Osiris contro Egidio Bianchi, il presidente delle diciassette di serie A. Al punto che sarei tentato d’inserire sotto l’albero lo stesso Petrucci nella top ten natalizia di Ciccioblack Tranquillo e di Andreino Bassani. Petrucci ha detto che Sardara è un genio del basket come ebbe a dire quest’estate di Salvatore Trainotti: se lo porti allora in Federazione come ha già fatto con l’abile general manager di Trento se sul serio Ario Costa darà le dimissioni, per altro già annunciate, da consigliere federale. E lasci che della Lega s’arrangino  l’Armani e la Segafredo che per il momento sono pappa e ciccia contro Sardara e i suoi compagni di merende, ma che presto duelleranno tra loro per un potere che fa gola ad entrambi. Cioè ai deus ex machina di Milano e Virtus. Ovvero sia al Messi(n)a che a Baraldi. Quanto ai pettegolezzi sugli arbitri sono ben di peggio della chiacchiere che si fanno nei cortili del basket dove si narra di qualche cena bolognese post partita tra i Tedeschi, padre e figlio, e i fischietti che hanno da poco diretto il match della Fortitudo. Di loro vi ho già detto, cioè dei tredici più Sahin che hanno fatto saltare in aria il sindaco di Sardella, ora sostituito da Begnis, che a sua volta  aveva fatto fuori Cerebuch. E di loro mi occuperò  di nuovo nei minimi dettagli prima della fine dell’anno. E comunque perché Giannino non torna ad occuparsi di una nazionale maschile dalla quale tutti vogliono darsela a gambe, non volendo aver più niente a che fare con MaraMeo Sacchetti, o di quella femminile che non a torto si ritiene l’ultima ruota del carro della Federbasket? Della sollevazione delle azzurre all’Acqua Acetosa, alla presenza anche del presidente del Coni, Giovanni Malagò, invitato al raduno da Raffaella Masciadri, so tutto da quasi un mese, ma l’ho tenuta tranquillamente per me ben sapendo che nessuno ne avrebbe fatto parola dal momento che certe cose ho il coraggio e la libertà di scriverle solo io. Ebbene a metà novembre, tra la vergognosa sconfitta (52-62) di Cagliari con la Repubblica Ceca e il brodino di Copenaghen con la tenera Danimarca, battuta 82-72, la capitana Giorgia Sottana, nella foto, a nome di tutta la squadra italiana, ha detto chiaro e tondo a Petrucci, e in faccia ad Andrea Capobianco, che scontente del ritorno del vecchio cittì, succeduto a Paperoga Crespi, perché è sempre impegnato in mille altre faccende (Under 17 e 18, il tre per tre, tutte le nazionali del settore giovanile, eccetera eccetera) e non ha mai tempo per loro e tanto meno per preparare come si deve una partita di qualificazione agli Europei.  (-4 Lega– continua)