A ruota libera e a briglie sciolte: avete capito insomma. Senza capo, né coda. Senza arte, né parte. Siamo tre fratelli: Beppi tifa per il Milan, Robi per l’Inter e io non credo che serva dirvelo. Quando avevamo i pantaloni corti e c’era la telecronaca differita di un tempo di una partita di serie A alle 19.10, mio padre preferiva andare al bar per non vederci che ce le davamo di santa ragione sul divano del soggiorno. Stamattina mio nipote Rocco di tre anni mi ha svegliato coi giornali e mi ha domandato: “Sei felice, nonno, se tengo per la Juve?”. Me lo sono mangiato di baci e di coccole. Dimenticavo: suo padre è rossonero. Con Sandro Piccinini al mercoledì in Champions mi sembra d’essere tornato a quei tempi eroici: “ammucchiata in area”, “incredibile”, “fischi di paura”. Al massimo Nicolò Carosio ripeteva allarmato due o tre volte: “Pericolo”, ma non era ossessivo come il figlio del giocatore di Milan, Juve e Roma. E pure della nazionale con cinque presenze in azzurro dal 1949 al 52. Il mitico Carosio ha fatto scuola e fu ingiustamente accantonato dalla Rai dopo un’Italia-Israele 0-0 ai Mondiali messicani del 70. L’accusarono d’aver dato del “negraccio” al guardalinee etiope Seyoum Tarekegn che aveva sbandierato un fuorigioco dubbio di Giggirriva che aveva segnato di testa su cross di Bertini. Disse solo: “Siamo proprio sfortunati perché il gol era assolutamente regolare”. Tutto qui. Non c’era ancora la moviola e men che meno il replay simultaneo. Una calunnia bella e buona. Non ho ancora letto i giornali, mi sono bastati i titoli di ieri. “Il ritorno di Mancini: con questa Inter si va in Champions”. Negli Stati Uniti d’America direbbero: ha le stesse possibilità di una palla di neve all’inferno. “Treviso, rubano un’auto con dentro un neonato: poi lo fanno ritrovare”. E non raccontano che la madre aveva lasciato Giulio di due mesi addormentato sul sedile posteriore, con le chiavi in macchina e il motore (forse) acceso. Ovviamente tutti se la sono presa con i due malviventi e nessuno ha detto niente della signora Alice da Vedelago che, per andarsi a prendere un gelato, aveva abbandonato il piccolino. “La rivolta delle borgate: non siamo razzisti, ma solo stanchi”. E qui non c’entra essere di destra o di sinistra: basta essere d’accordo. Venerdì sera sono stato al Palaverde a vedere la nuova Treviso che non ha più niente a che spartire con la Benetton di Paron Gilberto: c’erano quattromilacinquecento persone, un tifo meraviglioso, la curva dei fioi della sud che festeggiava il compleanno del presidente Paolo Vazzoler e gli gridava in coro “grazie di tutto”. Ottava vittoria di Stefano Pillastrini, per gli amici il Pilla, in otto partite. In tribuna c’era il sindaco di Treviso e quello di Cortina. Non ho trovato invece nessuno che avesse nostalgia, come Bear Eleni, per Giorgione Buzzavo. Quest’anno tifo De’ Longhi. Così come da ragazzo per le Vu nere. Forse perché era troppo semplice allora essere per l’Ignis o il Simmenthal. Ma non ditelo ai miei compaesani: mi potrebbero ammazzare. Ieri sono stato a Sant’Elena e il Venezia del mio occhio destro, Michele Serena, ha vinto la terza partita di fila: 2-0 all’Albinoleffe e calcio da categoria superiore. Cioè da serie B. Evidentemente porto fortuna. Sto partendo per Bologna dove gioca la Reyer proprio contro la Virtus e proprio mentre Milano smentisce il possibile acquisto di Bo McCalebb. L’ha però trattato: su questo non ci piove. E, se non mi credete, domandatelo a chi lo sussurrava ai cavalli nel tondino di San Siro. Poi Joe Ragland con i polacchi giovedì in EuroLega è stato una favola e Livio Proli, precipitatosi dagli Usa, ha cambiato idea. Succede. Si faccia avanti allora Gigi Brugnaro per McCalebb. E’ una grande idea, ma figurati se Fassotuttomi per una volta mi dà retta. Peccato perché con il playmaker ex di Siena e altri quattro della ex Mens Sana potrebbe Venezia arrivare sul serio alla finale tricolore e giocarsi lo scudetto con l’Armani. Buona domenica a tutti. Tranne che a uno.