Pensavo d’aver trovato a metà novembre, nell’ultimo giorno delle Atp Finals di Torino, la foto più bella dell’anno che se n’è andato un decina di giorni fa. E a me, dico la verità, questo è un po’ dispiaciuto. Al punto che, se il 2025 fosse gentilmente simile alla seconda metà del 2024, ci metterei subito la firma e prometto, e giuro, che lo chiamerei anno anziano, e mai più vecchio, come a San Silvestro continuavano invece a ripeterlo sulla prima rete della Rai le verginelle Milly Carlucci e Antonella Clerici che te le ritrovi ormai dappertutto. Persino sotto al letto e non nel letto, per fortuna e per carità di Dio. Ho invece per l’anno passato lo stesso rispetto che devo a Anna Maria, la 96enne amica della Tigre, che a Natale mi ha regalato delle ciambelle alla marmellata di prugne che sono o, meglio, erano la fine del mondo. Le prugne, Anna Maria, le raccoglie dagli alberi nel suo giardino in montagna, a Ronzone, in Val di Non, prima che gli orsi golosi del bosco trentino gliele mangino tutte. E non scherzo. Infatti i nonesi, battezzati i genovesi delle Alpi dai sudtirolesi invidiosi, hanno avuto anche l’opportunità di votare contro i lupi e gli orsi della zona confinante alla Val di Sole, dove va in ritiro da parecchie estati il Napoli dell’eterno e sempre più sgradevole Aurelio De Laurentiis. In un referendum che è durato la bellezza di tredici giorni, ma le urne sono andate ugualmente deserte, o quasi, e comunque il quorum del 50 per cento non è stato nemmeno sfiorato.
Abituato con l’Orso Eleni, il mio caro Gesù Cripto, assieme al quale ho girato piacevolmente il mondo in lungo e in largo, nemmeno io ho più fifa degli orsi. Tanto che per la prossima estate ho chiesto alla gentilissima Anna Maria che mi trovi un appartamentino in affitto da quelle parti che sono un incanto e non dovrebbero essere troppo care, nel senso di costose, come lo è diventata la splendida Cortina d’Ampezzo infestata però oramai dai peggiori burini e rifatte, cocainomani e neofasciste dell’ex Bel Paese. Peccato! Perché sarebbe stato entusiasmante seguire da vicino i Giochi invernali sulle Tofane e in particolare le uniche tre gare olimpiche che sul serio non meriteranno d’essere vissute davanti ad un teleschermo e all’ascolto di telecronisti Rai molto indigesti: cioè la libera, il superG e il gigante femminili. Aggiungendoci fors’anche la combinata. Con Federica Brignone e Sofia Goggia a caccia giustificatamente di medaglie perché no d’oro. Mentre in bob a due o a quattro e sullo slittino pancia in giù andateci pure voi: io non ne ho la minima voglia.
Come d’abitudine, mi sono di nuovo perso in discorsi che magari non v’interessano o addirittura vi turbano soprattutto se siete innamorati marci di Giorgia Meloni e delle sue bugie con le gambe corte, ma a 75 anni suonati pensate davvero che scriva ancora quel che piace a voi più che a me stesso? Come fa invece il mio Bombolone, Paolo Condò, mulo di Trieste e di presunta fede blucerchiata, che è tornato a scrivere i suoi pezzi alla crema o a inzuccherare i suoi commenti al rosolio sul Corriere della Sera rinunciando a Repubblica. La quale mi potrei anche sbagliare, ma mi era sembrato che in verità lo stesse nelle sue pagine relegandolo sempre più in un cantuccio. E cioè cacciando. Comunque sia, Urbano Cairo sarà adesso arcicontento: gli costerà qualche euro in più, d’accordo, ma finalmente sarà idolatrato come il più grande dei presidenti della storia del Torino mentre in città i tifosi granata sono da anni annorum che non ne possono più di lui e lo contestano domenica dopo domenica senza però mai riuscire lo stesso a far rumore nelle cronache dei quotidiani del lunedì. Come sulla Gazzetta della Befana il giorno dopo lo squallido 0-0 casalingo col Parma: “Passi in avanti e tante occasioni granata, ma super Suzuki le prende tutte”. Dimenticandosi del palo centrato in pieno da Mihaila e dello 0-1 di Cancellieri che poteva benissimo anche non essere annullato dal Var.
Forse parlo così perché dopo il tramonto c’è il derby e se al Torino, che in casa quest’anno ha raccolto solo un paio di vittorie per sbaglio (2-1 all’Atalanta e 1-0 al Como due mesi e mezzo fa), riuscisse di battere la Juventus più indecente del secolo, peggiore anche di quella sbattuta senza prove dall’Inter di Moratti e dalla Gazzetta di Cannavò in serie B “per un fondato convincimento nazional-popolare (!?!)”, non potrei arditamente più sottolineare come in classifica al termine del girone d’andata il Toro abbia appena 4 punti più delle terzultime (e scassatissime) Cagliari e Lecce. Temendo – lo confesso – non tanto la sconfitta bianconera, che ci può anche stare con Panna Montata Motta sul ponte di comando della barca che va alla deriva, quanto di fare con voi una gran brutta figura. Come quella di cui si è macchiato il presuntuoso Fabio Capello alla vigilia della finale di SuperCoppa italiana di Riyad. Quando ha scritto sul giornale in rosa che il Milan non avrebbe potuto in alcun modo battere l’Inter. E difatti così non è stato: o mi sbaglio?
Nel frattempo mi sono ricordato di cosa volevo oggi parlare. Di basket senz’altro ma, prima ancora, di tennis. Devastato come sono dall’amore per quello giocato e interpretato a modo suo da Jannik Sinner, campione incantevole, forse perchè poco italiano. Con un diritto lungo linea esplosivo e impossibile o con un sorriso sereno e mai ammiccante. Del resto avevo già scelto la sua foto come la più bella del 2024 mentre entra nell’esplosiva arena torinese della Finals tenendo per mano un fantastico bambino, credo giapponese, con una simpatica frangetta sulla fronte e un’enorme pallina da tennis quasi più grande di lui sotto braccio, che accompagnava Jannik a strabattere ancora Taylor Fritz sempre in due set, e di nuovo per 6-4 6-4, dopo aver stordito in settimana pure De Minaur, Medvedev e Ruud. Di Sinner so tutto: vita e miracoli. E ho letto tutto: in primis Vincenzo Martucci, ex gradevolissima prima firma per anni del tennis in Gazzetta, troppo bravo per rimanere un giorno di più nella redazione del Cairo con Franco Arturi e figlia, Riccardo Crivelli o Federica Cocchi, e Giorgio Specchia, gran capo delle varie che si vanta in un libro, che deve aver letto solo lui, d’essere appartenuto alla curva degli ultras dell’Inter. Dalla quale buttavano giù da basso i motorini addosso alla gente. E dalla quale, nella Pasqua del 1983, dopo un Genoa-Inter 2-3, che sarebbe invece dovuto finire 1-1, gol di Spillo Altobelli, stesero uno striscione di una trentina di metri del cui titolo ancor oggi meno vanto: “Pea e Ziliani dall’Inter giù le mani” se non avessero minacciato d’accoltellarmi all’uscita del Comunale di Torino e di dar fuoco alla casa della mia famiglia come fecero con la macchina del povero compianto Alberto Zardin che, pur lavorando nella Rosea di Candido Cannavò appena subentrato a Maurizio Mosca, trovò il coraggio di difenderci sostenendo che, poche storie, su quella partita avevano scommesso sette giocatori nerazzurri, tra i quali più di un fresco campione del mondo, oltre a qualche dirigente che andava allora per la maggiore. Mentre Peppino Prisco, buonanima, indagava senza vergogna su mio padre, eccellente avvocato di Venezia e come me mestrino doc.
Così vi piaccio. Lo so. Quando parto all’attacco lancia in resta e nessuno mi riesce più a frenare. Difatti vado promettendo da lustri alla Giorgia che scriverò un libro sui miei cinquant’anni tra basket e calcio, pallavolo e sci, sette Olimpiadi e ben trentacinque, o giù di lì, campionati del mondo ed europei. E nel 2025 senz’altro lo farò. Non lo giuro, ma lo prometto. Ho già il titolo: “Una per tutti”. Ma proprio tutti. Consultandomi magari con l’amico Toni Damascelli, meraviglioso juventino capace d’amare Michel Platini, che chiamavo l’Immenso, persino più di me. Lui sì che ha una memoria di ferro. Altro che la mia. Intanto leggendo i giornali di ieri e di oggi e i ritagli dell’altro giorno, quando sono stato obbligato da una violenta influenza intestinale a non allontanarmi per quarantott’ore più di tre metri dalla toilette, ho appreso dal Corriere del Veneto, il quale è fatto cento volte meglio del Gazzettino di Santo Padre Roberto Papetti, che “più di una proposta sarebbe stata rivolta a Giorgia Pea, fucsia, per succedere al sindaco Luigi Brugnaro”. Di fronte alla qual cosa non esprimerò ufficialmente mai un parere o un giudizio, ma me ne starò in silenzio. Magari commosso e orgoglioso. E così, credo, dovrebbero fare tutti i padri nei confronti dei figli per non finire ad essere, anche se involontariamente, a loro molto dannosi. Come è successo a quasi tutti i genitori che hanno un rampollo o un marmocchio alto dieci spanne che gioca a palla nel cestino. Cominciando da Nando Gentile con Alessandro o da Federico Casarin con Davide. Due ragazzi che a sedici anni avevano un enorme talento che sono poi riusciti a gettare alle ortiche e non tanto per colpa loro…
I tre puntini qui ci stanno, anche se non piacciono ai sofisti ad un tanto al chilo, perché sull’argomento tornerò prestissimo. Adesso lasciatemi però chiudere, e in fretta, avendola fatta di nuovo sin troppo lunga. Oltre le tre cartelle. Però quando mi viene un pizzicore che ben conosco ai polpastrelli non la smetterei più di scrivere. Specie di basket. Che resta la mia grande passione. Anche se stanno facendo di tutto per farmela passare, ma non ci riusciranno perché, come mi hanno detto tanti accendini, tu sei l’unico che ha il coraggio di fare nomi e cognomi. In effetti è arrivato il momento di parlar chiaro, ma anche di quelli che appiccicano il fuoco e poi se la danno a gambe. Per esempio ho perso il conto di quanti mi hanno chiesto perché Federico Casarin, ancora lui, ma non ce l’ho con lui, appena rieletto vicepresidente federale vicario, se ne sta beatamente seduto in panchina a dialogare durante la partita con gli arbitri di Citofonare La Monica che beccano lo stipendio dalla federazione di Giannino Petrucci e quindi è abbastanza improbabile che possano fischiare un tecnico a lui e pure a suo figlio. D’accordissimo, ma allora perché nessun dei quattordici presidenti di A1, escluso il Pesciolino rosso e un altro che non è difficile individuare, non se ne lamentano apertamente sui giornali magari appoggiandosi alla Lega di Umberto Gandini che rappresenta tutti loro? E’ un mistero gaudioso.
Non è più un mistero invece che la foto più bella dell’anno passato, anziano e non vecchio, non sia più quella di Jannik Sinner che tiene per mano il bambino con gli occhi a mandorla entrando nell’arena per confermarsi numero uno al mondo, ma il caloroso e cordiale abbraccio di fine anno tra Ettore Messi(n)a e il sottoscritto di spalle (con il loden verde acquistato a Dobbiaco). Con tanto di reciproci canestri d’auguri di buon 2025. Domenica 29 dicembre, al Palaverde, poco prima di NutriBullet–Armani finita 79-89 per i campioni d’Italia. Con tutto il palasport che ci guardava. Meravigliato più di noi. La foto è stata diabolicamente scattata da Stefano Gorghetto, svelto e sveglio, nonchè l’orgoglio della grande Reyer che giocava alla Misericordia ed era allenata da Paron Zorzi. Che dire? Per me è questa senza dubbi la foto più bella del 2024. Anche perché spontanea e non di certo programmata tra due che si conoscono da quasi mezzo secolo e amano sin da ragazzi intensamente la pallacanestro. Anche se la vedono spesso, per non dire sempre, in modo diverso. Ma che la pallacanestro non potrà comunque mai riuscire in alcun modo a dividere. Grazie a Dio.