So’ ragazzi. Daiii. Lo so molto bene. Ma è proprio per questo che non c’è mai da fidarsi. Né perderli di vista un attimo. Mi ero difatti preso qualche giorno di vacanza al mare senza tv e senza pc. E invece sono dovuto precipitosamente rientrare in città. La stessa dove Ettore è cresciuto ed è diventato il grande Messi(n)a. Perché cosa mi hanno combinato ’sti benedetti ragazzi? Sono riusciti a perdere con il Canada. Che non è robetta. Ma neanche la bomba atomica. O mi sbaglio? Bennett e Birch hanno però la fisicità che a noi manca: si è subito affrettata a precisare premurosa Mamma Rosa. Fisicità – è risaputo – è un termine che mi fa venire in tre secondi l’orticaria. E comunque non è che Cusin sia un piscinin o Cervi a primavera un bambi. Semmai non sono due fulmini di guerra, ma questo non si può dire altrimenti Giannino Petrucci e i suoi vassalli, valvassini e valvassori m’inceneriscono con un sguardo. Ci sarebbe poi da parlare anche di Andrea Bargnani che ne ha sempre una, ma ce lo dobbiamo tenere ben stretto lo stesso. Magari sotto una campana di vetro. E sopportare tutte le sue lune che negli ultimi tempi sono sempre state più calanti che crescenti. E raramente piene. Facendo buon viso a cattivo gioco. Come faceva Simone Pianigiani. Però coltivo una fiammella di speranza nel cuore che non vorrei mai che Maurizio Gherardini mi spegnesse sul nascere. Mi piacerebbe infatti che dopo le Olimpiadi di Rio de Janeiro il giemme del Fenerbahce, affezionatissimo all’ex benettoniano, portasse anche Bargnani in Turchia e lì, sul Bosforo, nel quale si può fare anche il bagno, basta stare attenti alle correnti, lo trattenesse tutte le estati. Dalla prossima a quella del duemila e trentacinque. E non mi dica già di no: lo sto pregando in ginocchio. Santa pazienza. Che di certo non manca al nostro Ettore. Che ne ha spesso avuta tanta anche con me. Lo ammetto. Però se devo muovergli una critica lui sa che non gliela sparo mai alle spalle e per questo spero che la stima tra noi resti sempre intatta. Ad esempio mi è sembrato che domenica al Paladozza di Bologna i suoi giovanotti, che non chiamo più fricchettoni come agli Europei del 1993 in Germania, perché sono altri tempi, fossero più preoccupati a guardare le facce che lui faceva in panchina, e a essere bravi scolaretti sul parquet, cha a inventarsi qualcosa di diverso dall’infausto tiro da tre punti e dal passarsi in fretta e male tra loro la palla. E così si può perdere anche con il Canada. Anche se ai supplementari. Come un anno fa nei quarti con la Lituania. Che forse è pure meglio del Canada. Quel giorno a Pianigiani mancò Gigi Datome. E seppe dal solito dolorante Bargnani che se la sentiva di giocare solo un’ora prima della palla a due. Stavolta a Marco Belinelli hanno fatto un occhio nero e rotto l’osso mascellare sinistro. Daniel Hackett era l’unico che andava a mille e si è pure infortunato. Insomma ci siamo capiti dove voglio arrivare. Se le ciambelle non riescono sempre con il buco, la colpa non è solo del commissario tecnico che ride poco, e in questo Simone e Ettore sono molto eguali, come ci fece credere all’epoca il furibondo Giannino, ma anche della fortuna che ti gira le spalle o di un tiro di Alessandro Gentile che non va a segno. Che poi il problema sia sempre lo stesso, è inutile che ci giriamo tanto intorno: a parte Danny Boy, che Petrucci due estati fa diede in pasto alle iene delle Gazzette sportive perché lo dilaniassero, non dimenticatevelo, abbiamo due eterni punti deboli: il playmaker e il pivot. E allora vediamo chi ha ancora il coraggio di sbeffeggiarmi quando dico che Arcidiacono ci serviva come la luce nella cantina buia facendo la felicità di Messina come un bicchiere di vino con il panino della canzone di Romina e Albano. Sarebbe bastato un passaporto italiano e comunque, al di là del mio chiodo fisso, non fasciamoci già la testa. I Gallinari e i Datome ce li abbiamo anche noi e nessuno ce li potrà mai portar via. Come i Belinelli e gli Hackett. Questa nazionale, e non solo quella del pallone, merita tutta la nostra comprensione e il nostro affetto sulla strada che in un modo o in un altro ci porterà molto lontano e sicuramente ai Giochi. A patto che non la facciamo più grande di quella che è. Con amore e fantasia. Senza le manette ai polsi. Perché Ettore il Messi(n)a è bravo in tutto, e soprattutto a farsi seguire e rispettare, anche più del Conte Antonio. Un uomo senza parrucchino, ma non è il guardiano del faro e men che meno della prigione di Alcatraz.