“Dopo le banane, Kennedy. Proprio non ce la fa Carlo Tavecchio: non ci arriva. E’ troppo ignorante, provinciale, fuori dal mondo”. E’ così che si parla chiaro: tanto ci voleva? Sì, ci voleva Emanuela Audisio di Repubblica. Prima di lei tutti gli altri ci avevano anche provato, però girandoci intorno. E qualcuno addirittura alla larga. Come lo Squalo Galliani, da una settimana davvero muto come un pesce, ma con quella pinna impazzita che non sa più dove orientare. Albertini no? Sia mai. Eppure è stato un suo giocatore. E anche di buon valore. Corretto, tranquillo, educato: un amore. Ma piaceva a Barbara Berlusconi e non serve aggiungere altro. Oggi difendere Tavecchio è diventato impossibile. Forse anche Lotito, l’altro compagno di merende, ne ha preso atto, ma ormai è tardi per cambiare e così insiste sulla Stampa: “Ha espresso concetti giusti in maniera errata. Tutto qui”. Solo? E il Tav ha fatto a modo suo pure la vittima: “Sono stato trattato peggio dell’assassino di John Kennedy”. Che magari non sapeva neanche chi fosse. Un paragone almeno temerario, ha aggiunto l’Audisio: ma, si sa, le metafore, i confronti, i paragoni non sono il suo forte. Avrebbe fatto molto meglio a star zitto, come gli aveva consigliato anche Malagò. Ma l’impresentabile ragiunàtt dell’Alta Brianza ascolta solo il geometra Galliani e il pedagogo Lotito. Tra sette giorni si vota. E, se non succede il finimondo, l’ex primo cittadino di Ponte Lambro, 15 chilometri da Como e 19 da Lecco, cinque condanne penali di qualche mese, uscirà comunque vincitore dalla battaglia di lunedì all’Hilton di Fiumicino. E poi saranno ancora manganellate d’ignoranza mostruosa alle quali non voglio neanche pensare. Del resto non più tardi di ieri Mario Macalli, presidente della Lega Pro, ha confermato che le società di Serie C voteranno per Tavecchio. Che a sua volta gli ha promesso la vicepresidenza della Figc. Tranne qualche eccezione, Benevento e Messina per esempio, “ma una rondine non fa primavera” ha subito ribattuto Lotito che è il vero Mangiafuoco di tutta questa burattinata. Sempre ieri il sostituto procuratore di Firenze ha chiesto il rinvio a giudizio per Macalli, sei anni più anziano di Tavecchio che pure ne ha 71, con l’accusa d’abuso d’ufficio. Non una cosa da niente, anche se il ragioniere milanese la definì a suo tempo “una barzelletta” e ci rise sopra: in pratica “per interesse proprio” bloccò un bonifico di oltre 256 mila euro che avrebbe salvato il Pergocrema dal fallimento. E chi se ne importa canterebbe Gianni Morandi. Tanto, anche se tutti gli indecisi del momento, pari all’11 per cento, votassero lunedì per Demetrio Albertini, e a questi, ammesso e non concesso, s’aggiungesse l’intera serie B dello sconcertante Andrea Abodi, ugualmente oltre la metà della torta se la papperebbe col 52-53 per cento il nostro Tav, non poi così vecchio e comunque già col calice di champagne in mano per brindare, anche con Zamparini e Tardelli, ad un successo che avrebbe ottenuto lo stesso, ma con ben più ampio consenso se solo negli ultimi tempi si fosse cucito la bocca e non avesse manifestato tutta la sua ignoranza crassa e debordante. Sì, proprio di Marco Tardelli sto parlando: avete capito benissimo e, lo so, non ci potete credere. Neanch’io. Cinematograficamente, ha scritto Gianfrancesco Turano sull’Espresso, che era partito male, chiamandolo Claudio, ma poi riprendendosi alla grandissima, Tavecchio è l’anello mancante tra il Lambertoni del “Vedovo” e il cumènda Cavazza della “Contestazione generale”, quello del alegher alegher e qui mi fermo. Altrimenti Carlo Tavecchio è sul serio capace dopo l’elezione di ripetere la frase di Antonio Albanese per intero e allora non sarà più solo povera Italia del pallone. Sarà anche più povero tutto il Belpaese di Dante Alighieri e Leonardo da Vinci. Il quale mi spiace, caro Tav, ma non inventò il gioco del calcio.