Se ne dicono tante. Anche troppe. Tant’è vero che a volte si farebbe più bella figura a stare zitti e muti. Come i pesciolini rossi nella boccia di cristallo che si vincono alle giostre e non mettono mai la testa fuori dall’acqua. O al massimo fanno continuamente sì col capo. Doppio senso. Come i cagnolini sul retro del lunotto delle auto che adesso non andranno anche più di moda, ma che a me piacevano un sacco. O niente o troppo: spesso gli estremi si toccano. Ed è per questo che Casarin e Brugnaro vanno d’amore e d’accordo. Però non è di Venezia che oggi vi voglio parlare, e nemmeno di quel disastro di diretta televisiva che ha messo in piedi il povero Marino nel tardo pomeriggio della domenica. O del Poz che a Varese hanno riconfermato, ma intanto hanno telefonato e preallarmato Mazzon. Tempo al tempo. Oggi devo urgentemente occuparmi d’altro. In primis del posticipo di ieri a Cremona. Poi magari del presidente di Milano che non sa dare i numeri. Infine, se non mi sarò perso in altre ciance, del mio caro Giannino Petrucci. Affinchè non si dica mai che non ce l’ho con lui o, peggio, che ho una fifa blu dei potenti. Ripetutamente il Chiabo, che esce dalla tetra redazione di Aldo Giordani come buona parte della Confraternita del Lambro che ancora sputa sentenze a vanvera, ha scritto che il miglior arbitro del mondo è Lamonica. Una parola sola. Io invece preferisco staccare l’articolo dal nome e aggiungerci un verbo: Citofonare la Monica. Mi sembra molto più divertente, ma in Gazzetta non ho mai visto nessuno ridere: purtroppo si prendono tutti troppo sul serio. Ai miei tempi c’erano Paolo Zanon, buonanima, e il suo grande allievo, Stefano Cazzaro. Entrambi veneziani, ma guai a chi mi giudica di parte se affermo che erano di una pasta dieci volte più buona: lo strozzo e stringo molto forte. Adesso la finale delle finali scudetto tra Milano e Siena al Forum l’hanno diretta il 27 giugno scorso queste tre aquile: Saverio Lanzarini, Carmelo Paternicò e, per l’appunto, Luigi Lamonica. Doveva vincere l’Armani: l’avevano deciso dall’alto e così è stato. Quest’anno va assai di moda la Grissin Bon per la quale fanno il tifo un po’ tutti. La squadra, per carità, è molto simpatica: io per esempio vado matto per Ricciolo Della Valle e mi sto ricredendo su Polonara, con una elle sola, mi raccomando. Ma piace soprattutto all’esercito di giornalisti che a Reggio Emilia sono nati e hanno fatto fortuna altrove. E questo i fischietti d’Italia lo sanno benissimo. Succede così che a una ventina di secondi dalla fine di una partita punto a punto, 87-86 per la Vanoli, il Cincia Cinciarini tiri per le braghette Vitali in palleggio-arresto-e-tiro sotto agli occhi di Citofonare La Monica, oltre a quelli di Di Francesco e Bongioni, che invero non so neanche che nome abbiano. Persino Fanelli, che di solito non è molto sveglio, se ne accorge e lo fa notare alla Pedrazzi. I tre arbitri invece fanno finta di nulla. Bravi. I più bravi del mondo. Perché se solo uno dei tre avesse fischiato il fallo antisportivo, sarebbero stati due tiri liberi per Superbone e palla in mano di Cremona. Vale a dire: avrebbe perso al 99 virgola 9 per cento la Grissin Bon e così invece non è stato. E qui mi fermo perché non credo che serva aggiungere altro, ma anche perché ho deciso, d’ora in avanti, che i miei pezzi quotidiani (o quasi) su questo sito-blog www.claudiopea.it non debbano essere più lunghi di una cartella fitta fitta. Senza accapo. Altrimenti non sono più flash e pea-nuts di pallacanestro, ma sbrodolate autentiche che uno si stufa di leggere prima d’essere arrivato in fondo. Però posso sempre darvi i compiti per casa. Cominciate allora a domandarvi la ragione per la quale domani scriverò del Lupo cattivo che bacchetta “gli illustri filosofi”, che altri non sono che i giornalisti di Milano (e dintorni) che non hanno memoria, ma sbaglia a fare i conti e finisce lui per fare la figura del peracottaro. Sempre perché se ne dicono tante. Anche troppe. E si farebbe forse molto meglio a star zitti e muti. Come i pesciolini rossi nella boccia di cristallo. Che muovono le labbra, ma non sbiascicano parola.