Don Gel dell’Andalusia: il titolo Nba e ora l’oro di Cina

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Non c’è due senza tre. Dopo Rocco Casalino e Marx Sarri potevo non parlare del mio Don Gel andaluso campione del mondo? Direi di no. Basta che non vi lamentiate che scrivo poco di basket se con questo sono ben ottocento i miei articoli di palla nel cest(in)o che ho sfornato dall’aprile del 2014 a oggi. Che è la terza domenica di settembre. Anche troppi per le soddisfazioni che ci danno i nostri eroi sotto canestro. Il terzo del caldo pomeriggio da spiaggia. Costruendo castelli di sabbia con la paletta e il secchiello assieme a Egidio Bianchi. Mentre nel cielo blu, dipinto di blu, sfrecciano le Frecce Tricolori che fanno un baccano dell’inferno. Peggio di Ciccioblack che i cinesi hanno preso pure loro per matto. E non saranno nemmeno gli ultimi. A due giorni dalla presentazione del  campionato di serie A al Palazzo di Varignana. Da Bologna dopo San Lazzaro e Ozzano. Poco prima di Castel San Pietro. Un labirinto di strade dove perdersi non sarà difficile. Come mi è già successo due anni fa. Un campionato stavolta senza sponsor per colpa di tutti e di nessuno. Come al solito. Con la Lega di Bianchi più fumo che arrosto che perde ancora il suo tempo dietro alle Convention della Banda Osiris. Parole, parole, parole. Mentre Tranquillo è in Cina, strilla e batte i piedi per terra. E non si dà pace per il settimo posto degli Usa dell’ex santone Gregg Popovich, ma non butta via il decimo dell’Italia di MaraMeo Sacchetti che non poteva far molto meglio, ora cantano tutti assieme a lui in coro e ne sono assolutamente autoconvinti. Perché in fondo è stata eliminata proprio dalla Spagna che si è vestita oggi d’oro travolgendo nella finale di Pechino un’Argentina (95-75) stanca morta, con Luis Scola cotto a puntino e Facundo Campasso sulla brace, che è crollata già al salto della palla a due forse già paga dei successi clamorosi sulla Serbia e la Francia. L’ho detto e lo ripeto: se Giannino Petrucci pensa questo ed è contento del Mondiale degli azzurri che rimpiangeremo, come minaccia Gigione Datome, sono felice anch’io. Però lasciatemi rispondere almeno al tamburino sardo che suona per l’orchestra spettacolo del Fenerbahce di Obradovic che giovedì sarà di scena al Palaverde di Treviso. Sono convinto che anche senza di lui, Gallinari e Belinelli, e magari con Tonut, Polonara e persino Cervi a primavera, l’Italia avrebbe ugualmente sbriciolato l’Angola, 27esima, e le Filippine, 32esime e ultime. Come pure il Porto Rico dopo un tempo supplementare. Se invece mi chiedete come le Furie Rosse di Marc Gasol e Ricky Rubio abbiamo potuto conquistare il titolo iridato con la nazionale spagnola più debole di questo secolo come andava in giro raccontando, e piagnucolando, lo stesso Sergio Scariolo prima di sbarcare in Cina, sono molto imbarazzato nel darvi una risposta che non sia ipocrita, ruffiana o banale. Perché in effetti le assenze di Abrines, Pau Gasol, Mirotic, Serge Ibeka e Chacho Rodriguez, avrebbero dovuto pesare non poco su una squadra che è partita in sordina e che solo nel quarto periodo ha avuto ragione di Porto Rico e Iran. Come in verità avrebbe potuto benissimo perdere anche con noi se, sotto di quattro punti dopo la tripla del Gallo a quattro minuti e mezzo dalla sirena, la Spagna non avesse tirato fuori le palle e i guantoni e non ci avesse rifilato un terribile 15-4 che ci ha sbattuto al tappeto storditi e sfiniti, senza gambe e senza (tante) storie. Audentes fortuna iuvat ed è fuor di dubbio che a Don Gel non sia mancato nemmeno stavolta un po’ di culo come per esempio nell’intreccio degli avversari nei quarti di finale, dove ha incontrato la Polonia evitando la Francia e gli Usa, e pure in semifinale, dove non avrebbe mai potuto perdere a quel punto con l’Australia. Ma è stata in gambissima, la Roja, nella foto di gruppo, a mettere per prima sotto una Serbia superbona e distratta cambiando in questo modo il proprio destino e convincendosi strada facendo che, anche senza i fenomeni rimasti a casa, avrebbe vinto la corsa anche all’oro di Pechino. Aggrappati al bravo coach bresciano che tre mesi fa è diventato campione Nba da assistente di Nick Nurse ai Toronto Raptors insieme a Marc Gasol che, come Rudy Fernandez, era già stato campione del mondo nel 2006 in Giappone. Ricky Rubio è stato eletto mvp del Mondiale e Sergio Llull ha accettato di buon grado di fare il sesto uomo: anche questo conta in un grande gruppo che nella difesa ha avuto la sua arma migliore e nel fratello minore di Pau l’asso nella manica da giocare al momento giusto per vincere il piatto più ricco. Mi ci ficco. Pensando che Scariolo non ha raccolto niente solo all’Armani. Forse perché nel nostro basket c’è un’aria rancida, come sosteneva lui, che non fa bene alla salute. Vuoi mettere invece come si sta da Dio a Marbella nella dolce Andalusia lontano da tutti e pure dalla Juve che sono nove anni che bastona la sua Inter?