Lo sapevo che avrei scatenato un vespaio e che pochi mi avrebbero capito. Non importa: ci sono abituato. Neanche in famiglia, se è per questo, bene comprendono perché perda il mio tempo a scrivere di palla nel cestino o d’altro. Invece d’andare a giocare a golf. E forse non hanno nemmeno torto, ma il basket è la mia grande passione, dopo la Juventus, e in un canestro posso comunque infilare più buoni o cattivi pensieri che in una buca con il putter. Che pure è il mio ferro del mestiere. Dicevo ieri che cinque italiani per squadra in serie A bastano e avanzano, ma anche quattro sarebbero tanti e sei sicuramente troppi. A meno che non si parli di Reggio Emilia che con De Nicolao, Della Valle, Aradori, Polonara e Cervi in quintetto inizia e finisce la partita. E pure la vince. Come domenica a Pesaro. Contro un quintetto tutto straniero: Clarke, Thornton, Hazell, Jones e Nnoko. Ma la GrissinBon è un’eccezione. Perché Brindisi con Scott, Carter, Moore, M’Baye e Joseph è forse diversa da Pesaro? O la stessa Capo d’Orlando con Ivanovic, Diener, Stojanovic, Archie e Delas? Solo Milano con Cinciarini, Abass, Fontecchio, Pascolo, Cerella e Gentile (sino a Natale) ha sposato la politica nazionalistica di Reggio Emilia, ma se poi lo starting five preferito da Gelsomino Repesa è composto da Kalnietis, Simon, Sanders, Macvan e McLean, come fate a non capire quello che vi voglio dire? E cioè che, se avessimo tanti italiani bravi come i sei o sette della GrissinBon, comprendendo magari anche Stefano Gentile e Federico Mussini, che l’anno prossimo tornerà dal college, non avrei niente in contrario persino al 6+6 proposto da Giannino e sarei anche favorevolissimo al “tutti liberi”, sul modello della nostra serie A di calcio, caldeggiato proprio dal patron reggiano Stefano Landi. Ci siamo? Non ancora. E allora vado avanti con un altro esempio. Prendete Cremona. Che sarebbe un vero peccato se dovesse retrocedere visto che economicamente sta meglio di Caserta e Pesaro, ma forse anche di Capo d’Orlando e Varese. E qui per carità nessuno s’offenda perché non è un delitto far fatica ad arrivare a fine stagione senza i bilanci in rosso e le liberatorie da far firmare per il campionato successivo. La Vanoli tra dieci giorni affronterà la Consultinvest in una sorta di ultima spiaggia e difatti ha già organizzato pullman gratis per i tifosi che vorranno sostenere la loro squadra nella trasferta di Pesaro. Bene. Ma se Paolo Lepore, che ha sostituito in corsa Cesare Pancotto, dovesse affrontare Clarke, Thornton, Hazell, Jones e Nnoko con Matt Carlino, Fabio Mian, Raphael Gaspardo, Stephan Biligha e aggiungetici pure per assurdo il Mago Bargnani, che tanto non gioca più nel Baskonia, credo che tutti si domanderebbero stralunati se per caso Lepore sia diventato matto. E comunque Cremona non si salverebbe neanche se Tranquillo la smettesse di urlare a vanvera. Siamo all’estremo del paradosso sotto vuoto spinto. D’accordo. Ma per farvi entrare in testa una cosa a volte bisogna proprio che metta mano al piccone e vi rompi la zucca. Altrimenti non arriveremmo mai a capirci. Sarei infatti il pennivendolo più felice di questo mondo se in A2 non potessero più giocare gli stranieri e neanche gli oriundi. O se finalmente Petrucci cominciasse a premiare come dio comanda i club che valorizzano i settori giovanili e a dare qualcosa in più di una pipa di tabacco alle società che davvero utilizzano gli italiani non solo per far numero o per scaldare le panchine. Da ieri (e non oggi) è primavera e domani la Reyer a Smirne e il Banco di Sardara nel Principato di Monaco giocheranno l’andata dei quarti di finale di Champions. Forza e coraggio. Mentre stasera l’Armani scende sul parquet di Atene per affrontare il Panathinaikos quando nessuno ormai più guarda l’Eurolega e men che meno Basket Room. Povera Sky, ma la noia è una brutta bestia e la storia di Cenerentola con le scarpette rosse ha stufato persino Pick e Roll, i cari gemelli di Ciccioblack.