In molti mi hanno scritto chiedendomi chi glielo faccia fare ad Ettore Messina di tornare ad allenare la nazionale anche se part-time. Me lo domando anch’io. E non da oggi. E’ vice allenatore dei San Antonio Spurs con la speranza, non poi tanto segreta, e il sogno, non poi così irrealizzabile, di poter un giorno prendere il posto di Gregg Popovich che a gennaio compirà 67 anni e fa questo mestiere da 44, ha vinto cinque titoli e oltre mille partite nella Nba, ha una squadra più vecchia di Capo d’Orlando (Duncan 39, Ginobili 38, Parker e Diaw 33) o poco ci manca. E quindi parecchio mi meraviglia che non sia già in pensione con le pantofole ai piedi e i nipotini sulle ginocchia. Davanti al caminetto acceso perché, se spento, non avrebbe proprio senso. Mentre la nonna, non so bene se serba o croata, quando prepara la minestra di cavolo o di verze, si concede anche qualche puzzetta: così tanto per profumare la cucina. Ma fa anche la crostata di mele. E perché non di pere o di albicocche? Chiedetelo a Cicciobello Tranquillo o, se preferite, a Mammoletta Mamoli che s’inventano queste storie che ormai possono incantare solo i bambini del villaggio dei soliti idioti. E difatti Napoleone Brugnaro ha intenzione di ritirarle dagli asili, come ha già fatto per un paio di favole gender, senza che stavolta Elton John o Adriano Celentano abbiano qualcosa da ridire. Del resto, al giorno d’oggi, tranne il sottoscritto, tutti prima o poi trovano un fesso d’editore che abbia il coraggio di pubblicare un loro libello di pallacanestro. E comunque posso anche arrivare a capire che ognuno s’arrangi come può per tirare a campare. Io piuttosto muoio di fame, il che mi spiace ma non accadrà mai, perché storicamente sono nato ricco, ma questo è un altro paio di maniche. Però c’è sempre un limite a tutto e, soprattutto, anche se non so l’inglese, come mi accusa qualche somaro di montagna, me la cavicchio in italiano e non pensavo di dover insegnare a nessuno, se non ai miei nipotini davanti al caminetto, che dopo l’articolo indeterminativo ci va l’apostrofo solo davanti ad un sostantivo femminile. Altrimenti è un errore d’ortografia da matita rossa. Come nel libello del Gufo con gli occhiali che un buontempone mi ha regalato per farmi uno scherzo di cattivo gusto e che s’intitola Altro tiro, altro canestro, altro regalo. Come Tranquillo è andato ripetendo ad ogni telecronaca urlata degli ultimi Europei. E se questo non è conflitto d’interessi, ditemi voi cos’è? Minestra di cavoli o di verze? Forse di cavoli a merenda. Ma non voglio rovinarmi la domenica. Già sono di cattivo umore da giovedì sera per la sconfitta del Banco di Sardara a Istanbul, con la enne davanti alla bi, mi raccomando, contro il Darussafaka che a un minuto dal 40esimo era sotto di cinque punti. Poi Logan e Haynes hanno buttato via due palle sanguinose e buonanotte suonatori. Già mi è andata di traverso venerdì quella velina che Livio Proli ha passato a Vincenzo Di Schiavi e che la Gazzetta ha pubblicato a cuor leggero: non si può infatti chiedere adesso l’intervento del commissioner in Lega quando lui stesso poco più di un anno prima l’aveva bocciato sostenendo la presidenza di Fernando Marino che vende Bmw, e talvolta fumo, e sarà pure un ottimo dirigente di pallacanestro, ma anche qui il conflitto d’interesse era palese e non feci dunque male illo tempore a segnalarlo. Già non so come ieri Verona abbia potuto perdere a Rimini con la Fortitudo e Cantù a Reggio Emilia dopo essere stata avanti di 17 al termine del terzo periodo. Veramente anche qui una spiegazione ci sarebbe, come per tutte le cose del basket, ma a mezzogiorno c’è la Reyer a Torino e me la voglio vedere in santa pace. Però, riprendendo il filo e chiudendo almeno un discorso piantato in aria, potrei sempre anche inventarmi che Popovich voglia durare in eterno a San Antonio perché è attaccato ai soldi come Giorgio Armani. Al quale di certo non mancano, e senza gettarli di nuovo alle ortiche, anche per fare un sol boccone d’EuroLega e scudetto, e pure delle altre coppette, come il Real Madrid l’anno passato, prima magari di chiudere bottega e di lasciare Milano in buone mani. Altrimenti provate a convincermi, ma non ci riuscirete, che l’EA7 non può permettersi d’ingaggiare un playmaker come Dio comanda scegliendo tra Milos Teodosic (Cska Mosca) e Vassilis Spanoulis (Olympiacos) o che non poteva offrire qualche euro in più del Fenerbahce nell’asta per Gigi Datome. Quanto a Ettore Messina, mi dicono che voglia tornare in nazionale perché gli piacerebbe disputare un’Olimpiade a cavallo di questa e della prossima stagione nella Nba senza compromettere la sua ascesa alla guida degli Spurs ringiovaniti e corretti. In verità tra il dire e il fare anche qui c’è di mezzo il mare. Che se non è l’Atlantico, è comunque più grande del Tirreno. Dobbiamo infatti ancora qualificarci per i Giochi di Rio e non sarà facile, anche se il preolimpico lo giocheremo a Torino. In più può fidarsi del Giannino che cambia idea ogni tre secondi? Prima non poteva vedere il part time e ora lo sposa. Due anni e mezzo fa avrebbe strangolato Giovanni Malagò e adesso lo farebbe santo tra i beati. Ma questo non occorre che lo rammenti al mio compaesano che ha ancora la cara mamma che vive a Mestre. O vogliamo ricordare insieme la primavera del ’97?