Se il rivoluzionario Enzino Esposito parte con un quintetto tutto a stelle e strisce come nell’anticipo con la Reyer, nessuno dice niente. O forse sono io che non conosco la geografia e ho preso un granchio. Jaime Smith, ex playmaker di Cantù, è dell’Alabama. Scott Bamforth avrà anche cittadinanza kosovara, ma è nato a Albuquerque, capoluogo della contea di Bernalillo nello stato del Nuovo Messico. E così Terran Petteway è un cowboy, magari nero, del Texas che ha finito l’università nel Nebraska. Mentre Rashawn Thomas, sabato sera parecchio indolente, per non dire scansafatiche, appena 4 punti in 23 minuti, viene da Oklahoma City. Infine Jack Cooley, classico centro bianco dell’Illinois, ha giocato anche negli Utah Jazz e l’anno scorso nei Sacramento Kings, ma con scarsa fortuna. Insomma sono tutti e cinque cittadini degli Stati Uniti d’America e fratelli di Donald Trump. Contenti loro. E quindi assolutamente non mi sbagliavo. Così come non è che Walter De Raffaele l’abbia pensata molto diversamente dal Diablo di Caserta che sta sperimentando – ho letto sul CorrSport – un nuovo modo di giocare a pallacanestro che per la verità mi dice poco o niente e non deve piacere nemmeno al desaparecido Stefano Sardara. Difatti contro il Banco di Sardegna pure lo starting five veneziano è stato per quattro quinti made in Usa: Haynes, Stone, Bramos e Daye più Vidmar. E, non appena Ray-Ban ha potuto, s’è affrettato anche a sostituire lo sloveno di Lubiana con Mitchell Watt che non è di Barcellona Pozzo di Gotto o di Campagnalupia, ma di Goodyear in Arizona come le famose gomme americane. Se invece Simone Pianigiani giovedì in EuroLega non ha fatto giocare Della Valle, Cinciarini e Fontecchio, apriti cielo: poco è mancato che ci si inventasse un’interrogazione parlamentare o si aprisse un procedimento disciplinare, se non penale, nei suoi confronti. E comunque di cosa stiamo parlando? Evidentemente avete soltanto tempo da perdere quando ciascuno dovrebbe semmai badare al proprio orticello. Dove al massimo correte dietro alle rape, dalle quali non si cava neanche il sangue, come dice sempre Dindondan Peterson, e intanto nessuno cura l’insalata che i vermi della Massoneria del basket vi stanno invece divorando sotto al naso. Nè ha fatto scandalo, da quel che ne so io, che Dimitris Itoudis, il bravo allenatore greco del fortissimo Cska di Mosca, abbia schierato proprio nel duello del Forum con l’Armani un quintetto iniziale con neanche un giocatore russo. O forse Daniel Hackett non è di Forlimpopoli, Nando De Colo di Sainte-Catherine in Francia, Alec Peters di Washington nell’Illinois, Will Clyburn di Detroit e Othello Hunter, l’ex di Sassari e Siena, della Carolina del Nord con cittadinanza liberiana? La geografia sta lentamente scomparendo dalle scuole per colpa di quell’indigeribile tegolina di Maria Stella Gelmini e della sua riforma del cavolo nell’ultimo governo Berlusconi, mentre è sempre stata la mia materia preferita sin dalle elementari e comunque, se ce l’avete con Pianigiani, è un problema solo vostro. Come dell’Alfredo, l’idraulico amico di Enrico Brignano nel suo primo film “Si fa presto a dire amore” che non arriva al sei in pagella. Il quale sosteneva che in ogni rubinetto che perde acqua si nasconde un dilemma: o basterà stringere il controdado o bisognerà cambiare la guarnizione. Nel frattempo vi chiedo aiuto: sono io che ho le traveggole o quello seduto sulla panchina della Reyer accanto a Gianluca Tucci è proprio Giacomo Baioni che sino alla passata stagione era l’assistente di Federico Pasquini a Sassari? E’ lui o non è lui? Certo che è lui. Chi l’avrebbe detto? E allora sarà il caso che presto ci si veda per brindare all’evento. Magari alla Locanda da Rinaldo in campo (dei Frari) a San Polo dove se ne raccontano tante, ma tante che non riesci neanche a star dietro a tutte. Piuttosto Enzino Esposito ha sostenuto a fine partita che Sassari non è lontana da Venezia. In effetti in linea d’aria sono appena 606 chilometri e poco più di un’ora e un quarto di volo. Nel basket invece per coprire la distanza si fa prima a nuoto se la Reyer nel primo quarto (11 punti) era rimasta ancora in laguna e nella ripresa le è bastato stringere un po’ le maglie della difesa e raddrizzare la mira con tre triple a testa di Daye e Haynes, dopo che un Tonut in piena salute aveva ricucito lo strappo, per mettere sotto un Banco dal quale mi sarei aspettato molto ma molto di più. Sulla sesta di serie A farò domani il punto dal momento che, tra la gioia che mi ha regalato l’Inter a Bergamo e la conferma della bontà della Juve a San Siro anche senza la Mela marcia, ho potuto vedere al massimo on demand il colpaccio di Brindisi a Torino e in A2 quelli di Tortona a Casale Monferrato e di Treviso senza Burnett e Antonutti a Mantova. Contento per Frank Vitucci, che so quanto ci tenesse a vincere con la Fiat, e il suo assistente Alberto Morea che è da un pezzo che ci tenevo a dire che è un ragazzo d’oro. Così come mi è piaciuto che Craft (nella foto), cose buone dal mondo soprattutto per Fred Buscaglia, abbia firmato il successo di Trento su Brescia a dimostrazione che porto culo a chi mi va a genio e non mi rompe le scatole. Oltre che la staffa, l’incudine e il martelletto.