Ho le spalle larghe. Più larghe di quelle di Benjamin Bentil che fanno paura. Anche perché due volte alla settimana vado in palestra e Alberto, il mio personal trainer, non scherza. Insomma m’alleno forse anche più di Marco Belinelli che ha la metà dei miei anni (36) e non sta quasi in piedi: difatti non vede l’ora d’andare in spiaggia per tirare il fiato e osservare la nazionale di Gianmarco P(r)ozzecco dal pattino con il binocolo. Dicevo che ho le spalle a due ante e così non mi hanno fatto nemmeno il solletico gli insulti virtussini che ho ricevuto ieri sera prima di cena su Facebook perché avevo scritto che Federico Casarin, in qualità di vice presidente federale, avrebbe premiato al posto di Giannino Petrucci, che teme i fischi della gente, l’Armani al “99,9 per cento campione d’Italia o giovedì alla Segafredo Arena o, al massimo, sabato al Forum d’Assago”. Sì, al 99,9 per cento. Magari un cincinin esagerando, ma sono un fedele di Mani, il siriaco meglio conosciuto dalle nostre parti come Manicheo, secondo il quale non ci sono vie di mezzo o sfumature di sorta: una cosa o è bianca o è nera. Poche balle. E bisognava essere ciechi, o ipocriti e farisei, per non vedere che la Virtus di Don Gel Scariolo era arrivata al capolinea già domenica negli ultimi tredici minuti della terza finale. Quando ha beccato tra capo e collo un break di 14-5, dal 66-63 all’80-68, che avrebbe ammazzato anche un cavallo. Come è stato.
E non soltanto perché Ettore Messi(n)a dal cilindro aveva pescato Jerian Grant, coniglio per tutto l’inverno, oltre ad uno straordinario Nicolò Melli in attacco liberissimo di fare ciò che voleva (22 punti, 2/2 nelle triple e 9/13 complessivo) tanto da somigliare all’Achille Polonara del preolimpico e dei Giochi di Pechino che dal Fenerbahce, campione di Turchia, ha poche intenzioni comunque di separarsi anche per andare a giocare proprio nella Segafredo. Quanto perché, a parte Hackett e Teodosic a intermittenza, e ovviamente uno strepitoso Shengelia, tutte le altre vu nere mi erano sembrate già domenica stracotte. Includendo tra i bolliti eccellenti pure l’intoccabile Belin da San Giovanni in Persiceto, ma soprattutto Kyle Weems, al quale non so come abbia fatto Paolo Bartezzaghi, il fratello minore di quello delle parole crociate che fanno ammattire ogni mattina la mia Tigre, a dare 6 nella pagella di lunedì sulla Gazzetta. Dal momento che l’americano del Kansas, magnifico mvp nei playoff della scorsa stagione tricolore, si è spento dopo il primo quarto di gara 3 e non si è ancora riacceso oggi che sono passati tre giorni. Per non parlare del deludentissimo Isaia Cordinier che non picchia, ad essere sinceri, meno di Melli, ma commette dei falli così clamorosamente plateali che è impossibile non fischiarglieli.
A proposito di fischi, m’annodo il fazzoletto, così magari non mi scordo poi di riparlare degli arbitraggi. E, andando di fretta, salto alla finale di ieri sera che lascio volentieri raccontare agli altri che sono senz’altro più bravi di me. E lo dico senza alcuna punta d’ironia. L’Orso Eleni sul quotidiano di Berlusconi: “Si suda, si soffre, si scivola, ci si attacca a tutto. Per adesso la stella dice che l’Armani sta andando oltre se stessa e la Virtus, al contrario, sta sbagliando troppe cose cominciando dalla mollezza difensiva.” E ancora: “Al terzo intervallo le squadre sono pari. Il signor Freud entra in campo. Armani trasformata, Virtus che litiga con la palla diventata saponetta su un campo scivoloso. Un parziale stordente di 18-0, sei minuti senza segnare: è la resa. Per l’Olimpia, nella serata da zero punti di Datome, con Rodriguez predone, ma anche predato, il riposo e la riflessione. Vero che sul 3-1 nessuno ha mai perso una finale, ma con questi cali di zuccheri niente sembra ancora scritto”. E qui, conoscendo il grande Oscar da quasi mezzo secolo, sono sicuro che si è toccato sotto e ha spedito il pezzo.
Walterino Fuochi (Repubblica) sbilanciandosi sin dall’incipit: “A un passo dallo scudetto, con un 3-1 tonante sulla Virtus che le si accascia davanti in un ultimo quarto mai giocato (parziale di 22-7), Milano arriva con una gara 4 che stronca, di tattica e di fisico, Bologna”. Di più: “Anche il 55-57 del magnifico Shengelia (21 punti) resta lì per terra, come una foglia morta. Di nuovo Shavon Shields (nella foto) il migliore con pure 21 punti, non fermabile dalla scollata difesa virtussina. Stavolta è stato Hall il suo gemello, incursore altrettanto puntuto”. Infine la sviolinata, stavolta obiettivamente meritata, per l’amico: “Ma fare nomi significa smentire l’assioma del collettivo di Messina, esaltato dalla difesa ferrea del finale, dalla capacità di perdere solo 5 palloni (contro i 18 nemici) e dunque di non pagar dazio ai rimbalzi”.
Cosa posso aggiungere? Poco o nulla. Se non ribadire che nel quarto periodo la Segafredo è scoppiata di brutto buttando via più palloni (9) di quanti ne ha sparati (7) a canestro infilandone nella retina appena un paio: un disastro davvero totale. Dal quale non può chiamarsi fuori Sergio Scariolo, e non lo ha fatto, che ha finito per non capirci più niente. Dimenticando in panchina Alibegovic e Mannion che non sono in fondo molto peggio di Baldasso e Alviti, tanto per fare due nomi d’altri due italiani della sponda opposta che diventeranno persino loro campioni d’Italia. Robe da non credere. Però i voti di gara 4 me li lasciate almeno dare ai giocatori, agli allenatori e agli arbitri? Sì, grazie. E allora Armani: Rodriguez 6 meno, Shields mvp 8 e mezzo, Datome 4.5, Bentil 6.5, Hines 7.5, Melli non più di 6, Hall e Grant un bel 7 ciascuno. Segafredo: Hackett 5, Belinelli 4, Weems 4, Shengelia 8, Jaiteh 6.5, Pajola 5+ perché nullo in attacco, Teodosic non più di 6, Sampson 6.5, Cordinier 4–. All.: Messina 7.5, Scariolo 5 o anche 4.5. Arbitri: Ryzhyk 5, Rossi 4, Baldini 6+. E adesso parliamo pure degli arbitraggi delle finali coinvolgendo anche i tre fischietti di domenica: deludenti Lanzarini 5 e Mazzoni 4.5 che dovrebbero essere i migliori del BelPaese, mentre Manuel Attard, il terzo della terna, merita la sufficienza piena al pari di Lorenzo Baldini.
Domani sera alla Segafredo Arena (ore 20.45) gli arbitri saranno di nuovo Manuel Mazzoni e Saverio Lanzarini con Guido Giovannetti, voto 5.5 in gara 2 quando ha diretto assieme a Carmelo Paternicò (5) e Michele Rossi, ancora un bel 4. Trascurando Tolga Sahin bocciatissimo. Uno peggio dell’altro insomma. O quasi. Intanto i giochi sono ormai fatti e quindi lamentarsi adesso non serve a niente se non raccontarsi una grossa bugia e cioè quella che con un diverso metro d’arbitraggio la musica non sarebbe stata la stessa. E questo non è assolutamente vero. Lo sa per primo Luca Baraldi. L’Armani avrebbe vinto comunque questo titolo. Anche se si dovesse andare domani sul 2-3, ma tre partite di fila la Segafredo non ha oggi come oggi più la forza di vincerle. Nemmeno con l’orgoglio di Teodosic e il cuore in mano di Shengela e Hackett. L’obiettivo della stagione della Virtus era in fondo quello di conquistare l’EuroLega: l’ha centrato e poi si è seduta, felice ed esausta. Può succedere. Mentre a Milano, una volta fuori dalle final four di Belgrado, non restava altro che azzannare lo scudetto e l’ha fatto con molta più fame della squadra di Scariolo. E una dozzina di milioni in più di budget: questo è il caso di non dimenticarlo mai. Sia chiaro.
Se invece mi dite che Ettore Messi(n)a, prima di concentrarsi sul mestiere che sa far meglio, e cioè il primo allenatore di club che non faceva più da otto anni, ha apparecchiato bene la tavola da potente e prepotente presidente dell’Armani qual è, questo è tutto un altro discorso sul quale non ci piove che Messi(n)a si sia garantito un arbitraggio che non solo lo favorisse nel basket del diamocele di santa ragione che si gioca in EuroLega, ma soprattutto che gli fosse amico e complice come lo è stato in tutte e quattro le finali nelle quali non ricordo un fischio che l’abbia danneggiato. A parte per la verità l’antisportivo assegnato a Shields da Giovannetti e Paternicò dopo un fallo subito da Pajola nell’unica partita sinora vinta – fatalità – dalla Segafredo. Ma il vero colpo da teatro è stato quello di convincere Gianni Petrucci che strappare Boris Ryzhyh dalla guerra in Ucraina sarebbe stata una mossa politica di grande effetto che avrebbe dato lustro a una Federazione che fa acqua da tutte le parti e che ultimamente non ne azzecca mezza di giusta.
L’entusiasmo di Giannino per queste cose, lo sapete, si trasforma spesso poi in esagerazione. Difatti non gli è sembrato vero di far dirigere al fischietto ucraino un paio di partite dei playoff e sin qui poco male. Ma poi gli ha addirittura consegnato le chiavi per arbitrare ben due finali su quattro da primattore e per dirottare la partita sui binari che voleva Messi(n)a e che hanno senz’altro danneggiato la Virtus che le ha perse – guarda caso – entrambe. Insomma domani a Bologna sarà una serata molto calda in una città che per la pallacanestro si divide in guelfi e ghibellini e s’infiamma anche con niente. E’ bastato del resto che ad un radio privata molto alla mano raccontassi quella che non è più neanche una notizia, né un pettegolezzo che circola da ieri nei bar sotto i portici, ma probabilmente una bella idea di cui si parla da mesi e cioè che Messer Ferdinando Minucci, il numero uno dei dirigenti di basket di questo secolo, piaccia o non piaccia a Petrucci e ai suoi sottopancia, possa dal primo luglio diventare consulente privato della Fortitudo che non certo naviga in ottime acque dopo la retrocessione in A2 e che ha qualche debituccio soprattutto con l’Agenzia delle entrate, perché scoppiasse all’improvviso all’ombra delle Torri degli Asinelli un pandemonio ingiustificato e ingigantito semmai dal fatto che molto probabilmente il nuovo giemme dell’Aquila, come riportato oggi dal Corriere dello sport di Bologna, sarà Simone Lusini, collaboratore della Mens Sana negli anni d’oro del club di Minucci che vinceva uno scudetto dopo l’altro come la Juventus e per questo dava molto fastidio anche all’impotente squadra di Giorgio Armani e di Sergio Scariolo. Che parlò all’epoca d’aria rancida che si respirava a Siena. E perché non l’ha fatto la settimana scorsa anche con Milano come gli avevo suggerito nel mio blog satirico prima che Ryzhyh salisse in cattedra e scontentasse tutti gli arbitri italiani che si sono dovuti adeguare al metro di giudizio dell’ucraino sempre molto severo nei confronti della Virtus? Ora è tardi: i buoi sono già scappati dalle stalle. E comunque dal primo luglio, questo sì che è certo, sbarcherà a Roma (assieme alla neopromossa Scafati?) Citofonare LaMonica, un altro uomo sponsorizzato dal president-coach di Milano che ha già provveduto a piazzarlo al vertice arbitrale della Federbasket. Finendo così d’apparecchiare la tavola anche per le prossime due stagioni.