Questa no. Questa non passa. Tuonava l’avvocato Gigi Porelli accompagnando l’imperativo categorico con un risatina stizzita e compiaciuta. E non passava: statene certi. Neanche se aveva un Tir davanti. Neanche se venivano giù le Torri degli Asinelli. Neanche se cercava di dissuaderlo Dio sceso in terra. In quarant’anni e più di pallacanestro ne ho conosciuti di grandi uomini di basket. Lui è stato il più grande. E io, che ho avuto spesso la fortuna di dividere con lui la stessa aragosta, per la quale andava letteralmente fuori di testa, mi ritengo ancor oggi d’essere stato un pennivendolo fortunato. Mi è capitato in questi giorni di pensare tutti i giorni all’Avvocato. Vuoi perché la sua Virtus è a pezzi. E lui ne avrebbe sofferto moltissimo. Vuoi perché un Bau Bau Mann qualsiasi non gli avrebbe nemmeno fatto il solletico. E con le minacce del Giannino non si sarebbe neanche pulito la bocca. Lui magari avrebbe usato un’espressione ancora più colorita. E si sarebbe toccato sotto al tavolo. Ma è sicuro che avrebbe anche aggiunto: questa non passa. E così sarebbe stato. Di quello che accadrà domani al Coni di Roma vi ho già raccontato ieri. E più non ne vorrei parlare altrimenti mi tornano i nervi. Se non sottolineare che da qualche giorno Massimo Oriani ha preso in mano la patata bollente e nessun altro nella redazione della Gazzetta ci mette più becco. Men che meno C10H15BrO, il bromuro di Canfora (Mario). Molto meglio così: se non altro c’è maggior equilibrio nei giudizi super partes e non leggiamo più solo un bollettino di guerra dettato da Petrucci e colorato di rosa. Veramente dal Palazzo mi sono arrivati oggi segnali preoccupanti perché sembra, si cinguetta e si sussurra che le tre ribelli ci abbiano ripensato e siano decise a non calare più le braghe. Magari fosse vero e ben felice d’aver preso un granchio. Capita. E così potrò di nuovo combattere al fianco di Reggio Emilia, Sassari e Trento con la lancia di Don Chisciotte in resta e stavolta non contro i mulini a vento. Pare infatti che il nostro Giannino, invece di starsene zitto ed emarginato in un cantuccio, lasciando fare a Giovanni Malagò, che ci sa fare, abbia abbaiato nel cuore della notte e abbia svegliato i cani che dormivano e non volevano più mordere. In effetti non se ne può più delle sue continue minacce di punire qualsiasi club che non sottostia al diktat di Patrick Baumann. Il quale è padronissimo di fare le sue Olimpiadi senza Spagna, Francia, Russia, i plavi e gli azzurri. O la sua Champions con squadre bulgare, rossocrociate e cipriote. Che però non so a quali televisioni e sponsor riuscirà a vendere. Così come nessuno può proibire alla Legabasket, se ce la farà finalmente a ricompattarsi attorno ad una stessa bandiera, di metter in piedi una serie A per conto proprio. Con i suoi arbitri e le sue regole. In piena libertà di disputare l’EuroLega o l’EuroCup e pure di rifiutare i giocatori alla nazionale se Giannino, o chi per lui, prima non glieli avrà profumatamente pagati. Ci vuole molto? Non credo. Basterebbe avere i coglioni dell’avvocato Gigi Porelli o affidare l’organizzatore del campionato al suo miglior allievo, Renato Villalta. Altro che Claudio Coldebella. Tanto più che morto un papa se ne fa un altro. E comunque Malagò l’aveva già avvertito il nostro sommo pontefice del basket italiano. Ricordate? “Alla prima che mi (ri)fai ti licenzio e te ne vai”. E lo farà molto ma molto volentieri qualora Bau Bau Mann togliesse l’organizzatore del preolimpico a Torino e il Coni fosse costretto a far causa alla Fiba per i danni subiti. Ci teniamo aggiornati e intanto, siccome le bombe comunque non mi mancano, e le posso tranquillamente tenere nell’armadio dove, al contrario di tanti prepotenti, non ho scheletri, ve ne sgancio un’altra che stavolta nessuno mi potrà smentire perché, dopo verifiche, è sicura al cento per cento. Milano si sta già guardando intorno pensando all’anno prossimo. Nel quale c’è poco da scherzare: oltre a dover rivincere lo scudetto a qualsiasi costo deve giocare trenta partite, quindici al Forum e altrettante in trasferta, contro le quindici migliori squadre d’Europa. Per questo ha qualche dubbio su Gelsomino piangente Repesa, che nel frattempo è ai ferri corti con Rakim Sanders, mvp degli scorsi playoff, e non è più nelle grazie di Livi(d)o Proli. In più Giorgio Armani non vuole più fare in EuroLega le brutte figure degli ultimi anni. Ecco quindi che ha messo gli occhi su Amedeo Della Valle, non più solo luce dei miei occhi ma anche la miglior guardia – poche storie – che c’è oggi in giro per l’Italia. Ricciolino tentenna, ma la proposta gli è già stata fatta. Magari non proprio direttamente, e forse attraverso il grande padre Carlo, ma poco cambia: resta il fatto che alla fine di questi playoff Milano busserà alla porta di Reggio Emilia con i quattrini in mano. Che non dovranno essere neanche pochi perché Della Valle non vale tanto meno dell’Alessandro Gentile che con l’EA7 è legato da un triennale poker milionario. Però è qui che dico: questa non passa. Come risponderebbe l’Avvocato di Mantova innamorato della sua Bologna. Perché se pure togliete la luce dei miei occhi a Max Chef Menetti divento anch’io cieco e furibondo.