Al Vate di Torre Pallavicina vorrei rubare tante qualità. Una tra tutte: la serafica ironia. Con la quale ha elegantemente bacchettato anche ieri gli amici della tivù di Murdoch dalla florida riserva indiana di Facebook. “Che tenerezza lo staff di Sky: gli hanno regalato la scatola del Piccolo Coach e ci giocano come pazzi!”. Il punto esclamativo non piace a Gianni Mura. Mi pare di avervelo già detto, ma abbiate pazienza: comincio a perdere qualche colpo anch’io. Non Valerio Bianchini, anche se ha qualche anno più di me. Io invece m’arrabbio e mi mangio il fegato. E dalla ragione passo (a volte) dalla parte del torto. Ma non ne posso proprio più delle lavagnette, dei cerchiolini bianchi e dei maestri logorroici. Per insegnarci poi cosa? Che l’Italia di Ettore Messina ha un solo modo per attaccare le difese schierate? Ovvero il tiro da tre punti. Che si può anche chiamare tripla o bomba, ma sempre la stessa minestra è. Così come la nazionale di Giampiero Sventura ha un unico schema d’attacco: il rilancio lungo con i piedi di Gigi Buffon. Sul quale il mio pupillo, Lorenzo Insigne, piccolo com’è, poveretto, non c’arriva mai e poi mai a sfiorare di testa la palla. Ci spieghino piuttosto, quelli che si divertono da matti a giocare col Piccolo Coach, ma stufano tutti, soprattutto gli allenatori che probabilmente qualcosa più di So-na-lagna Soragna ne sanno di basket, come mai l’arancia nelle mani degli azzurri contro la Germania scottava più di una patata bollente e pesava più di una tonnellata e mezza, mentre oggi pomeriggio, a distanza di ventitre ore, contro la Georgia l’allegra brigata di Capitan Datome è sembrata nel primo quarto (27-10) leggera come una piuma? E volava come un’ape regina di fiore in fiore? E di canestro in canestro: due triple di Belinelli, tre bombe di Datome più un paio di magate di Filloy. Lo ha confessato ieri Nicolò, con una sola ci, Melli: “Troppa pressione e non so perché”. Io un’idea anche ce l’avrei, ma la tengo per me. E comunque l’ultima imperiosa stoppata di Datome su Shermadini (nella foto), la sofferta vittoria di due punti (71-69) e la bella presenza in studio di Andrea Meneghin, uno che non ci racconta mai la storia dell’orso, mi hanno messo di buon umore e mi hanno tolto un quintale d’acidità di dosso. Per la verità avevo smesso di crederci dopo il ciapanò coi tedeschi e mi sono di nuovo demoralizzato quando ci è tornato il braccino corto persino dalla lunetta (7/16), abbiamo perso la pazienza con il freno a mano tirato e le energie al lumicino. E abbiamo buttato al vento un vantaggio di 18 punti (15-33) beccando un parziale di 0-15 che avrebbe ammazzato un bisonte. Tanto che Shengelia ha addirittura sbagliato il canestro del 33 pari e Tranquillo ha persino smesso di strillare. Andiamo così a Istanbul con un bottino nemmeno poi malvagio: tre vinte e due perse. E negli ottavi tra tre giorni affronteremo la Finlandia. Che possiamo anche battere. Come abbiamo già fatto due volte recentemente a Cagliari. Non siamo grandi e grossi, la panchina è una copertina di Linus, ma dalla quale Messina oggi ha pescato, oltre al solito straordinario Filloy, anche l’Aradori che piace a me e che gli ha spesso tolto le castagne dal fuoco. Specie nel finale punto a punto. Quando Dixon (28 punti) pareva indemoniato e Cusin era stanco morto. Come il divino Belinelli e lo stoico Datome. Ma questa Italia, piccola e fragile, ha un cuore grande come un palazzo di dodici piani e un Melli che non so nemmeno io come faccia a stare in piedi. E non c’è il Gallo, ma questo, lo sapete come la penso, non è il problema più grande. Caso mai dobbiamo essere più noi stessi e meno agitati del cittì che troppo spesso si dimentica che non allena più un club ma una nazionale. Alla quale non possiamo chiedere una medaglia, anche se io ancora ci spero, e probabilmente sono un pazzo, ma almeno che non le cada il mondo addosso quando Belinelli e Datome non fanno canestro da tre punti e Hackett, oggi molto bravo, perde il filo di un discorso comunque sempre parecchio complicato.