Caressa dopo Luis Enrique ora vuol far fuori Garcia

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Oggi la Tigre ha fatto in soggiorno l’albero di Natale: a me sembrava un po’ presto, non è ancora dicembre, solo ieri è stata la prima domenica d’avvento, e Rocco ho acceso la prima candela del ceppo, ma a casa mia, è arcinoto, non comando più io da almeno quarant’anni a questa parte. L’albero è più alto di Gino Cuccarolo, il centro della Virtus Bologna di due metri e 21 che credo sia il giocatore più lungo della nostra serie A di pallacanestro. Con la punta a stella tocca comunque, o quasi, il soffitto. Ed è illuminato a cono da oltre duemila luci che ovviamente non mi sono messo a contare ad una a una, altrimenti avrei preso sonno, come con le pecorelle, ancor prima di Napoli-Inter, che stasera non mi voglio assolutamente perdere. Anche se non so da che parte stare e un bel pari mi andrebbe pure bene, ma vincerà la squadra dello Zio Aurelio e di Marx Sarri. Però vi dovete fidare: le piccole luci a candelina sono anche più di duemila. I dieci alberi di Natale più belli del mondo sono invero quelli che potere trovare a Rockfeller Center (New York) o a Laguna Rodrigo de Freitas (Rio de Janeiro), a Le Galerie Lafayette di Parigi o a Trafalgar Square di Londra, alla Puerta del Sol di Madrid o nella Piazza della Città Vecchia di Praga, in Reforma Avenue di Città del Messico o alla Porta di Brandeburgo a Berlino. O, per chiudere, in California a San Diego. Dove l’albero della Lego è stato costruito con più di 245 mila mattoncini (dublo) verdi. O alla Casa Bianca. Dove gli alberi di Natale sono in tutto ventisei e l’ufficiale è giunto due giorni fa dalla Pennsylvania su una carrozza trainata da due cavalli e guidata da due cocchieri: è un abete alto circa cinque metri ed è stato collocato dalla first lady, Michelle Obama, nella Blue Room. Subito dopo, all’undicesimo posto, o poco più lontano, viene il mio. E non sto assolutamente scherzando. Uno perché mi è costato l’occhio della testa. Due perché, oltre a più di due mila candeline, è addobbato da non so quante palline in vetro swaroski, almeno cinquecento, e tutte rigorosamente bianche, che ho acquistato nei miei viaggi di lavoro, o solo di piacere, in giro per il mondo. Tre perché è davvero uno spettacolo da lasciare tutti incantati a bocca aperta. Come succederà ai miei tre nipotini, Dodo Rocco e Sofia, quando lo vedranno la vigilia di Natale. Vado matto per le tradizioni pagane. Per la castradina della Madonna della Salute (21 novembre) o per Santa Lucia (13 dicembre). Quando la sera i bambini mettono le pantofole sul balcone fuori dalla finestra e la mattina le ritrovano piene di dolci, caramelle e cioccolatini. Mi fa invece paura, più del carbone e del lupo nero, Fabio Caressa quando parla della sua Roma dopo una brutta sconfitta, come quella di ieri all’Olimpico con l’Atalanta del mio amico Edi Reja, e si capisce lontano un miglio, anche se non trova il coraggio di dirlo apertamente, che vorrebbe che James Pallotta tagliasse subito la testa al sergente Garcia. Che però è legato al club giallorosso sino al giugno 2018. Ma non bisogna tanto badare a Caressa che adesso detesta Garcia e tre anni fa ce l’aveva a morte con Luis Enrique. Che oggi allena il Barcellona che gioca persino meglio di quello del maestro Guardiola. Mentre mi piacerebbe che la Juve conquistasse il quinto scudetto di fila solo per vedere la faccia che farebbe Sconcertino Mario Sconcerti. Che a fine agosto già profetizzò: “Una squadra che perde le prime due partite è impossibile che possa vincere il campionato”. E adesso se la sta facendo addosso. Mi basta questo. Tanto lo scudetto lo vincerà il Napoli.