Prima l’ha annunciato alla squadra nello spogliatoio del Taliercio. Come fa un capitano. Il mio Capitano. Poi l’ha confessato pure a me. E questo, mi dovete credere, mi ha fatto un piacere enorme. Evidentemente non semino solo tempesta e tra la gramigna qualche buon amico per strada ancora lo raccolgo. “Mi ritiro a giugno”, mi ha detto lasciandomi di sasso. Tanto che molto cretina è stata la mia reazione alla notizia che mi aveva raggelato: “Mi spiace”. “Spiace più a me”, ha sospirato ridacchiando. Ma, avvertendo il mio imbarazzo, ha subito tagliato corto: “Ho un’artrosi all’anca. Avrei dovuto operarmi quest’estate, ma ho trentasette anni e mezzo e non me la sono sentita”. Mi spiace davvero che Tomas Ress lasci. Soprattutto sapendo che sulla parola sarebbe stato legato alla Reyer pure per la prossima stagione. Però il capitano dei campioni d’Italia, che non ha mai preso nessuno per il naso, non poteva nemmeno continuare a far finta di star bene guardando gli altri giocare. Lui che è nato per combattere e poche storie: è stato un magnifico guerriero. Poi magari diventerà anche un ottimo generale, visto che da grande vuol fare l’allenatore, ma questo non è sicuramente il momento di pensare al suo domani. Anche perché non ha riposto la spada nel fodero e sarà nei playoff ancora in piedi sulla barricata oro-granata a mollar fendenti a destra e a manca. “Ho giocato con una spalla fratturata e il collo senza due anelli cervicali, figuriamoci se per un dolorino all’anca mi tiro indietro e non stringo i denti anche se ho un male cane”. Così io adesso salgo in piedi sul banco e lo onoro come fecero i ragazzi dell’Attimo fuggente con il professor John Keating (Robin Williams): “Capitano, mio Capitano”. E comincio a ricontare gli scudetti vinti da Ress in carriera: sette. Sei dei quali a Siena e cinque con Simone Pianigiani. E una sola finale tricolore persa: quella da capitano del suo ultimo anno alla Mens Sana con Paperoga Crespi prima di sbarcare nel 2014 in laguna alla corte di Napoleone Brugnaro. Adesso magari gli ipocriti e farisei del tempio mi ricorderanno anche che due scudetti gli sono stati per la verità tolti dai gendarmi di Giannino Petrucci e allora sapete cosa vi dico? Prima che Tomas vi mandi elegantemente tutti a quel paese, lo faccio volentieri io al suo posto cantando assieme ad Alberto Sordi: “E va, e va: sapessi quanta gente che ce sta”. Tanto più che il gigante altoatesino di Salorno sulla strada del Vino, salendo sino a Pochi, la frazione di duecento anime dove la famiglia Ress ha l’albergo Grunwald coi due puntini sopra la u, di scudetti veramente ne avrebbe conquistati otto se si tenesse conto anche di quello da lui vinto nella Virtus Bologna di Ettore Messina e Predrag Danilovic quando non era ancora maggiorenne e prima di trasferirsi cinque anni negli States, uno in una high-school di Miami e altri quattro nel college della Texas A&M, e laurearsi in economia agraria. “Mi dicono che un minuto di partita in quella grande squadra devo averlo anche giocato, ma non chiedermi quale perché sinceramente non me lo ricordo”. Magari l’inverno prossimo scriveremo a quattro mani un libro sulla sua vita di campione. Tra i boschi e sotto la neve. Soprattutto se Tomas si prendesse un anno sabbatico come è nei suoi desideri, “anche per staccare la spina e stare finalmente in famiglia con Katia, Alice e Christian dopo esser stato vent’anni in giro per il mondo”, ma non credo che Federico Casarin e Walter De Raffaele si lasceranno sfuggire un tesoro del genere che fa gola anche ai fratelli trentini e non solo a loro. Come mi ha raccontato nel pomeriggio al telefono Simone Pianigiani che negli ultimi tempi è di poche parole e si sottrae volentieri alle interviste, ma per Ress ha fatto uno strappo e a me ha detto: “Tomas è la bella persona che si vede: limpida, genuina, trasparente, tipica della sua terra alla quale è straordinariamente legato. La serietà nel lavoro appartiene al suo dna assieme alla serenità e all’equilibrio che l’hanno sempre accompagnato nelle tempeste emotive di questo basket. Di modo che mai si è esaltato nelle vittorie, né si è troppo depresso nelle sconfitte”. Poche per la verità ai tempi del vostro Montepaschi. “E’ vero, ma almeno con me si è fatto trovare ogni volta pronto e non era semplice perché era chiuso nel suo ruolo da Stonerook o da Lavrinovic. E allora me lo sono inventato finto cinque”. Cioè pivot. Ma quale consiglio gli daresti se volesse sul serio fare il tuo mestiere? “Gliene do due se posso. Uno di cambiar subito pelle. Due di sforzarsi di capire che non tutti i giocatori sono come lui”. Cioè d’esempio. Capitano, mio Capitano. E futuro assistente di De Raffaele.