Di cosa volete che parliamo? Ditemelo voi. Sono un tuttologo ad un tanto al chilo, ma non prendo soldi da nessuno e quindi ora posso scrivere di quel che voglio e quando voglio nel mio Scacciapensieri che, se non vi piace, potete benissimo fare una cosa: non leggerlo. Di certo andrò sempre contro corrente perché non sono nato servo, ma nemmeno in una stalla tra il bue e l’asinello. E ordunque l’altra guancia di sicuro non la porgo a chi solo mi vorrebbe prendere a sberle. Stamattina Marx Sarri si è presentato alla Juve in giacca e cravatta sociale, lavato e probabilmente profumato. E non in tuta con la barba lunga e le infradito: ha cominciato insomma bene, poi vedremo come andrà a finire dovendo, per fare meglio di Acciuga Allegri, vincere almeno cinque scudetti e almeno una Champions. Intanto Fabio Paratici, il caddie di Andrea Agnelli e Pavel Nedved, dopo aver perso un mese per correre dietro a un allenatore che era più facile da prendere con il retino di una farfalla, e che oltre tutto è già costato un milione (di buy-out al Chelsea), forse sarà il caso che inizi a comprare qualcuno prima di svendere Cancelo e Douglas Costa al miglior offerente e prima che Adrien Rabiot a parametro zero s’accasi altrove. Nel frattempo Riccardo Orsolini, bomber dell’under 21 azzurra che doveva spaccare il mondo e ha perso con la Polonia, è stato ceduto al Bologna per quindici milioni, pagabili in tre rate, che frutterà alla Juve una plus valenza di dieci e mezzo. Bene, ma a me cosa viene in tasca? Niente. E allora cosa volete che me ne importi. “Bartali chi?” si sono chiesti i maturandi e Repubblica ha sparato in prima pagina il più bel titolo della primavera. Da domani è invece estate e le giornate cominceranno ad accorciarsi. Chissà perché è da un po’ di tempo che vedo il bicchiere più mezzo vuoto che pieno in questo Paese dei balocchi che pare stare in piedi per scommessa sballottato com’è da una mano (grillina) all’altra (leghista) come nemmeno una patata bollente. Sette milioni e oltre di italiani davanti al televisore dividendosi tra Rai Uno e Sky per Brasile-Italia 1-0 dei Mondiali femminili: non vi sembra d’esagerare come avete fatto con Pippo Tortu? Che un po’ in verità mi somiglia: corre sempre contro vento e anche oggi nel tardo pomeriggio a Ostrava non ha fatto meglio di un quinto posto e di 10’’15 nei cento del Challenge Iaff. E comunque ora vi regalo un inedito. Così magari comprenderete come sono cambiati i tempi. Parlo di quella volta in cui Fabio Capello dopo l’allenamento prese a calci sulla neve Alberto Cerruti che potete sempre leggere di tanto in tanto sulla pagina della Gazzetta, quella delle opinioni, che ogni giorno si domanda che cosa ci sia ancora da sapere e da capire. Anche questo. Era l’inverno dell’80. La mia Peugeot di un terrificante color verde pisello raggiungeva Milanello ad occhi chiusi anche se avessi preso sonno: conosceva molto bene la strada che quotidianamente facevo per arrivare alla casa del Diavolo. Sopra Solbiate Olona. Dove ne succedeva una al giorno. Quando andava proprio male. Con Massimo Giacomini che camminava rasente ai muri del ritiro rossonero per paura che gli rubassero il portafogli che portava nella tasca destra posteriore dei calzoni di flanella con il risvolto. Me lo ricordo come se fosse ieri, ma potete sempre chiederglielo oggi se quel che vi sto raccontando non è forse vero. Il giovane cronista di Mamma Rosa aveva scritto qualche giorno prima che Capello era alla frutta. In effetti aveva ormai trentatré anni, dalla Juve era passato al Milan e non era più in verità il Culobasso di Wembley. Fabio lo aspettò appena fuori dall’uscio per tendergli un agguato. Con Giorgio Morini che faceva da palo e gli fischiò appena mi vide arrivare, ma non mi fu difficile immaginare quello che era successo sorprendendo Cerruti a terra sulla neve e Capello che si allontanava con passo svelto. Tornai al Giorno in Melchiorre Gioia, che per quattro lustri è stato il mio giornale, e stavo buttando giù il pezzo dal vostro inviato a Milanello data quando mi chiamò tre piani più sotto il direttore Gaetano Afeltra e mi spaventai perché al massimo lo avevo incrociato un paio di volte in ascensore. Mi aveva infatti assunto da praticante Angelo Rozzoni che di lì a poco mi avrebbe fatto debuttare in prima pagina con un articolo sul Calcio Scommesse quando lo stesso Morini con Ricky Albertosi e il presidente Felice Colombo erano finiti a Regina Coeli. Afeltra era seduto dietro la grande scrivania in mogano e fu molto gentile. Mi fece accomodare e mi chiese se volevo prendere un caffè. No grazie, direttore. E fu di pochissime parole: “Caro giovane collega, Gino Palumbo mi ha appena telefonato per dirmi che il Milan e Capello hanno chiesto scusa alla Gazzetta e a Cerruti”. E quindi? “Non si scrive niente”. E ubbidii.