Mamma mia, ma che roba è questa? Pallacanestro non di certo perché lo dice la parola stessa e la palla invece non ne voleva proprio sapere d’entrare nel canestro se non per sbaglio e solo una volta ogni cento secondi. 6-2 dopo cinque minuti strazianti, 15-11 dopo dieci da paura e 29-15 a tre dall’intervallo quando finalmente Ronald Moore ha infilato due triple di fila e Pistoia ha alzato la media che sino a quel momento era di neanche un punto al minuto. Ovvero imbarazzante. D’accordo, non me l’aveva ordinato il dottore di vedere quello spettacolo. Supportato oltre tutto dal commento di So-na-lagna Soragna. E credo non serva aggiungere altro. Però ormai avete imparato a conoscermi e quindi adesso non vi devo anche spiegare, o almeno lo spero, che, quando sposo una causa, non l’abbandono per nessuna ragione al mondo. A meno che non capisca in tempo che sto tirando la volata ai conigli o ai fantasmi. Perché Tizio si è stufato di pedalare, Caio si è ritirato dalla corsa e Sempronio ha rinunciato allo sprint finale. E così mi sono girato e non ho trovato alla mia ruota agganciato più nessuno. Questo è il nostro basket, però intanto sono rimasto col cerino acceso in mano e mi sono scottato. E ora sono molto più deluso che incavolato nero. Dopo la vittoria della The Fleex sulla Pasta Reggia del Tigre Dell’Agnello avevo titolato: “Un calcio ai pregiudizi: l’allenatore dell’anno è Esposito”. E non ho cambiato idea. Al contrario: premierei Vincenzino già domani perché per me resta un mistero come possa essere Pistoia ottava in classifica e ancora in gara per i playoff con Brescia e Torino. A meno che non sia bravissimo il suo allenatore. Come io penso. Vi dirò di più: se non ci fossero Varese, Cantù e Pesaro la squadra dell’ex Bonsai di Caserta sarebbe qualitativamente sulla carta la peggiore di tutta la serie A. Cioè in lotta semmai per non retrocedere e invece a quota 20 le basta una vittoria nelle prossime dieci giornate per salvarsi fischiettando. Dite che non è vero? E allora leggiamo insieme due cifre del primo tempo a Masnago: zero tiri dalla lunetta e zero punti da Petteway, Roberts e Boothe. Vi basta? Non ancora? E allora vogliamo contare anche le palle perse dalla The Fleex? Non mi sembra il caso. E piuttosto parliamo dell’Openjobmetis che non so mai come si scriva. Credo proprio così, ma non ci potrei scommettere. E comunque battiam battiam le mani alla difesa di Artiglio Caja che, mamma mia, allena una squadra tecnicamente molto modesta soprattutto in attacco e fatta con i piedi più che con la testa. E qui schiaccio sul pedale del freno perché Artiglio è un vero amico e per questo non voglio fargli del male con degli elogi che agli invidiosi sembrerebbero esagerati. Però quel Norvel Pelle mi piace di pelle e non solo perché viene da Antigua e Barbuda, però ha le mani che sono quel che sono. Vola, schiaccia, stoppa, ma se Caja avesse il Crosariol degli ultimi tempi forse sarebbe meglio e in una botte di ferro. Invece, per restare in serie A, Varese dovrà sudare sette camicie e sperare che Cavaliero, Bulleri e Kangur ripetano la partita tutto cuore di ieri sera. Magari con meno paura e la faccia più da sberle che ha sempre illuminato la loro carriera. Intanto Re Carlo Recalcati continua a sfogliare da tre giorni la margherita: firmo o non firmo? Questo è il problema. E il suo dubbio amletico lo comprendo molto bene. Da una parte sarebbe tentato di tornare per la terza volta a Cantù, la sua patria. Dall’altra conosce perfettamente la situazione della Red October che è disperata perché la squadra è poco allenata, ma soprattutto non sa se potersi fidare del desaparecido Dmitry Gerasimenko. Checchè ne pensi Mamma Rosa alla quale il patron russo deve essere molto simpatico. E lo è anche a me. Ma solo per andare eventualmente insieme a mangiare la cassoeula. Di cui giovedì si è celebrato proprio a Cantù il festival con una giuria d’esperti e di campioni d’Italia davvero eccezionale. Per la regia del grande Gianni Corsolini e di Carlo Recalcati. E la straordinaria partecipazione del Vate Bianchini, Pierlo Marzorati, Ciccio Della Fiori e Antonello Riva. Nonché di Barabba Bariviera e Beppe Bosa. Dimenticandomi di molti ancora. Nove i ristoranti cittadini in gara. Tre gli scudetti sulla tavola della fantastica abbuffata per un basket che era tutta un’altra storia. Diventata poi poesia e leggenda. E la vittoria finale della Cascina di Mattia. Buona cena. Mentre domattina Re Carlo finirà per firmare: scommettiamo? Con il cuore prima che con la ragione.