18 gennaio, sabato Canestri e ancora canestri d’immensi auguri a Dino Meneghin che oggi compie i miei stessi anni. Quanti? Fatti nostri. E, se non lo sapete, dovreste soltanto vergognarvi e darvi , seduta stante, all’ippica. Sempre che i cavalli vogliano dividere le loro stalle con voi e coi cagnolini. Avete forse la vaga sensazione che mi sia svegliato con la luna storta? Ma no, anzi. Ho dormito dieci ore filate, come sogna di riuscirci Jannik Sinner ogni notte prima di qualsiasi partita specie d’alto livello. Tre o quattro volte mi sono per la verità anche alzato per fare la pipì centrando in pieno il buco del wc, il che non è assolutamente facile quando sei insonnato, però pure questo avevo già messo in preventivo avendo ieri sera fatto a cena una scorpacciata vegetariana di finocchi (olio e limone) e di carciofi romani (lessi) che già a gennaio sono meravigliosi e non voglio nemmeno immaginare quanto diventeranno buoni andando incontro alla primavera. Dino Meneghin è senza il minimo dubbio il campione dei campioni che preferisco e che ho avuto la fortuna di conoscere bene quando insieme siamo sbarcati a Milano: lui all’Olimpia di Gianmario Gabetti da Varese, io al Giorno dal Diario, un piccolo quotidiano veneziano dei fratelli De Michelis, Ciccio e Cesare editore, che è durato poco più della Voce, il giornale dei Benetton diretto da Cilindro Montanelli che nel 1995 lasciò a casa (senza lavoro) almeno una settantina di bravi giornalisti, tutti o quasi di destra moderata, dicevano, come Marco Travaglio, Peter Gomez, Beppe Severgnini, Luigi Bacialli e Giancarlo Mazzuca. Oltre ad Oscar Eleni, l’Orso buono che avrebbe voluto condividere con me quel gioco d’azzardo. Meditate gente, meditate! E cominciate a non fidarvi di quelli che cambiano in fretta faccia e camicia. Soprattutto da nera a verde. Solo per convenienza. Come il direttore del Fatto.
Il mio Giorno era il suo giornale preferito: a colori, giovane, libero, sportivo. E poi Dino aveva un debole per quello che è stato per me come un secondo padre: Franco Grigoletti che scriveva di basket sul quotidiano di piazza Cavour a Milano in una forma semplice quanto esemplare, ironica e diretta a colpire i furbini del quartiere. Un scrittura che tutti i giorni, ancora oggi, mi sforzo di scopiazzare. Per esempio chiamava gli reyerini di Roberto Carrain “palle lesse” e ci prendeva in pieno pensando in particolare a Lorenzo Carraro, playmaker d’indubbie qualità però spesso soffocate dal carattere parecchio fragile. Nel 1987 Franco, diventato capo redattore, dopo che SuperDino aveva vinto la sua settima – avete letto bene! – Coppa dei Campioni, la seconda con le scarpette rosse ai piedi, l’ultima di Dan Peterson e Mike D’Antoni, nella finalissima di Losanna con il Maccabi, mi passò tutta la palla (nel cestino) e così le mie frequentazioni con Meneghin divennero sempre più numerose. Nelle centinaia di trasferte in aereo e nelle allegre tavolate negli alberghi e ristoranti di mezza Europa. Al punto che la piccola Katty, sua moglie Caterina, conoscendo la mia grande passione per la cotoletta alla milanese, mi ha invitato più d’una volta a pranzo a casa loro. E me la cucinava con amore. Obbligandomi molto volentieri al bis. Con le patate fritte.
Di Dino Meneghin mi piace tutto, ma soprattutto il suo abbraccio forte e avvolgente che mi fa sentire, stretto a lui, padrone del mondo. Il campione non si discute, ma neanche l’uomo con i suoi pregi e qualche difetto. Quello per esempio di non sopportare la canottiera di lana che sua madre gli consigliava di mettere sempre a fine partita. Così come proprio non gli andavano giù le sconfitte. Ricordo di quella volta contro il Pau Orthez che giocava le sue sfide interne in una gelida palestra che era l’ex mercato del pollame. La Simac perse quel match di un solo punto quasi compromettendo il suo accesso alla finale con gli israeliani di Tel Aviv poi battuti 71-69. Perché Roberto Premier, la sua spalla preferita in ogni gag di squadra, aveva sbagliato un tap-in facile facile all’ultimo secondo. Sul charter di ritorno nella notte Dino era di umore nero e gli bastò che Puccio cercasse di farglielo passare con una battutaccia delle sue per dirgli di brutto: “Ma bravo, ti sei mangiato da pollastro il canestro della vittoria e ti avanza ancora di scherzare?”. Da quel momento, per tutto il viaggio, non volò una mosca nel piccolo aereo. Anche i giornalisti al seguito non fecero le solite interviste del dopo partita per scriverne il giorno successivo. Nemmeno io con Oscar Eleni o con Acciughino Pittis scambiai una parola. Finché non arrivammo a Linate e SuperDino sbottò: “Ma come? Non fate neanche un applauso al comandante per il magnifico atterraggio? E perché quelle facce? Adesso sbarbiamo, prendiamo i bagagli e andiamo in un bar qui vicino che è ancora aperto e ci beviamo una bella birra ghiacciata o quel che volete. Ovviamente offro io”. Uno strepitoso leader. Che in pieno agosto, nel 2011, quand’era ancora presidente federale, si precipitò nella chiesetta d’Amblar, nella Val di Non, in Trentino, per dare l’ultimo saluto al grande Grigo e piangerlo insieme.
D’aneddoti su Meneghin potrei scriverne un libro. Ma i libri li lascio fare a quelli bravi. Come Luigi Garlando o a Ciccioblack Tranquillo o Leo Turrini: con una, due o tre erre? Non mi ricordo mai. Comunque se vuole, do soddisfazione al suo smisurato ego anche con cinque o sei erre. Adesso mi preme chiarire piuttosto agli aficionados, ma soprattutto a me stesso, che la mia sul sito è solo una immodesta rubrica, diciamo quotidiana, nella quale buttò giù come mi vengono i primi pensieri di sport o d’altro che mi passano per la testolina prendendo magari spunto dalle riviste o dai quotidiani anche politici che ho sotto al naso, ma senza farla tanto lunga e soprattutto senza avere la pretesa di scimmiottare – mi ripeto – la mia musa ispiratrice Marcela Serrano in A volo d’uccello.
Che ha scritto ad esempio: “17 novembre, martedì. Il giorno in cui scoppiò la Seconda guerra mondiale, Auden scrisse una lunga poesia civile che ho riletto mille volte. Finisce così: “Tutto quello che ho è una voce. Che smuova la menzogna nascosta…dobbiamo amarci l’un l’altro. O morire…”. Perché scrivere dopo aver letto Auden? Perché scrivere in generale? Per non lasciarci avvelenare i giorni? Una pulsione inutile. Oppure utile per chi l’asseconda. Scrivere in segreto. Non pubblicare. Non pretendere nulla. Divagare nella solitudine. La delizia è impugnare la matita (o la stilo come faccio sempre io, ndr). Scrivere a mano. Fa la differenza tra un giorno significativo e uno che non lo è. Anche solo una frase.”. Oppure: “Quando penso ad un viaggio di aereo avverto istintivamente un senso di repulsione. Sarà l’inizio di una nuova fobia? Ho attraversato così tanti mari e oceani, sono stata in tante città, ho messo piede in tanti paesi: è una cosa che non dovrebbe succedermi. Tornerà la vita ad essere la stessa?”.
Il mio pensierino di stasera, da rilegger sotto le coperte prima di prender sonno e sperare di dormire dieci ore tutte le notti come Jannik Sinner, che è sulla buona strada per diventare presto un campionissimo come Dino Meneghin, è invece: “Per gli ignoranti l’intelligenza è la peggiore delle minacce. Difatti vedo attorno a me molti ignoranti. Specie lombardo-veneti”. Buonanotte. Io invece solo adesso, dopo aver spento il telefonino dalle 18, mi vedo Juventus-Milan, una bella tripla per il Totocalcio. Di cui vi racconterò domani. Forse. Ammettendo che venerdì 16+1 non è stato apocalittico come mercoledì 15. Quando, ricordate?, mi sarei sparato se tenessi in casa una pstola. Forse perché mi sono alzato ieri dal letto alle 8 e 13. Che ritengo siano i miei numeri fortunati. Mentre il 16 gennaio, giovedì, mi si è spezzato il cuore come ogni qual volta quando devo buttare via i ritagli dell’anno passato. Ai quali sono affezionatissimo. Ma purtroppo non ci stavano più nella stanza dove passo gran parte delle mie giornate. “Tra quelle cartacce”, strilla la Tigre e non le posso straordinariamente dar torto mostrandovi (nella foto, ndr) i giornali e le riviste che scoppiano dal caro baule in legno ai piedi del televisore. E sono solo quelle del 2025 dal 2 gennaio a oggi.