Le sette meraviglie della finale scudetto tra il Banco di Sardara e la Grissin Bon mi hanno fatto rinverdire il sogno della nostra generazione che era quello di dare agli italiani uno sport diverso dal calcio. Dove venissero fuori i grandissimi valori che sono impliciti nello sport: il rispetto delle regole e degli avversari, il cadere e il rialzarsi, il non mollare mai, l’andare incontro alle vicende negative come gli infortuni e le cattive chiamate degli arbitri. Che a volte ci stanno anche. Tutto questo è successo negli ultimi playoff e soprattutto nei sette duelli tra Sassari e Reggio Emilia che sono stati uno spettacolo bellissimo che ha ridato fiducia a tutta la pallacanestro italiana. In una sorta di missione nella quale si possa dire a testa alta che c’è un modo diverso di fare lo sport che non ha niente a che vedere con le scommesse, con le violenze negli stadi o con l’alterazione dei risultati. Insomma con tutto ciò che quotidianamente mortifica il calcio. Quando invece c’è un altro modo di fare sport che ne esalta i valori e si chiama basket. Chapeu. Parole e musica, e non soltanto spero per le mie orecchie, di Valerio Bianchini in una splendida intervista a quattr’occhi con Raffaele Baldini, direttore di BasketNet, che non dura più di un quarto d’ora e che vi consiglio di gustare tutta d’un sorso per poi riascoltarla almeno un’altra volta. O forse pensavate che fosse farina del mio sacco? Magari, ma non ho – mi spiace – la cultura e lo spessore del Sommo Vate. Ho solo copiato pari pari il suo pensiero e l’ho fatto mio. E non mi vergogno a confessarlo. Anzi. Vado orgoglioso d’essere un suo allievo. Come di Dan Peterson o di Boscia Tanjevic, di Sandro Gamba o di Julio Velasco. Cioè di una generazione di grandi maestri che non solo sul parquet mi hanno insegnato ad amare a modo mio lo sport e in particolare la pallacanestro. Eppure stamattina mi ero svegliato con la luna storta e con l’idea che oggi avrei trovato una buona parola per tutti. Perché come dice anche Valerio non è che di punto in bianco si possa cancellare una stagione regolare “della quale mi è piaciuto pochissimo e in cui il potere esclusivo è stato nelle mani dei giocatori che hanno approfittato delle mancanza assoluta di controllo degli allenatori sulle squadre”. Concetti severi, ma giusti. Anche se non si può fare di tutta l’erba un fascio. Né posso dimenticare che eravamo finiti “in un ghetto dove comunicano soltanto gli appartenenti al ghetto”, come la pensa sempre Bianchini e io sto ancora dalla sua parte. “Del resto il microfono ce l’hanno soprattutto in mano gli allenatori che devono raccontare il basket non solamente sotto il profilo tecnico come fanno spesso, ma cercando di catturare l’attenzione della gente. Perché è una legge dell’uomo quella di tenere fisso nella memoria tutto quanto s’accompagna alle forti emozioni per diventare poi parte della sua vita”. Una volta anche lo chiamavo il filosofo di Torre Pallavicina che nel mondo della comunicazione non aveva, e non ha, rivali. Semmai gli rimproveravo, e gli rimprovero, di non essere qualche volta più terra terra dal momento che anche con la vis polemica, che è in me, si può far breccia nel cuore dei nostri simili. Per esempio non c’era al PalaBigi in occasione dell’ultima sfida che valeva per il titolo di campione d’Italia e non ha sentito buona parte dei giornalisti che si lamentavano perché la partita in diretta su Raitre, che ha fatto un milione e mezzo d’ascolti, iniziava alle 21 e quindici e sarebbe finita dopo le 23. E allora? Lo so benissimo che le rotative non aspettano. Men che meno il basket. Ma di cosa stiamo parlando? Di quei quotidiani politici che per tutto l’anno hanno regalato al campionato di pallacanestro al massimo i risultati, a volte sbagliati, della domenica, e alla EuroLega nemmeno quelli? I nomi delle testate non li faccio perché tanto li conoscete tutti e comunque sapete cosa vi dico? Che avrebbero fatto più bella figura a continuare a scrivere sempre e solo di calcio. Invece di saltare al volo sull’ultimo treno e di non capire un tubo del grande momento che il nostro basket stava vivendo. Non certo grazie a loro. O vogliamo parlare di chi intervista Alessandro Gentile in vacanza a Mykonos e non gli domanda nulla sull’amico Daniel Hackett che, caro il mio Valerio, non ha fatto solo “delle marachelle” come tu dici se ha dovuto in fretta e furia lasciare Milano? Ecco, mi sono anch’io sfogato. E adesso sto molto meglio.